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Sulla Libia decidiamo noi!

Abbiamo tradotto un breve articolo tratto dal diario di viaggio in Libia di Dima Khatib, giornalista di aljazeera, pubblicato sul suo blog il 24/07/11. Seppur a diversi giorni di distanza dalla redazione del testo, crediamo che le informazioni che vi sono contenute possano essere utili alla lettura degli eventi attuali dove le contraddizioni e il conflitto negli insorti tra pragmatismo e principi, tra obiettivi e valori; la lotta per la libertà, sempre in bilico tra un rais ormai prossimo alla fine ed una transizione che si presenta determinata dagli interessi occidentali, potranno divenire la cifra per iniziare a comprendere il variegato e multiforme mondo dell’opposizione libica post-Gheddafi, e la Libia dell’immediato futuro.

 

Sul cartello dietro una signora si legge: “Grazie Francia”. Mentre sto scattandogli una foto la donna viene verso di me, in quella che è la versione di piazza Tahrir a Benghazi, e mi dice: “Siamo tutti Sarkozy”. Le chiedo “Davvero? E che cosa pensa di Sarkozy che suggerisce a Gaddafi di dimettersi, ma di restare in Libia?” Lei non ci pensa neanche un minuto prima di rispondere: “No, no… Non sono affari di Sarkozy. Il destino di Gaddafi è affar nostro, di noi libici”.

Un’altra donna si affretta verso di me per dirmi: “Ringraziamo Usa e Francia per ciò che stanno facendo. Ma non hanno voce in capitolo qui: dovrebbero solo lasciarci la copertura aerea che ci serve per marciare su Tripoli. Noi libici ce la faremo da soli. Noi libereremo la Libia dal suo tiranno, e sempre noi decideremo del suo destino”.

Le truppe straniere sono fuori questione ora, a Benghasi sono molti i segnali che indicano chiaramente che non sono benvenute. I ribelli sperano di ottenere supporto, armi e denaro dalle nazioni amiche per riuscire a farcela a Tripoli. Il Qatar ha già inviato due spedizioni di aiuti militari e umanitari, ma altri paesi devono ancora fare la loro parte.

Quando discuto della questione con intellettuali, attivisti e politici la linea non è molto diversa da quella che esprimono le persone comuni per strada. Tutti mi dicono che non avevano scelta, che le truppe di Gaddafi stavano venendo per ammazzarli a Benghazi e nel resto della Libia orientale.

Uno di loro mi dice afflitto: “Gli arabi sono paralizzati, deboli e assenti. Avremmo preferito vedere i nostri fratelli arabi venire in nostro aiuto invece di Francia, Usa e di altre potenze straniere. Ma non avevamo scelta. Eravamo così sollevati nel vedere che stava arrivando una forma di aiuto. Altrimenti Muammar avrebbe stroncato la rivoluzione e i rivoluzionari, per sempre”.

“Dovevamo scegliere fra vivere e morire. Abbiamo scelto quello che fra i due mali ci sembrava il male minore”, mi dice un altro.

Un membro del Consiglio Nazionale di Transizione della Libia (NTC), l’organismo politico dei ribelli, afferma ufficiosamente di non essere d’accordo, in linea di principio, con l’intervento militare estero. “Ovviamente non mi piace e non lo appoggio, ma si trattava della nostra unica possibilità. So che la Nato segue la propria agenda; so che la Nato detta il programma. Dopo che ci saremo sbarazzati di Gaddafi dovremo gestire le conseguenze dell’intervento Nato”.

I ribelli hanno criticato l’operato della Nato, accusando l’organizzazione di non fare tutto ciò che sarebbe in suo potere e di impiegare troppo tempo per raggiungere gli obiettivi. Alcuni credono che i governi occidentali siano scontenti dell’NTC e della presenza di “islamisti” fra i ribelli: da qui la sensazione che la rimozione del regime Gaddafi non era esattamente ciò che [i governi occidentali] cercavano; per questo avrebbero ritardato la caduta di Gaddafi per il tempo necessario a plasmare gli avvenimenti in base ai propri interessi ed ai piani futuri in Libia.

Secondo Safwat el Zayat, prominente analista di strategia e politica militare con cui ho avuto modo di parlare in Egitto, Obama sta utilizzando le operazioni Nato in Libia per evidenziare il ruolo predominante dell’America all’interno della Nato, e per dimostrare di essere la maggiore potenza militare al mondo. Gli Usa hanno preso parte alle operazioni militari al principio per poi lasciare la questione nelle mani europee, ben sapendo che sono al verde. El Zayat sostiene che Obama vuole dimostrare all’Europa e al mondo che senza l’America l’Europa non riesce neppure far vacillare un regime mediorientale.

Così l’America potrebbe avere in programma di tornare al momento opportuno, per un epilogo eroico della questione. In questo modo si darebbe certamente l’impressione che gli europei non sono capaci di cavarsela senza lo zio Sam, neppure nel loro “cortile” nordafricano.

Un altro giornalista libico mi dice: “La Nato sta usando la Libia per migliorare la propria immagine nel mondo, facendo qualcosa di buono. Ma ci lascerà soli non appena potrà farlo”.

Naturalmente alcuni membri del NTC approvano il sostegno statunitense alla lotta contro Gaddafi e non vedono il problema di un’inclusione della Libia nell’Occidente: secondo loro Gaddafi aveva comunque già aperto questo percorso.

Non importa quale sia la verità, ma è ovvio che i libici stanno vivendo una terribile contraddizione. Per ora rimangono concentrati su un obiettivo: rovesciare Gaddafi, anche se questo dovesse comportare allearsi con le stesse potenze che spalleggiano Israele, che bombardano civili in Afghanistan, che ne hanno uccisi tanti in Iraq, eccetera.

Molti rivoluzionari libici sono ben consapevoli delle menzogne che dovranno affrontare dopo la caduta di Gaddafi. Mi dicono: “Noi siamo antimperialisti, Dima, e non permetteremo agli imperialisti di governare la Libia. Questa rivoluzione ci serve per liberarci, non per tornare rinchiusi in un’altra gabbia”.

Un altro libico mi confida: “Siamo persone pragmatiche. Sventoleremo le bandiere statunitensi davanti alle telecamere, sorridendo. Ma dentro di noi pensiamo sempre lo stesso dell’America. Sappiamo con chi abbiamo a che fare.”

Una donna nella piazza Tahrir di Benghazi: “Se possiamo liberarci di qualcuno come Gaddafi sapremo liberarci di chiunque, compresi Francia, Usa, Italia o chiunque voglia esercitare il controllo su di noi. Saremo noi libici a determinare il destino della nostra Libia”.

Certo potrebbe rivelarsi più difficile da mettere in pratica; nessuno sa che cosa si stia mettendo in atto e pianificando sotto il tavolo, né quale futuro si prospetti per la Libia.

I ribelli si definiscono combattenti per la libertà… ed è vero, in effetti sono combattenti per la libertà. A parte il fatto che la loro battaglia per la libertà è stata “contaminata da mani straniere”, come ha scritto un giornalista libico, per divenire una questione internazionale nell’agenda delle maggiori potenze del mondo, dove ciascuna indubbiamente persegue i propri obiettivi e interessi nella regione; mentre i libici continuano la battaglia, pagando un prezzo molto alto per l’agognata libertà.

 

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