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Lo scossone libico

Dalle informazioni che abbiamo l’indignazione per le mattanze, l’impiego di mercenari, e i disumani sabotaggi ai primi soccorsi dei feriti sembra che stia attraversando una parte dell’apparato di regime: dal basso fino ai vertici. I plotoni di Khamis, figlio di Gheddafi, sembrano che abbiano anche colpito AbdulQader AlGaddafi, un parente del rais, che si era rifiutato di sparare contro le manifestazioni, ripetendo il gesto compiuto in queste ore da diversi poliziotti e militari che si sono uniti al movimento. Tutto l’est del paese è attraversato da mobilitazioni caratterizzate da tendenze insurrezionali e mentre AlBaida e Bengasi sono teatro in queste ore di violenti scontri ai margini della città tra i lealisti (comandati da Khamis) e il movimento insorgente, pare che la protesta si stia diffondendo anche nelle altre città della Libia centrale e costiera, come a Misurata dove sono in corso cortei e scontri, proprio ad un passo da Tripoli.

Gheddafi promette una risposta micidiale e devastante, come se non gli bastasse il massacro già compiuto in questi giorni (ong parlano di almeno un centinaio di morti, ma le cifre sono destinate a salire), e da più parti si dice che potrebbero essere impiegati anche mezzi aerei per soffocare la rivolta. Non a caso a Bengasi il movimento sta tentando di rendere inagibile l’aeroporto. Gheddafi aveva parlato di piazze manovrate, evocando entità imperialiste e sioniste dietro le mobilitazioni, ma dopo le ripetute svolte del regime libico sullo scenario internazionale, in modo particolare dal post-11 settembre ad oggi, risulta difficile che la retorica del colonnello posso far presa sui sentimenti antimperialisti della popolazione. Il Rais  e il suo regime sono quindi in aperta crisi e in molti vedono nell’ampio utilizzo di truppe mercenarie un segno di profonda debolezza con cui l’apparato sta rispondendo alle rivendicazioni del composito movimento anti-regime. E proprio le defezioni, se non addirittura gli ammutinamenti di parte del corpo politico, militare e poliziesco, potrebbero divenire elementi decisivi per un conflitto che se dovesse estendersi anche alla città di Tripoli diverrebbe qualcosa di più che un grande scossone.

Mentre il conto delle vittime della violenza della repressione aumenta a dismisura, l’alleato italiano, Silvio Berlusconi, dichiara alla stampa che “la situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno”, confermando ancora il governo italiano come la sponda reazionaria ai regimi nord africani. Il signor Berlusconi non disturba nessuno? E poi si dice “preoccupato”, ma per cosa? Cos’è che preoccupa il capo del governo italiano? C’è da credere che delle vittime provocate dal suo alleato, nonché ispiratore e primo inventore di bunga bunga, non si preoccupi poi tanto, infatti la diplomazia italiana non si è stracciata le vesti a favore dei diritti umani come nel caso dell’Afganistan o dell’Iraq, ma che la preoccupazione sia tutta concentrata sulla destabilizzazione di un regime alleato che trema di ora in ora con l’incedere della collera delle piazze.

Focus: Libia info-war

Con il montare delle proteste è cominciato il balletto della censura anche in Libia, paese noto per lo scarso sviluppo delle telecomunicazioni digitali (i primi processi di innovazione ed investimento nel settore sono cominciati introno al 1997), la bassa penetrazione di Internet fra la popolazione (i dati si aggirano intorno al 5%) ed un controllo totale da parte degli apparati di regime sulla sfera mediale.

Il copione messo in scena è molto simile a quello rappresentato sul palcoscenico egiziano qualche settimana fa: stessi attori a calcare le scene ma anche qualche novità che pure era attesa dall’audience globale.

La mossa di Tripoli che non ha preso in contropiede praticamente nessuno è stato il blocco della rete che ha avuto il suo picco con uno stop totale di circa sette ore nella notte tra venerdì e sabato. In mattinata però i rumors hanno cominciato a rincorrersi in rete senza che fino a questo momento sia emersa una voce concorde su quanto stia effettivamente avvenendo nell’infosfera libica. Google  ed altre aziende rilevano un sostanziale blocco dei loro servizi (come il caricamento di video e l’attività di ricerca) facendo registrate un livello di traffico verso l’esterno del paese prossimo allo zero. Allo stesso tempo è confermato che diversi profili Twitter afferenti a gruppi di dissidenti attivi sulle strade di Bengasi e Tripoli continuano a restare in contatto con il mondo, aggiornando minuto per minuto sulla situazione (mentre in seguito al cut off della rete deciso da Mubarak la voce dei tweeter egiziani era sprofondata in un preoccupante silenzio). L’ipotesi più probabile allora è quella per cui l’establishment libico stia attualmente mettendo in campo pesanti attività di filtering su dns e keywords, bypassabili attraverso l’utilizzo dei bridge Tor.

Le stesse linee telefoniche analogiche pur registrando interferenze ed un livello di qualità delle chiamate risultano essere attive. Google ha rilanciato il servizio Speak2Tweet, attivato di concerto con Twitter nei giorni dello switch off egiziano. Si tratta di un mix di tecnologie digitali ed analogiche, una sorta di segreteria telefonica da utilizzare come rimpiazzo della rete in mancanza di connettività. Ricorrervi è semplice: basta telefonare e lasciare un messaggio vocale, che viene pubblicato automaticamente sulla piattaforma di microblogging. L’effettiva utilità di questo servizio però è ancora tutta da dimostrare ed in qualche misura lo sottolineano anche le pochissime telefonate giunte dalla Libia nelle ultime ore.

Infine anche sullo scacchiere libico si stanno dando alcuni episodi in salsa PSYOP (Psycological Operation) che ancora una volta vedono l’invio di migliaia di SMS a favore del regime verso i telefoni cellulari. Un fatto non irrilevante se si tiene conto che la Libia nel 2008 è stato il primo paese africano a raggiungere la penetrazione totale delle tecnologie cellulari fra la sua popolazione.  Eppure tali tattiche sembrano giungere troppo a ridosso di una contingenza emergenziale per sortire un qualche effetto reale sui cuori e sulle menti dei cittadini.

L’elemento di novità è invece il completo oscuramente delle frequenze satellitari di Al Jazeera. Novità fino ad un certo punto però, se si considera che ad una manciata di ore dal trionfo delle mobilitazioni di piazza egiziane (dove effettivamente Al Jazeera l’aveva fatta da padrone nel narrare quanto stava accadendo sulle strade del Cairo e di Alessandria) i satelliti dell’emittente del Qatar avevano già subito pesanti attività interferenza (dette in gergo tecnico jamming)  proprio da parte della Libia.

Insomma, una prova generale dello spettacolo che oggi ha visto la sua prima rappresentazione.  Di cui l’atto finale però è ancora tutto da scrivere.

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