Il sindacato appoggia e rilancia la costituzione di gruppi di autodifesa dalle milizie (leggi l’articolo per saperne di più) che si stanno organizzando ovunque nelle periferie e nei quartieri operai. E in corso una riunione tra il primo ministro e i partiti dell’opposizione riconosciuta precedentemente dal regime. Appuntamento contestato duramente da Hamma Hammami, leader del partito comunista dei lavorati tunisini, che insiste sulla necessità di azzerare completamente l’assetto istituzionale del paese e andare immediatamente ad un’assemblea costituente. Voci confermano che sia in arrivo il leader di Ennahdha, Rached Ghannouchi in esilio a Londra, movimento politico islamista tunisino. Alla notizia del suo possibile arrivo, nelle reti online del movimento, è scoppiata la stessa rabbia e indignazione che aveva seguito alla diffusione di un video di alQuaeda che appoggiava la rivolta tunisina. In quel caso come oggi, ai leader islamisti si rispondeva con “venite in tunisia e poi vedrete che fine farete, la stessa di Ben Ali”.
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Le decine di ville dei Trabelsi, le proprietà residenziali di Ben Ali che fino a qualche giorni fa erano protette da schiere di poliziotti con fucile alla spalla, puzzano ora di cenere. Nelle piscine è finito di tutto: foto, comodini, statuette, lampadari, carte di atti ufficiali firmate e timbrate negli uffici alti dei ministeri a certificare chissà quale malefatta, quale degli infiniti soprusi. Ma d’altronde anche pochi giorni fa quei fogliacci di burocrati del regime erano solo un’orpello, dove un firma valeva come lo scarabocchio dell’autorità.
Ai Trabelsi, il clan capitanato da Leila, la moglie di Ben Ali, era permesso di tutto, anche perchè la legge erano loro, insieme a qualche altro clan al servizio del regime. Tutto loro, tutto un monopolio: dai media alla comunicazioni, dall’edilizia alla finanza, il bene pubblico in 23 anni era finito nelle pance grasse di quella gentaccia li e dei loro lacchè e servitori. Anche in Tunisia un dentista può diventare il proprietario o maggior azionista di tutto il sistema mediatico del paese, basta curare una carie all’uomo giusto, al presidente o a qualche signorotto dei Trabelsi. Ma mentre vanno in fumo i simboli della facciata più volgare del regime, e anzi a volte se ne vanno su delle belle porsche guidate da ragazzini al settimo cielo, che dopo il saccheggio portano la giusta ricompensa nel quartiere di periferia, nei palazzi del potere si susseguono “i misteri” codificati in parte da gruppetti di vecchi costituzionalisti che in questi giorni hanno dovuto riprendere a studiare sodo sui quei libri impolverati che almeno da 23 anni (questo è sicuro!) tenevano nello scaffale più alto della libreria, la carta costituzionale e gli elenchi del diritto tunisino. L’impresa adesso è ardua: come garantire al sistema clientelare del regime di continuare a riprodursi, tenere calmi i militari, compiacere la casa bianca ed evitare che la piazza bruci anche quelle polverose carte su cui si spremono ora le meningi gli anziani costituzionalisti del regime?
Intanto gli uomini forti dello stato di polizia tunisino, quelli cresciuti all’ombra di Ben Ali, sono già sulle poltrone a comandare polizia ed esercito, e tentano di riprendere il controllo, e magari, vista la situazione, risolvono anche qualche conto in sospeso tra concorrenti. E lo fanno con la stessa implacabile violenza di cui era capace il vecchio capo, campione del laicismo islamico, oggi accolto a braccia aperte, dalla islamicissima dinastia wahabita. (Lassù tra global manager, monarchi, dittatori, e presidenti di repubbliche riusciranno sempre a stupirci non è vero?)
Nel centro della capitale e delle altre città della Tunisia l’esercito e la polizia hanno ripreso controllo e posizione delle strade e delle piazze, almeno per ora. Altrove, nelle periferie, e nei quartieri distanti dai palazzi del potere continua lo scontro. Sabato è stata la rivolta delle carceri ad iniziare la giornata del dopo-Bel Ali, con i detenuti che sono riusciti, in larga parte ad evadere da diversi penitenziari, correndo fuori ed evitando le pallottole dei poliziotti che a Monastir hanno sparato all’impazzata, divenendo di fatto un plotone di esecuzione che ha falciato più di 40 detenuti che tentavano la fuga. In molti sono riusciti comunque a raggiungere le proprie abitazioni di periferia dove ad accoglierli hanno trovato strade e rioni ad altissima tensione.
E’ ancora scontro e rivolta nei quartieri operai e proletari. E sta volta non c’è solo l’esercito e la celere, ormai da un paio di giorni ci sono anche le milizie dell’RCD, il partito di Ben Ali, che organizzato dagli uomini della polizia politica, sta tentando di seminare terrore e attuare rappresaglie contro il movimento. All’inizio erano voci, e che qualcosa si stesse muovendo nell’apparato del partito lo si era capito dopo l’ultimo discorso in TV del dittatore, quando ancora prima che iniziasse la trasmissione televisiva, già fuori al parcheggio delle sedi del partito c’erano macchine pronte a suonare clacson e a mostrare foto del presidente per far vedere ai media di mezzo mondo l’ennesima messa in scena, l’ennesima farsa di un consenso al potere che non c’è. Poi durante lo sciopero generale e poco dopo la partenza del presidente, hanno lasciato le macchine al loro posto e hanno preso dei furgoncini, hanno riposto le foto gigantesche del capo e raccolto passamontagna e mitragliette. E i fans di Ben Ali sono diventati battaglioni della morte. Sono poliziotti e ragazzotti già al soldo dei clan del regime, quelli che da sempre erano i protagonisti delle operazioni sporche dei Trebelsi e delle lobby al potere.
Ieri è stato pizzicato il consigliere di Ben Ali in tema di repressione al ministero degli interni, che pianificava il terrore delle sue truppe, le milizie. Anche lui finito nel mistero: per i media in carcere, ma chissà, magari ha già raggiunto qualche spiaggia dorata della penisola arabica. Intanto però le milizie si danno da fare: entrano nei quartieri proletari, sparano, tentano di farsi largo, incendiano le dimore dai muri in calce viva degli operai, sfondano le porte e poi incendiano le case, provano a saccheggiare i negozi di chincaglierie e danno fuoco al minimarket della zona (che è già quasi vuoto, visto che in quei quartieri il cibo sta iniziando a scarseggiare). Le milizie colpiscono li, perchè sanno che su quelle strade non asfaltate hanno corso in questi giorni gli universitari disoccupati, i giovani proletari, e i figli di operai per raggiungere la barricata, per lottare per la libertà. E la violenza e il terrore si concentra lì adesso, per rappresaglia e magari per provare a domare la prima fila della rivolta.
Ma non stanno facendo i conti con la forza di questo movimento! I comitati di solidarietà di ogni quartiere in poche ore hanno organizzato dei gruppi di auto difesa, tutti gli abitanti ne sono coinvolti, dai bambini sopra i tetti a mo di vedetta, fino ai ragazzi che occupano gli accessi delle periferie in attesa della prossima incursione delle milizie. Ci sono stati ancora morti tra la notte di sabato e domenica, e scontri che ormai coinvolgono più soggetti in sinergia (esercito, miliziani, poliziotti e polizia politica) nel neutralizzare l’offensiva resistente proletaria.
Ma mentre parte dell’opposizione si spacca tra i partiti già riconosciuti che hanno dato l’ok alle elezioni tra 60 giorni e il resto dei partiti radicali, come la base del sindacato, che a questa proposta hanno risposto no, e rilanciato lo sviluppo dei comitati di base e popolari, anche la periferia, organizzandosi per resistere alla repressione che arriva ormai da tutte le direzioni, ha dato il suo segnale, l’ennesimo gesto di coraggio e determinazione politica.Ormai c’è troppo, troppo da difendere, e anche la milizia dopo questa notte di fuoco l’ha capito.