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Siria -A Dara’a s’infiamma la protesta: 6 morti

I manifestanti si erano accampati nella moschea dichiarando che sarebbero rimasti lì fino a quando le loro richieste non fossero state accolte.

Il numero delle vittime a Daraa dall’inizio della rivolta, venerdì, sale dunque almeno a dieci, le 6 vittime di mercoledì mattina si aggiungono ai due uccisi durante le manifestazioni di venerdì, uno domenica un bambino di 11 anno morto per l’inalazione dei gas lacrimogeni.

Le fonti di informazione devono raccogliere testimonianze dai residenti poiché i giornalisti non sono autorizzati ad entrare a Daraa dalla polizia che ha circondato la cittadina e ai fotografi dell’AP che hanno tentato, e’ stato sequestrato tutto l’equipaggiamento.

Secondo altre fonti, a Daraa è stata sospesa oggi anche la fornitura di elettricità  e non funzionerebbero le reti di telefonia mobile.

Il governo aveva dichiarato di aver adottato una politica più accomodante venendo incontro ad alcune delle richieste dei manifestanti di Daraa. Il governatore della cittadina era stato rimosso martedi’ e le forze dell’ordine sembrava avessero adottato un atteggiamento meno violento negli ultimi due giorni. Invece le sei vittime di stamattina sembrano indicare che il regime non ha intenzione di aprire una vera fase di dialogo ma intende anzi scoraggiare duramente eventuali allargamenti della protesta.

Da martedi’ 15 si assiste in Siria a manifestazioni di dissenso che hanno raggiunto il loro epicentro in Daraa. Anche se finora non sono scese in strade le migliaia ed i milioni di persone che si sono visti sugli schermi televisivi in Tunisia ed Egitto, queste manifestazioni che hanno visto solo numeri più esigui, rappresentano la piu’ importante sfida alle autorità governative da decenni.

I manifestanti di Daraa chiedono maggiore liberta’ e la fine della corruzione, lo smantellamento del pervasivo sistema di polizia segreta alla base del sistema di paura instillato nel paese, le dimissioni del capo del servizio di polizia locale che e’un cugino del Presidente Bashar- Al- Asad, a dimostrazione di come la minoranza alauita legata al presidente controlli il potere politico e militare.

Il regime siriano governato dal partito Baath al potere dal 1963 ha represso in passato ogni forma di dissenso ed opposizione sulla base di una legislazione di emergenza in vigore anch’essa dal 1963. L’eliminazione di questa legislazione e’ una delle richieste dei manifestanti e dell’opposizione.

Il Presidente Bashar Al Asad ed il governo non hanno rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale sugli ultimi eventi. Sul sito dell’agenzia governativa SANA  si afferma che “una gang di sobillatori armati che si trovavano nella moschea” avrebbero attaccato  “un’ambulanza uccidendo un medico ed un paramedico” e che “le forze di sicurezza sono dovute intervenire per riportare l’ordine”.

Molti commentatori occidentali, dopo aver a lungo affermato che sarebbe stato impossibile una rivolta in Siria, sembrano ora concordare sul fatto che qualunque siano gli sviluppi dei prossimi giorni, anche qui si aspettano sommovimenti più consistenti.

Il regime siriano finora ha avuto un atteggiamento ambivalente, da un lato facendo piccole concessioni per sedare il possibile malcontento come consentire l’accesso a face book ed youtube,  aumentare i salari dei dipendenti pubblici e i sussidi sociali per i piu’ poveri, liberare alcuni prigionieri, dall’altro procedendo con arresti di oppositori ed attivisti (l’ultimo ieri di un famoso attivista Loay Hussein, prigioniero politico dal 1984 al 1991, che aveva fatto circolare una dichiarazione su internet in sostegno della rivolta di Daraa), repressione delle manifestazioni ed ora l’utilizzo massiccio della forza contro i manifestanti di Daraa.

La popolarita’ di Bashar, alimentata dall’atteggiamento della Siria in politica estera di resistenza ad Israele e agli Stati Uniti, dai comportamenti personali del presidente e dal fatto che il tasso di povertà in Siria non raggiunge vette catastrofiche come quelle in Egitto, potrebbe non essere sufficiente ad impedire un allargarsi della rivolta dopo queste nuove vittime.

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