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Si intensifica il conflitto mapuche a 5 anni dalla morte di Matías Catrileo

Il 3 gennaio è stato ricordato il 5° anniversario della morte del giovane mapuche,  Matìas Catrileo. Nel gennaio 2008, Catrileo prendeva parte a un’occupazione del fondo Santa Margarita per recuperare i territori nella comunità Yeupeko Vilkun e contro i raid del GOPE che hanno come obiettivo quello di intimidire e mettere a tacere le rivendicazioni dei diritti territoriali dei Mapuche; il governo cileno decise di soffocare la protesta manu militari, inviando squadre speciali, e, durante le cariche, il giovane è stato colpito e ucciso da tre pallottole sparate da Walter Ramirez, caporale del GOPE (Grupo de Operaciones Policiales Especiales). Quest’omicidio a carico dello stato è stato punito in maniera irrisoria: il 19 agosto 2012 la Corte militare di Valdivia finalmente condannò Ramirez per “indebita violenza con conseguente morte” a 3 anni di libertà vigilata con l’autorizzazione di continuare a lavorare nell’istituzione. La ridicola sentenza ha solo rafforzato la lotta del popolo mapuche, soggetta costantemente a incursioni militari, discriminazioni, militarizzazioni del territorio abitato, violazioni di domicilio e arresti arbitrari, una comunità che resiste e combatte i soprusi del governo cileno da molto tempo.

Il 3 gennaio è stata convocata una giornata di mobilitazione in memoria di Matìas Catrileo: in varie città dell’Araucanìa e Patagonia si sono svolti cortei e altre iniziative che in molti casi hanno portato allo scontro diretto con le forze dell’ordine. Durante la giornata è stata denunciata anche l’intensa campagna di repressione e criminalizzazione portata avanti dal governo cileno in collaborazione con i ricchi proprietari terrieri, datori di lavoro e i media mainstream: molti attivisti mapuche sono detenuti nelle carceri in condizioni inaccettabili con accuse generiche e infondate di “terrorismo”. Dal 14 novembre, due prigionieri politici hanno intrapreso lo sciopero della fame per richiedere il miglioramento delle condizioni di detenzione, i benefici carcerari che spettano per diritto e la libertà dei prigionieri politici. Dopo 50 giorni di sciopero, i due attivisti hanno dichiarato di essere decisi di andare fino in fondo, se sarà necessario.

Sulla scia delle manifestazioni del 3 gennaio, il giorno dopo è stato messo in campo un attacco incendiario al fondo Lumahue, in cui risulta che siano morti il latifondista Luchsinger con sua moglie, costui è il cugino del proprietario del fondo dove è stato ucciso Matìas Catrileo. Secondo la ricostruzione della polizia, si tratta di 10 o 20 persone che hanno appiccato fuoco alla villa. Più avanti, i carabinieri hanno fermato due attivisti, uno dei quali è riuscito a scappare, mentre l’altro è attualmente in isolamento e deve attendere 7 giorni affinché la Procura formuli i capi d’accusa: delitto doloso d’incendio da cui deriva la morte o omicidio con incendio, entrambe le accuse fanno parte del Terrorism Act e prevedono pene molto dure.

Subito dopo l’incidente, il presidente cileno, Piñera, si è precipitato nella regione dell’Araucanìa per rassicurare le diverse associazioni di categoria, come la Società Nazionale di Agricoltura, la Corporazione Cilena del Legno e la Corporazione della Produzione e del Commercio, le quali iniziano a temere una sollevazione di massa della popolazione mapuche. Per rassicurare la comunità imprenditoriale locale, la quale sussiste grazie allo sfruttamento dei territori e della manodopera dei mapuche, nella zona è stata messa in campo una massiccia operazione da parte della polizia, in cui sono state perquisite con estrema violenza alcune comunità del Cautìn, le quali hanno risposto in modo determinato, in alcuni casi arrivando anche allo scontro, alle forze speciali che tentavano di invadere le abitazioni a tutti i costi. Il territorio è ora presidiato da 400 uomini della GOPE e da un’unità speciale, oltre l’entrata in campo dell’Agencia Nacional de Inteligencia, per combattere il “terrorismo” e attuare una zona di “controllo e sicurezza” (con controllo permanente dell’identità e dei veicoli transitanti).

Queste misure da parte del governo cileno mirano a disarticolare la resistenza mapuche e garantire i privilegi ai soliti sfruttatori e imprenditori locali. Ma ciò che Piñera non ha ben chiaro è che proprio i popoli in rivolta scrivono la storia: quei popoli che resistono fino all’ultimo, quei popoli che lottano per l’autodeterminazione e per il proprio territorio e di certo non li si può stroncare con l’apparato poliziesco, per quanto esso sia gigantesco e potente.

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