Un’altra giornata di lotta nelle strade del Cairo
Un altro venerdì e ancora proteste al Cairo: a quasi un anno dalle giornate della rivoluzione egiziana gli scontri e la lotta popolare sono tutt’altro che terminati.
Nella giornata di ieri, venerdì 16 dicembre, ancora una volta la capitale egiziana è stata protagonista di un’intensa lotta. Ieri, come ogni venerdì, il popolo egiziano ha deciso di scendere in piazza per protestare contro un potere militare che sembra nient’altro che una copia del vecchio regime.
Dopo la “seconda insurrezione di Piazza Tahrir” e gli scontri di novembre che si sono lasciati dietro decine e decine di morti, un presidio permanente si è andato a formare di fronte agli edifici governativi del Cairo. La volontà popolare e il lungo sit-in, sgomberato ieri, hanno difatti impedito al nuovo governo guidato da al-Ganzouri di riunirsi per iniziare a comandare il nuovo Egitto.
Forti scontri sono scoppiati alla notizia che un giovane attivista egiziano era stato trattenuto e torturato dalla polizia militare, e altre diverse centinaia di manifestanti hanno deciso di dirigersi verso il parlamento egiziano, nei pressi di Piazza Tahrir. Qui per ore vi è stato un duro confronto tra i militari e i manifestanti che, oramai stufi di dover sottostare ad un regime militare che sempre più sembra rispecchiare il sistema di potere repressivo del deposto rais Hosni Mubarak, hanno scatenato la loro rabbia contro i simboli del potere egiziano.
Gli scontri tra i manifestanti e le forze militari, durati per tutta la giornata di ieri, si sono conclusi con, sembra, due morti accertati, accanto a centinaia di feriti e a decine di arresti. Il bilancio sembra però aumentare; durante la notte i manifestanti hanno dichiarato di vedere altri corpi senza vita per le strade della capitale egiziana.
Ieri al Cairo sono state messe in atto le più svariate forme di offensiva da parte delle forze militari egiziane: molti i carri armati e i militari che sparavano e lanciavano gas lacrimogeni delle strade del Cairo, altri asserragliati dai tetti degli edifici del parlamento. Da qui i militari hanno iniziato ad attaccare i manifestanti che si trovavano nelle strade adiacenti con tutti i mezzi che avevano a disposizione: oltre ai colpi di arma da fuoco, i soldati hanno lanciato oggetti che si trovavano all’interno degli uffici, tra cui tavoli e mobili.
Dunque sembra che l’Egitto post-Tahrir non abbia affatto accettato il potere della giunta militare, quell’istituzione che, se da una parte emana così tanti proclami che sembrano andare incontro ad una futura ma alquanto lontana “democrazia”, dall’altra oggi più che mai reprime ogni forma di dissenso.
Il popolo egiziano, nonostante la forte repressione e le centinaia e centinaia di vittime, non si dà per vinto, consapevole che la vittoria della rivoluzione non stia nelle elezioni che si stanno rivelando alquanto distanti dalle volontà rivoluzionarie, ma nelle strade, ancora, dopo mesi e mesi dalle gloriose giornate di gennaio, più piene di rabbia che mai.
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