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Primo processo a Ben Ali: armi, droghe e quattrini

Chi scettico e chi indignato, il via al primo processo a Ben Ali non convince. Di 93 capi d’accusa si sta celebrando oggi la prima udienza relativa a soli due reati contestati: uno relativo allo scoperta di una certa somma di banconote estere e ad un “pugno” di gioielli rivenuti durante una perquisizione in una residenza presidenziale, per cui si parla di “accaparramento illecito di fondi pubblici e traffico illecito di monete straniere”, e l’altro concentrato sul ritrovamento di armi e droga nel palazzo simbolo del regime tunisino, la reggia di Cartagine, per cui il deposto Rais e alcuni suoi sodali dovranno rispondere dell’accusa di “detenzione di sostanza stupefacenti a fini di consumo, e di possesso illecito di armi e munizioni”. Sembra che neanche le dichiarazioni ufficiali del Ministero delle Finanze che ha parlato delle fortune di Ben Ali quantificabili approssimativamente ad un quarto dell’intera economia del paese magrebino, o le continue manifestazioni e pressioni dei comitati e delle associazioni per i diritti dell’uomo e dei famigliari dei martiri della rivoluzione che rivendicano da mesi giustizia e verità riguardo ai cecchini e ai responsabili delle uccisioni, torture e ferimenti compiuti dalla polizia durante le giornate insurrezionali, abbiano imposto alle corte di giustizia (che si vorrebbero retoricamente espressione degli interessi della Tunisia rivoluzionaria) di cambiare la propria agenda. Ben Ali alla sbarra sì, ma per un pugno di gioielli e qualche sacchetto di polverina bianca? L’accusa alzerà la posta oggi in tribunale?
Intanto il primo Rais a darsela a gambe sotto i colpi del “degage” della piazza ha fatto sapere di non avere la minima intenzione di presentarsi in aula, e Ryad ha negato categoricamente di accettare la richiesta di estradizione di Ben Ali e consorte. Il soggiorno dorato del vertice della cricca tunisina non sembra essere messo in pericolo dalla giustizia e dalla diplomazia di Cartagine.
Mentre è ancora agli arresti, o meglio, formalmente sotto interrogatorio della giustizia militare da 23 giorni, Samir Feriani (un pezzo grosso degli interni), che in una lettera aperta al presidente Essebsi e alla stampa tunisina, aveva confermato quanto appreso dal video shock dell’ex-ministro degli interni Rajhi, in merito a “poteri ombra” decisamente influenti e legati soprattutto all’apparato del ministero degli interni, che nel caso indicato da Feriani, il 20 gennaio  hanno distrutto una grande mole di documenti riservatissimi negli archivi del ministero concernenti le attività o redatti dalla stessa OLP (che  dal 1982 al 1994 ha avuto sede proprio a Tunisi) che avrebbero fatto chiarezza sul rapporto di Ben Ali con i servizi segreti israeliani, il Mossad. Molte organizzazioni della società civile reclamano il rilascio immediato di Feriani e l’apertura di indagini sulla base delle sue dichiarazioni che potrebbero iniziare a far luce in un torbido ancora imperscrutabile. Anche Anonymous ha alzato i toni, ed in una seconda lettera inviata al governo tunisino, inizia a lasciar intendere che la “cyber-legione” sta per perdere la pazienza davanti a troppi episodi che mostrano le istituzioni tunisine orientate in una direzione ben diversa da quella espressa dal movimento e dalla piazza insorgente del piccolo paese magrebino.  Quindi concludono gli anonimi “noi non dimentichiamo le violenze e le bugie… aspettateci.”. E forse in attesa dei primi verdetti della corte, leggere le dichiarazioni di Ben Ali, per cui il rais dice di non aver mai dato ordine di sparare su nessuno, la pazienza l’ha fatta già perdere a molti, in rete e nella piazza.

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