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Sciopero in Francia: nessuna tregua natalizia!

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Dopo due settimane dalla data del proprio inizio, gli scioperi contro la legge sulle pensioni continuano a bloccare la Francia e generano dei risvolti di lotta sorprendenti.

Dei tentativi di negoziazione con i sindacati, messi in campo dal Primo Ministro Édouard Philippe, il quale si è detto disposto a ritrattare sull’età minima del pensionamento che la riforma pone a 64 anni (vaga promessa che non modifica la sostanza della riforma), hanno indirettamente offerto alla base sindacale la possibilità di radicalizzare la propria protesta non seguendo la direzione qualora questa decidesse di sospendere il fronte dello sciopero.

Una sempre maggiore spontaneità decisionale e organizzativa della base sindacale sembra esser stata una delle linee di evoluzione della protesta di questi giorni estremamente intensi. I ferrovieri annunciano, attraverso un tweet uscito un paio di giorni fa, che qualora i vertici dell’Unsa e CFDT, sindacati che detengono alte percentuali di iscritti tra RATP (trasporti parigini) e SNFC (ferrovieri dello Stato), invitassero alla tregua natalizia, loro non la rispetteranno. Tregua richiesta con toni pietistici dallo stesso Macron, che uscito dal suo sordo silenzio, prima di andare a festeggiare il natale in Costa d’Avorio, si è premurato di convincere i vertici dei suddetti sindacati a interrompere lo sciopero per assecondare i francesi nei loro spostamenti natalizi («le famiglie, prima di tutto»).

Lo scollamento tra Macron e l’opinione pubblica francese è ormai evidente. Gli ultimi goffi tentativi di delegittimare lo sciopero a livello mediatico si sono rivelati non solo fallimentari, ma perfino controproducenti. Si veda il sondaggio twitter lanciato da BMF-TV che chiedeva alle persone se sostenessero la “rovinafeste” CGT (sindacato dei trasporti che fin da subito si è mostrato ostile a qualsiasi compromesso sullo sciopero) e che si è vista rispondere di sì all’80% (fonte: https://www.acrimed.org/Bientot-Noel-les-superstars-de-BFM-TV-jouent-aux).

Accettare la pausa natalizia, dunque un arco temporale in cui i consumi aumentano consistentemente, significherebbe ignorare da parte di chi lotta che la forza di questo ciclo di scioperi siano state prevalentemente le strategie d’azione atte a incidere negativamente sull’economia di mercato. In questo senso, i consistenti blocchi di magazzini, stazioni e linee di trasporto hanno interrotto o messo in difficoltà il flusso di merci e persone che ogni giorno contribuiscono ad alimentare la catena di produzione del valore. Praticamente ogni giorno si intraprendono tentativi di blocco dei depositi bus, a Bretigny-sur-Orge gli scioperanti sono intervenuti su un centro di Amazon e la notte tra il 19 e il 20 vi è stato un enorme blocco al mercato internazionale dell’agroalimentare a Roungis. Pratiche che si fatica a non riconoscere debitrici con le strategie introdotte nella lotta dai Gilets Jaunes, da un anno a questa parte e che, nel tempo della rivendicazione, sembrano risultare molto più significative a quelle parti, sindacalmente o corporativamente organizzate, le quali non vedono più l’efficacia nei cortei di testa (anche di quelli che riescono a far scendere nelle strade francesi 1 milione e 800000 persone, come nel pomeriggio del 17 dicembre); soprattutto visto l’effetto di “addomesticamento” che provoca l’essere scortati dai cordoni laterali di polizia. Per un punto di vista interno su tali questioni si veda l’intervista ad un dipendente in sciopero della RATP.

In queste settimane un fronte di lotta importante è stato quello dei liceali: decine di blocchi all’ingresso degli istituti, culminati nei giorni del 17 e 18, giorni in cui si è lanciata una chiamata generale. Centinaia di studenti hanno impedito l’accesso agli istituti, nei casi migliori costringendoli alla chiudere, mettendo in atto delle pratiche di resistenza creativa e di risposta puntuale alle violenze della polizia (contro la quale vi fu una manifestazione delle madri nel corso della prima domenica di sciopero, a seguito degli episodi che hanno visto ragazzini messi al muro o fatti inginocchiare, la spara flash-ball puntata alla testa).

In questo contesto l’organizzazione della repressione contro i liceali ha messo in evidenza lo scarto classista che sussiste tra le scuole del centro e quelle della periferia parigina; è in particolare nei comuni esterni alla cintura che non si è risparmiato sull’uso di lacrimogeni, cariche e altre forme di brutalità. Ultimamente, gli studenti denunciano anche una forma di repressione inquietante ma significativa: la presenza di forze di sorveglianza privata fuori da scuola. Queste sarebbero incaricate, oltre che a disinnescare in anticipo le azioni (soprattutto facendo sparire i bidoni dell’immondizia, il principale oggetto che i ragazzi usano per bloccare gli ingressi, nonché per evitare il contatto diretto con la polizia), a spintonare gli studenti che scioperano verso l’entrata, nel mentre impartendo loro lezioncine morali sull’inutilità dei blocchi, le cattive influenze che starebbero subendo o l’obbligo di andare a scuola anche solo per avercela una pensione. L’atteggiamento di quella che già alcuni chiamano “milizia privata dell’accademia” denuncia un paternalismo, in questo caso di matrice statalista, contro cui i giovani risultano schierati, con dichiarazioni che vanno oltre l’indignazione per la riforma (sotto la quale, essendo ad applicazione progressiva, chi ora frequenta il liceo ricadrebbe in toto). 

La questione della precarietà studentesca ha da poco resuscitato un’enorme conflittualità che si è espressa attraverso gli atti di protesta conseguenti all’auto-immolazione dello studente lionese davanti al CROUS. «Quello di Lione non è un caso unico» testimoniano gli studenti radunati ai blocchi; ce l’hanno col governo che taglia i finanziamenti alle scuole e non elargisce quelli per le borse di studio (compromettendo così l’accesso ad una serie di beni primari come la mensa e i trasporti), ce l’hanno con la polizia che arriva sul posto e li picchia selvaggiamente, ce l’hanno con le istituzioni che rimangono impassibilmente sorde dinnanzi alle denunce di un presente insostenibile, un futuro incerto e dei rischi sempre maggiori che comporta l’espressione del dissenso.

In queste ultime ore si sono dati ulteriori tentativi di rompere il fronte di sciopero.

Giunge notizia che la canonica mail di auguri inviata ogni anno dal direttore accademico dei servizi dell’educazione nazionale a tutti gli e le insegnanti dei licei francesi si prodiga in ringraziamenti espliciti a chiunque stia perseguendo nel suo lavoro «nonostante le difficoltà […] dovute al movimento sociale in corso».

Inoltre, il segretario della CFDT ha ufficialmente annunciato l’apertura di un fronte di dialogo col governo, chiedendo l’interruzione dello sciopero.

Ma lo sviluppo della protesta non sembra assecondare la linea della demonizzazione e del compromesso: la base del sindacato ha deciso di non seguire le direttive del vertice, il segretario della CGT ha dichiarato «guerra totale, fino alla fine», gli scioperanti si stanno preparando al natale attraverso una diffusione capillare della cassa di solidarietà e con iniziative in pieno stile GJ come massivi eventi di autoriduzione della spesa nei supermercati, tipo quello avvenuto ieri ad Aix-en-Provence.

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