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Siria del Nord, assalto finale all’ISIS. Ad Al Bab l’esercito turco spara sulla folla

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Dopo l’arresto forzato della campagna militare contro l’ISIS da inizio anno, causato dall’invasione turca di Afrin, la scorsa settimana i partigiani delle SDF curde e arabe hanno aperto la fase finale dell’operazione Cizire Storm e della liberazione della Siria del Nord dalla morsa di al Baghdadi.

In coordinamento con l’esercito iracheno, impegnato in simili manovre oltre confine, è iniziata la caccia alla leadership superstite dell’organizzazione – i cui miliziani sono asserragliati nei pochi villaggi sotto il loro controllo nella Valle dell’Eufrate centrale (oltre che nel campo profughi di Yarmouk a Damasco, ormai sul punto di soccombere ai governativi).

I contemporanei successi del regime, in procinto di riprendere il pieno controllo della capitale dal 2011, accelerano verso un nuovo punto di caduta del conflitto siriano. Nell’intento di ottenere una vittoria militare totale sui suoi oppositori, Assad si rivolgerà a sud verso la regione di Daraa (alzando la tensione a ridosso del Golan occupato da Israele) o a nord verso quella di Idlib (mettendo a repentaglio l’intesa con la Turchia, protettrice e garante delle milizie salafite che ne hanno fatto il loro feudo)? Per non parlare della stessa Siria del Nord, dove le SDF hanno respinto a fine aprile un tentativo dei governativi di avanzare a nord di Deir ez-Zor. La possibilità è quella di scenari di collisione diretta tra gli interessi delle potenze regionali e globali ancora più frequenti ed esplosivi rispetto a quanto visto finora.

Intanto continua la resistenza alla sostituzione etnica ad Afrin. Dopo aver dichiarato bersagli legittimi i collaborazionisti dell’occupazione turca, tre giorni fa le SDF hanno giustiziato Jamal al-Zakhlool – responsabile dello smistamento nelle abitazioni e nelle terre curde dei terroristi salafiti e dei loro nuclei familiari (tradotti sia dalla Turchia che da territori siriani come Ghouta Est). La diversa affiliazione di questi ultimi (vi sono sia ex miliziani di Daesh che di al Qaeda, ma anche di gruppi meno noti come Faylaq al Sham ed il movimento Zenki) ha portato a faide tra le brigate in cui sono stati inquadrati; e le loro atrocità, saccheggi e violenze all’ostilità della popolazione delle regioni di Afrin e Shehba – contro cui i militari di Erdogan hanno aperto il fuoco sabato nella città di Al Bab.

Gli ostacoli all’autonomia della Siria del Nord purtroppo non si fermano qui. Da mesi è presente nel territorio confederale la mano del gruppo Harakat al Qiyam, creatura dei servizi segreti del MIT turco, e responsabile di una serie di agguati ai danni di delegati, operativi delle SDF e figure di mediazione tra le etnie della regione – perfino annunciati da macabri sondaggi su Twitter. Una minaccia che il controspionaggio dell’amministrazione democratica e le forze delle Asayish lavorano alacremente per smantellare; ed un’ulteriore flagello per una terra fin troppo martoriata, ma non piegata, dal terrorismo di stato di un Erdogan rivolto all’ennesima prova elettorale.

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