Formenti: Perché sono “antiamericano”
Antiamericanismo: questo termine è stato coniato da coloro i quali ritengono che l’ostilità nei confronti della politica e della cultura nordamericana non sia giustificata dall’aggressività degli Stati Uniti nei confronti di tutti i soggetti – nazioni, etnie, fedi religiose, partiti e movimenti politici, gruppi e individui – che si oppongono alla loro egemonia economia e militare, bensì il frutto di radicati quanto ingiustificati pregiudizi ideologici (ovviamente chi viene etichettato con questo aggettivo ne contesta il significato, ritenendo che la propria ostilità sia fondata su motivazioni concrete e razionali).
Premesso che ritengo della massima importanza distinguere fra le responsabilità e i sentimenti del popolo americano e quelle delle sue classi dirigenti, non ho difficoltà a dichiararmi “antiamericano”, anche perché la cronaca mi offre quasi ogni giorno ottimi spunti per giustificare tale mia inclinazione. Espongo qui di seguito gli ultimi due.
Leggo sul New York Times la storia di Faisal bin Ali Jaber, cittadino yemenita che ha perso cognato e nipote a causa di un attacco da parte di un drone americano. L’attacco, guidato come al solito da migliaia di chilometri di distanza, aveva come bersaglio alcuni militanti di Al Qaeda ma ha ucciso anche un religioso (il cognato) noto per le sue prediche contro il terrorismo e un poliziotto (il nipote); la madre di una delle due vittime è morta a sua volta di crepacuore un mese più tardi.
Questo non è bastato a fare di Jaber, uomo moderato e profondamente religioso, un antiamericano, ma lo ha indotto a recarsi negli Stati Uniti per ottenere dall’amministrazione di quel Paese il riconoscimento dell’errore commesso e scuse formali. Fatica sprecata. Una sua lettera aperta Obama non ha ottenuto risposta e, malgrado l’impegno di alcuni uomini politici che hanno accettato di incontrarlo, e l’appoggio delle associazioni che denunciano la crudeltà di uno strumento bellico che produce più morti (molti dei quali bambini) fra le popolazioni civili che fra i militanti (veri o presunti) di organizzazioni terroristiche, non ha ricevuto nemmeno una parola di riconoscimento né tanto meno di scusa.
Il punto è che, per i governanti americani, la vita dei propri cittadini vale assai più di quella dei cittadini di altri Paesi (in particolare se non occidentali), in barba alle chiacchiere sui diritti universali dell’uomo con cui si sciacquano la bocca, e che impugnano ogni volta che decidono di aprire nuovi fronti di guerra in nome di qualche “intervento umanitario”.
Lo conferma il seguente secondo spunto, sempre raccolto dalle pagine del New York Times: alcune delle imprese multinazionali dell’abbigliamento che avevano affidato la produzione a imprese terziste del Bangladesh, hanno deciso di investire ingenti somme per risarcire e assistere i famigliari delle vittime di due disastri (un incendio e un crollo) che hanno ucciso più di mille operai in quel Paese. Si tratta, fra gli altri, dell’italiana Benetton e del gruppo anglo-irlandese Primark (Denim e altri marchi). In particolare, un manager di Primark ha riconosciuto il principio secondo cui il gruppo si sente responsabile di tutto ciò che avviene dovunque vengano fabbricati i suoi capi.
Sollecitate a fare altrettanto, una decina di imprese americane si sono rifiutate. In particolare Walmart (colosso del commercio mondiale che era il primo committente delle lavorazioni dove sono successi i due disastri) ha detto che si trattava di subforniture “non autorizzate” (sublime ipocrisia: tutto quanto si perde lungo le interminabili catene di subfornitura dell’economia globalizzata è per definizione non autorizzato, in quanto il committente non si cura dei vari passaggi, badando solo a contenere i costi), ma la vera ragione, come spiegano alcuni avvocati intervistati dal NYT, è che costoro hanno paura che, riconoscendosi responsabili, darebbero la stura a una serie di richieste di risarcimento per le porcherie che vengono commesse in giro per il mondo in nome del contenimento del costo del lavoro.
Come volevasi dimostrare: che vengano stroncate dai droni di Obama o dagli sfruttatori che agiscono per conto di Walmart, le vite dei cittadini non americani valgono poco o nulla. Pregiudizi antiamericani?
Carlo Formenti
da micromega
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