Tunisia. Si chiude un ciclo..per chi?
Il segretario generale del sindacato UGTT ha dichiarato pochi minuti fa che il presidente della repubblica tunisina Marzouki ha ufficialmente incaricato Mehdi Jomaa di formare un nuovo governo, che si dice, sarà pronto in almeno 3 giorni. Sembra chiudersi con la nomina di un così detto tecnico, vicinissimo al partito demo-islamista Ennahdha, un ciclo di lotte e tensioni aperto dalle prime elezioni post-Ben Ali ad oggi. L’assemblea costituente dal canto suo ha ormai definito la nuova costituzione tunisina e il governo dei tecnici avrà il compito di traghettare la Tunisia verso le prime elezioni garantite dalla nuova costituzione. Si chiude un ciclo, è vero, ma per chi? A ben vedere ad uscire vincente è Ennahdha che con il “tecnico” Jomaa (ministro dell’industria del governo islamista guidato dallo spietato ex ministro degli interni Larayedh) si assicura orientamento ed egemonia della transizione. Mentre l’opposizione ha rifiutato di votare a favore della nomina, lasciando l’aula (come nel caso dei liberal) o votando contro (come nel caso della sinistra). Il sindacato UGTT vero protagonista dei negoziati che stanno garantendo la nascita del nuovo governo appare profondamente indebolito, visto che Jomaa agli occhi della base del sindacato e delle masse proletarie tunisine appare (e a ragione) l’espressione della ricca borghesia distante e ostile a qualsiasi trasformazione sociale. Il ciclo di lotte e tensioni sembra quindi chiudersi solo per l’elites del paese magrebino, che dopo lunghe e anche sanguinose (in quanto gravide di valori simbolici) dispute sulle laicità delle istituzioni, dovranno realizzare una costituzione che conferma la parità di diritti tra uomo e donna, tenendo fuori la sharia come fonte di diritto, ma assimila ancora una volta la pena di morte come cardine della giustizia penale. La costituzione sui diritti civili fotografa quindi i rapporti di forza che intercorrono nelle elites tunisine e le sue componenti liberal o reazionarie, mentre mostra una relativa omogeneità rispetto alle norme che dovrebbero regolare i diritti sociali e la distribuzione di ricchezza: nei fatti ben poco cambia dal vecchio corso. La nuova costituzione e il nuovo governo si presentano quindi ostili alle istanze del processo rivoluzionario inaugurato con l’immolazione di Mohamed Bouazizi nel dicembre del 2010. La coalizione della sinistra radicale riproducendo stancamente la strategia del fronte (colpire uniti con la destra liberal i demo-islamisti, e lasciare al sindacato la rappresentanza del conflitto sociale) esce debole e priva di una reale forza capace di realizzare anche solo qualche obiettivo minimo sollevato dalla rivoluzione. Strategia che con ogni probabilità lascerà la coalizione della sinistra alternativa a fare “opinione pubblica” sui diritti civili (con la sponda del mainstream europeo) e ad agonizzare come agente politico concreto in un paese attraversato da latenze rivoluzionarie che aspettano solo una scintilla per riesplodere e (ci auguriamo) sperimentare pratica e discorso politico. Basta guardare a questi ultimi giorni per perdere il conto delle rivolte che hanno scosso la Tunisia. Le città del centro si sono sollevate incendiando locali del aprtito Ennahdha e posti di polizia. Le manifestazioni in ricordo dei martiri caduti durante le stragi della polizia di Ben Ali, e della polizia della transizione democratica, sono state vietate. Come a Kesserine dove la popolazione non ha accettato divieti ed è scesa in piazza scontrandosi duramente con la polizia. Solo ieri, la grande periferia proletaria di Tunisi, il quartiere Etthadamen, è stato teatro di saccheggi di banche, incendi di sedi di partiti politici, e di scontri con la celere. Al terzo anno dalla cacciata di Ben Ali si può quindi essere d’accordo che un ciclo politico si è chiuso, ma si tratta del ciclo politico della fragile e sanguinosa reazione che a fucilate, carcere e manganelli a fatica tenta di stabilizzare il nuovo corso neoliberista nella transizione “democratica”. Dall’altra parte le istanze e le contraddizioni della rivoluzione sono ancora tutte aperte nei territori e non è da escludere che possano riemergere in futuro come un nuovo e potente degage.
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