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Ultimatum dell’Egitto in rivolta a Morsi

L’intensità e i numeri della piazza hanno mostrato un importante salto in avanti: non solo rabbia e determinazione, ma anche una ritrovata organizzazione che, unita alla sempre maggiore coscienza popolare, offre ora una seria possibilità di vittoria a questa rivolta mai sopita.

Mentre ancora imperversano gli scontri la piazza ha fissato per domani l’ultimatum a Morsi: dimissioni o la piazza si riprenderà il paese.

 

 

Una marea in rivolta riempie le strade egiziane

La lunga settimana di lotta appena trascorsa lo aveva indicato: le manifestazioni, gli scontri e la rabbia nata in tutto il paese si è ricomposta nella giornata del 30 giugno – anniversario dell’insediamento di Morsi. Milioni le persone in strada a battersi, persone diverse, appartenenze politiche, sociali e tribali diverse, ma unite dalla stessa richiesta: via il regime dei Fratelli Musulmani.

Secondo le forze di opposizione almeno in 17 milioni sono scesi per le strade egiziane al grido “Irhal” [Vattene!]. Piazza Tahrir, nuovamente al centro della rivolta, è stata teatro di una delle manifestazioni più imponenti – forse la maggiore – mai avvenute dalla cacciata di Mubarak nel 2011.

Non solo il Cairo, ieri a rivoltarsi è stato tutto l’Egitto. Almeno 20 sono state le manifestazioni principali nel paese. Si è lottato non solo in grandi città come Alessandria, Mansura, Menuf, Tanta, Mahalla, Suez, Port Said, ma anche in molti piccoli villaggi e centri sperduti delle vallate si sono visti i segni della rivolta.

A dare forza alla piazza anche le 22 milioni di firme che Tamarod [Ribellione, Insubordinazione], il movimento sotto cui si sono riunite tutte le forze dell’opposizione, ha raccolto in una petizione nata per chiedere le dimissioni di Morsi, nuove elezioni e la redazione di una nuova costituzione. Anche se ormai l’Egitto ha mostrato che le procedure “democratiche” hanno poca presa sulla realtà, fortissimo è stato il segnale di questa iniziativa: a firmare contro il governo sono stati oltre 22 milioni di egiziani, contro i 12 milioni che lo avevano votato nelle controverse consultazioni elettorali. A riprova che – nel caso qualcuno non avesse creduto alla piazza e alle mobilitazioni che da ormai 2 anni e mezzo caratterizzano il paese – la legittimità del regime è ormai perduta.

Svariate le azioni che si sono viste durante queste giornate: se al Cairo sono state occupate piazze e quartieri, incendiate sedi dei Fratelli Musulmani, ad Alessandria per ore il traffico è rimasto bloccato. In altre città come Desouq e Kafr al-Sheikh i manifestanti hanno invece presidiato e chiuso i palazzi governativi.

Se la giornata era inizialmente cominciata in un clima festoso, con milioni di persone – musulmani e cristiani, donne e bambini, tutti insieme a lottare uniti contro il regime – ben presto però è salita la tensione.

 

I numeri della piazza e la collera dell’Egitto in rivolta

Dal pomeriggio la tensione sale e dilaga in tutto il paese. Le provocazioni della polizia scatenano la rabbia dei giovani a cui giorno dopo giorno viene rubato il futuro.

Scontri si sono registrati nella capitale, nelle vicinanze dei palazzi presidenziali e della “zona rossa”, ma anche in altre città, dal nord al sud del paese. Battaglie durate ore, trainate da una rabbia popolare che si è scatenata contro i simboli del potere e del regime. Scontri con le forze dell’ordine, contro i sostenitori del regime, attacchi ai simboli del potere, come il quartier generale dei Fratelli Musulmani, ripetutamente preso d’assalto e dato alle fiamme.

Almeno 10 sono stati i morti nelle violenze scaturite, anche se alcune fonti parlano già di 14. Non solo morti durante gli scontri. Anche giovani uccisi da cecchini appostati sui tetti delle case, attaccati per la strada e uccisi a bastonate si recavano a una manifestazione. Un clima di terrore che però non spaventa più il popolo egiziano.

 

La ritrovata forza del movimento

Poche migliaia di manifestanti pro-Morsi si sono riuniti nella contro-manifestazione che da due giorni “occupa” lo spiazzo davanti alla moschea di Rabaa el Adwayea al Cairo, in nome della legittimità del presidente e dello Stato, mostrando la debolezza politica di un regime senza consenso. Nuova linfa ha invece caratterizzato il movimento rivoluzionario.

“Il problema non è Morsi, è la legittimità dello stato”, oppure “Le moschee devono servire per la religione, non per la politica. No alla strumentalizzazione della religione”, così recitavano i cartelli di Piazza Tahrir, e queste sono state le parole d’ordine della giornata. Concetti adesso generalizzati, concetti che in una società fortemente religiosa quale quella egiziana, significano che il popolo è in lotta contro i fondamenti stessi del regime e che ha preso coscienza dei giochi di potere e dell’utilizzo strumentale della religione, degli stessi pilastri su cui si è da sempre basato il governo di Morsi.

Oggi tutto l’Egitto si schiera contro un governo che continua a dire che va tutto bene, che continua a non voler vedere i problemi del paese. Problemi economici, sociali, ma anche una vera e propria ingovernabilità, un clima di insubordinazione sociale generalizzata. Problemi a cui il potere sa rispondere solo ricordando le gloriose giornate, di come “il popolo e lo Stato sono [stati] una mano sola per la Rivoluzione”. Ma l’Egitto non ci sta più, non vuole più aspettare e prende coscienza.

Intanto i manifestanti hanno dato l’ultimatum a Morsi per domani alle 5 del pomeriggio, minacciando di mettere a ferro e fuoco il paese se il governo non si dimette e giurando di non lasciare le strade fino a che il Presidente non rassegnerà dimissioni.

Mentre continuano gli scontri (in questi istanti in centinaia stanno nuovamente assediando la sede dei Fratelli Musulmani al Cairo), mentre molte sono le piazze e le strade che rimangono occupate, il regime continua a stare chiuso nelle stanze del potere, interrogandosi sul prossimo futuro e leccandosi le ferite che la giornata appena trascorsa gli ha inferto…

Aggiornamento ore 22: In giornata un fatto è andato a sconvolgere le dinamiche createsi dopo la mobilitazione e, all’ultimatum della piazza, un altro si è aggiunto: quello dell’esercito. Le forze armate hanno dato 48 ore di tempo a Morsi per trovare un accordo con l’opposizione, al termine delle quali hanno minacciato di intervenire.

Accuse di golpe da parte dei Fratelli Musulmani, isterica euforia della piazza e nuovi scontri caratterizzano l’Egitto in queste ore.

In molti a celebrare la proposta dell’esercito e a chiederne l’intervento [sembra, dimenticandosi, della transizione al veleno di cui le stesse forze armate si sono rese protagoniste] ma in molti sono ancora scettici, in un clima politico che cambia di ora in ora.

Intanto le strade rimangono occupate e le minacce della piazza rimangono in piedi, anche se affievolite dal nuovo ultimatum dell’esercito che ha trovato in ciò – nell’impedire alla piazza di mettere in campo il suo di ultimatum – il suo tornaconto.

Chissà se l’esercito prenderà il posto di Morsi, oppure se lo sostituirà con un nuovo Rais, cosa è certo è che il paese è una mina pronta ad esplodere, anche se per adesso la situazione sembra essere tamponata dal “provvidenziale” intervento delle forze armate.

Sull’argomento, vedi anche:

[Egitto] Che fine hanno fatto le promesse del governo Morsi ai lavoratori? (leggere, in particolare, il Comunicato congiunto: “Insieme butteremo giù il regime”)

Nuova settimana di fuoco in Egitto

«Sentiamo l’odore dei lacrimogeni da Rio a Taksim, fino a Tahrir»

 

 

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pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

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