Un orribile punto morto
Stanco dell’incessante propaganda unilaterale della Cnn e della Bbc World, che generalmente anticipa i bombardamenti della Nato (come fu per l’attacco contro la Libia) o l’occupazione diretta, provo a spiegare il mio punto di vista sulla crisi della Siria. Denunciando prima di tutto l’investitura del Consiglio nazionale siriano da parte del network dei media occidentali e registrando che parte dell’opposizione armata siriana è perfettamente capace di organizzare i suoi massacri per attribuirli poi al rregime.
Voglio così anche respingere la diffamazione esplicita da parte di alcuni che mi accusano di essere un «apologeta di Assad» come fu per quegli idioti che mi tacciavano di «apologeta di Saddam» durante i preliminari dell’occupazione dell’Iraq.
Dall’inizio ho appoggiato pubblicamente e apertamente la rivolta popolare contro il gruppo baathista dominante a Damasco, diretto da una famiglia. Io sono stato contro questo regime fin da quando il golpe militare di Assad rovesciò il suo predecessore, molto più illuminato.
A essere onesti, non immaginavo che la Siria sarebbe esplosa come l’Egitto, per ne fui contentissimo quando accadde. Speravo che le dimensioni della rivolta, la sua evidente popolarità, obbligassero il regime a negoziare un piano concordato insieme per eleggere un’assemblea costituente. Qualche indizio suggeriva che fossero in pochissimi, dentro il regime, favorevoli a questa strada. Non c’è stato verso. Non si è potuto superare la stupidità e la brutalità, le due principali caratteristiche del regime di Bashar el Assad, fermo nella convinzione che qualsiasi concessione sarebbe fatale. Per molti mesi la sollevazione popolare è stata pacifica e la sua forza è cresciuta progressivamente, in un modo non diverso a quello della prima intifada popolare palestinese.
La mia opinione è chiara: solidarietà totale con il popolo, abbasso la dittatura. Però chi lo abbatterà e come? Non è una domanda di poco conto.
In Egitto, il movimento di massa ha vinto perché i capi dell’esercito avevano deciso che ormai non potevano più restare al fianco di Mubarak e c’era il timore che soldati e ufficiali subalterni non obbedissero più agli ordini. Quando gli Usa ritirarono il loro appoggio al dittatore, era solo questione di tempo.
In Siria, durante la prima fase, l’alto comando militare è rimasto fedele, costituito com’è su linee di casta e di religione, nonostante alcune diserzioni. Una volta scattata la repressione, alcuni hanno deciso che ormai la natura pacifica della lotta non bastava più e allora sono apparsi i militari e i civili vicini alle agenzie di intelligence occidentali. Come in Libia.
L’occidente ha cominciato a preparare il suo-governo-in-esilio, utilizzando la Turchia come suo principale pivot, con Arabia saudita e Qatar come sussidiari. L’opportunità di dare un colpo agli iraniani era troppo allettante e come succoso sovrapprezzo anche gli Hezbollah, l’unica forza del mondo arabo ad aver sconfitto politicamente per due volte Israele nella regione, ne uscirebbero molto indeboliti.
Opponersi ad Assad non significa appoggiare un intervento occidentale e un regime imposto sul modello libico, con elezioni organizzate in quattro e quattr’otto come foglia di fico buona per le relazioni pubbliche. E tuttavia, molte voci importanti dell’opposizione all’interno del paese hanno la sensazione che un intervento esterno sia oggi l’unica risposta. Altri restano fermissimi nel loro no a un intervento occidentale. Non è facile dare giudizi dal di fuori sui veri equilibri di forze e un movimento di massa con un obiettivo comune richiede necessariamente che non si stia a sottilizzare troppo sulle differenze intestine. Però, come in Egitto, nel momento in cui evapora l’euforia della rivolta e del suo successo nel disfarsi di un despota odiato, entra in campo la politica. Qual è la maggior forza politica nella Siria di oggi? Quale sarebbe il più forte partito in un parlamento uscito da libere elezioni? Probabilmente i Fratelli musulmani, e in questo caso le esperienze sotto gli occhi dovrebbero essere istruttive, dal momento che il neo-liberismo e l’alleanza con gli Usa sono l’architrave del modello turco che il presidente egiziano Morsy e altri suoi omologhi della regione vogliono emulare. Nella seconda metà del secolo scorso, nazionalisti arabi, socialisti, comunisti e altri si sono scontscontrarono con i Fratelli musulmani per l’egemonia nel mondo arabo. Può essere che non ci piaccia (e a me non piace), ma la battaglia l’ha vinta la Fratellanza.
Il futuro dipenderà dalla capacità di portare avanti un cambio sociale. Le classi lavoratrici egiziane e siriane hanno avuto un ruolo immenso in entrambe le sollevazioni. Per quanto tempo subiranno il laicismo neo-liberista o l’islamismo? I palestinesi che scendono in piazza per la giustizia sociale contro il regime fantoccio dell’Olp e contro l’esercito israeliano, sono segnali che potrebbe non essere facile contenere la turbolenza.
Un intervento della Nato installerebbe in Siria un governo semi-fantoccio. Come ho già detto nel caso della Libia, una volta che la Nato entra in gioco vinca chi vinca, sarà il popolo a perdere. Lo stesso succederebbe in Siria.
Che succederà se continua la situazione attuale? Un orribile punto morto. Il modello che viene in mente è l’Algeria dopo che l’esercito, appoggiato dalla Francia e dai suoi alleati occidentali, intervenne per fermare il secondo turno elettorale che avrebbe visto il trionfo del Fis, ciò che portò a una guerra civile in cui entrambe le parti si macchiarono di atrocità mentre le masse popolari ripiegavano su una passività disillusa.
Per questa ragione, continuo a insistere che, anche in questo stadio, una soluzione negoziata è la migliore per disfarsi di Assad e dei suoi sbirri. Le pressioni di Tehran, Mosca e Pechino potrebbero aiutare a raggiungere questo prima che passi l’opzione militare del sultano Erdogan, dei suoi alleato sauditi-qatarioti e dei loro seguaci in Siria.
** Traduzione di Maurizio Matteuzzi
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