“Una nuova Siria per un futuro diverso”. “Il popolo siriano è uno”
Si aspettavano una folla intimorita dai carri armati e dall’esercito e invece hanno dovuto prendere atto che la paura non ha preso il sopravvento; si aspettavano un minor numero di persone nelle strade e manifestazioni meno imponenti, invece hanno dovuto constare che altre città e nuovi quartieri di Damasco sono scesi per le strade contro il regime. Venerdì scorso una parte della popolazione siriana ha nuovamente mostrato che è stanca di essere governata da una élite lontana dalle sue esigenze e dalle richieste di maggior libera nella scelta del proprio futuro.
Queste manifestazioni continuano a richiedere un sacrificio in vite umane: in pochi giorni sono morte almeno sessanta persone, giovani, padri di famiglia e persino qualche bambino. Daraa e Douma sono assediate, Lattakia, Banyias, Homs e parte della stessa Damasco sono state bloccate dalle forze dell’ordine, il confine con la Giordania è stato chiuso e alcune famiglie siriane che abitano poco lontano dalla frontiera hanno manifestato contro questa decisone.
Sui canali nazionali siriani continuano ad essere trasmesse immagini e notizie irreali, falsate da una propaganda sempre più inadeguata e non attinente ai fatti: documentari sulle bellezze del paese, interviste a persone che inneggiano al regime e affermano la loro contrarietà a queste manifestazioni. Siamo di fronte ad un paese profondamente diviso, che non riesce a proporre con una voce sola delle richieste di cambiamento. In Damasco sono apparsi dei cartelloni pubblicitari, preparati dal governo, che chiedono di sostenere il regime e di non permettere una divisione dello stato; tuttavia questa strategia è in completa antitesi con gli assedi che parte dell’esercito sta ponendo intorno a Daraa e a Douma, con cecchini sui tetti delle case, moschee accerchiate, Imam e autorità dei diritti civili arrestate, come si è verificato con Hassan Abdul Azim di 81 anni e Omar Qashash di 85 anni, entrambi vecchi oppositori al regime. Dieci donne sono state imprigionata nel distretto di Salihiya, non lontano dalla capitale; tra i 138 e i 200 membri del partito Ba‘ath hanno rassegnato le proprie dimissioni, ma il numero è ancora troppo limitato perché possa incidere con efficacia. La Bbc dà notizia che Maher al-Assad, il fratello del presidente, a capo della guardia personale alawita della massima autorità del paese, stia progettando un colpo di stato nel caso Bashar voglia raggiungere un effettivo compromesso. Il vice-presidente Farouk al-Sharaa è stato ucciso, mentre il vice ministro degli esteri Faysal Mekdad è scomparso: entrambe queste due ultime notizie tuttavia non sono state confermate. Le divisioni all’interno dell’entourage al potere, anche se ci sono, vengono negate e nascoste con una certa forza.
Il regime ha paura dell’opinione pubblica, di quella internazionale in particolare: fino ad ora ha utilizzato il pungo di ferro contro i manifestanti, ma non ha deciso ancora di massacrare in maniera indiscriminata gli abitanti di un’intera città, come era invece successo ad Hama nel 1982, siamo quindi ancora in una fase nella quale il regime sta promuovendo il tentativo di spaventare, piegare e mostrare la propria forza; tuttavia i siriani sono stanchi di questa impasse ed è prevedibile che il numero di oppositori continuerà a crescere durante la prossima settimana.
I manifestanti, di Daraa, nello specifico, hanno dichiarato che durante questa settimana infrangeranno l’assedio e come risposta il regime ha inviato altri carri armati. Se tuttavia ciò dovesse succedere, vuol dire che parte dell’esercito che assedia la città, o anche solo i militari sunniti che ci vivono, hanno deciso di sostenere gli oppositori. Ciò che potrebbe far velocemente disgregare il paese è proprio una netta presa di posizione da parte dei soldati sunniti all’interno dell’esercito.
La Siria, come ho già più volte sottolineato, vincerà la sua lotta interna solo se i manifestanti saranno in grado di resistere e ottenere maggiore sostegno.
Marco Demichelis
Docente a contratto di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Torino
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