Nord africa: il movimento scioglie la polizia politica
Ricordiamo che in Egitto la prima grande giornata della collera era stata convocato per l’ormai storico 25 gennaio, in cui le istituzioni egiziane, celebravano il corpo della polizia. Il tema delle torture, della violenza, brutalità e repressione degli apparati di controllo egiziani è stato uno degli elementi scatenanti delle prime giornate di mobilitazione egiziana (come in Tunisia tra l’altro), e lo slogan “non abbiamo più paura” era rivolto con risoluto coraggio proprio ai carnefici e ai torturatori degli interni. Tra venerdì e domenica si sono ripetute in tutto l’Egitto diverse manifestazioni reclamanti lo scioglimento della polizia che sono terminate, come nel caso del Cairo, nell’ingresso e nel saccheggio della centrale nazionale della polizia politica. Nel giorno successivo però una manifestazione pacifica legata allo stesso argomento è stata repressa duramente dall’esercito, che ormai sta prendendo il ruolo protagonista nella repressione, rompendo quel delicato equilibrio su cui si gioca la tenuta dei governi di transizione. Consigliamo la lettura dell’articolo dettagliato di Silvia Morlicchi per peacereport legato al fine settimana egiziano.
Il movimento rivoluzionario tunisino rompe, fa saltare completamente, la linea legalitario-costituzionale della transizione del post-Ben Ali. Dopo manifestazioni di massa, scontri e ancora polizia politica e celere scaraventata contro il movimento, che vede cadere a terra ancora giovani manifestanti, la piazza ce la fa. Ghannouchi si dimette e prende in mano la presidenza del consiglio l’anziano Beji Caid Essebsi, che come previsto nell’articolo precedente “Regimi in transizione VS contro-potere in divenire”, annuncia per fine luglio, l’elezione dell’assemblea costituente. Accogliendo nei fatti la prima richiesta del movimento e legittimando il Consiglio di Protezione della Rivoluzione, che nel dualismo dei poteri che si era prodotto, vince sull’apparato persistente e residuale legato all’RCD. Il Consiglio di Protezione della Rivoluzione assume quindi un ruolo centrale nello scenario istituzionale tunisino che di dirige verso le prossime elezioni. Dopo un mese di lotte tenaci, mobilitazioni e iniziative insurrezionali, ancora un pezzo di egemonia dell’RCD cade, come anche la nomina del nuovo governo, avvenuta in queste ore, indica: tutti tecnocrati e non appartenenti o legati all’RCD o alle clientele dei Trebelsi e del clan Ben Ali.
In questo fine settimana è stato sciolto (per ora) il presidio della Casbah, quell’eccezionale iniziativa di lotta che ha caricato su di se il valore simbolico delle mobilitazioni trascorse in tutti questi mesi nell’intero paese. Milizie, polizia politica e celere hanno sfidato e tentato di reprimere il presidio, ma alla fine, almeno su questo punto hanno perso, sono state costrette a cedere. Non senza tentare gli ultimi colpi di coda arrestando almeno 15 coordinatori della Casbah. La polizia politica è infatti uno dei pezzi di regime “benalista” ancora attivo e protagonista di gravi iniziative di repressione e provocazione. Non è un caso che il progetto di riforma radicale della polizia fa parte dei punti più urgenti che discute il movimento, richiedendone da tempo lo scioglimento. In questo senso arriva oggi la notizia di un’altra vittoria (da verificarne la realizzazione esplicita nel corso degli eventi) della dichiarazione ufficiale dello scioglimento della polizia politica e di tutto ciò che è in relazione ad essa e la soppressione definitiva della direzione della sicurezza dello Stato. Lo si può leggere anche nell’account facebook del ministero degli interni tunisino (assaltato da migliaia di manifestanti pochi giorni fa), che dopo essere stato sopraffatto anche grazie al ripetersi di click rivoluzionari, è corso ai ripari aprendo la propria pagina sul noto social network.
Adesso per realizzare l’intero programma del movimento legato alla questione “repressione e polizia politica”, resta solo da allestire il museo della rivoluzione tunisina nei locali di quello che è stato il centro della tortura e dell’elaborazione delle strategie di sopraffazione e repressione per decenni, il ministero degli interni. Solo nelle prossime ore conosceremo gli effetti di questa clamorosa decisione attesa e provocata dai sollevamenti di piazza, per ora non possiamo fare a meno di chiederci l’esercito quale ruolo avrà intenzione di giocare tra piazza e nuovo governo avvicinandosi alle elezioni della costituente. Il movimento sa bene, che nulla è concesso, e che tutti i passi avanti possono essere messi in discussione e rovesciati in poco tempo, e quindi la tenuta e lo sviluppo delle lotte resta centrale per raggiungere la scadenza di luglio con la forza politica adeguata all’appuntamento. Ma l’rcd e le milizie? E aggiungiamo, la polizia politica? Che mossa tenteranno per riprendersi e restare al potere? L’esercito, e in modo particolare i suoi alti vertici, fino a poco tempo fa sembravano voler restare neutrali (dove neutrale vuol dire garante della transizione “suggerita” dalla Casa Bianca), ma in questi giorni siamo venuti a conoscenze di un certo attivismo dei militari nelle zone del centro della Tunisia nella repressione di proteste e mobilitazioni. Alcune voci, interessate a mestare nel torbido, avevano alluso ad una possibilità di un colpo di stato da parte dei militari… proprio ora che tra i quadri bassi e medi dell’UGTT si parla della venuta di una primavera sindacale che possa far ritornare al centro del dibattito e delle lotte del movimento rivoluzionario tunisino la questione della redistribuzione della ricchezza, vero spartiacque su cui misurare la netta cesura e forte discontinuità tra la vecchia repubblica ormai in via di dissoluzione e la costituente che viene.
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