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LÜTZERATH BLEIBT-Riflessione con e oltre Lützerath, per una lotta ecologista consapevole, radicale e glocale

Riceviamo e pubblichiamo volentieri…

di Gioele Falsini

A Lützerath si sta combattendo la battaglia ecologica più importante degli ultimi tempi. 

In questi giorni il villaggio di Lützerath, nella regione Nord Reno-Westfalia in Germania, sta resistendo allo sgombero da parte della polizia tedesca, chiamata a liberare la zona per permettere l’espansione della miniera fossile di lignite che si trova nell’area, quella di Garzweiler, una delle più grandi al mondo, gestita dalla multinazionale energetica RWE. 

A Lützerath, prima del 2005, vivevano centinaia di persone, che sono state di fatto costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa della decisione di ampliamento della miniera fossile a cielo aperto più grande d’Europa. 

L’ultimo cittadino ad andarsene qualche settimana fa, dall’ormai paese fantasma, è stato Eckardt Heukamp, dopo aver perso la causa legale mossa contro l’azienda RWE, la quale ha potuto così espropriare la sua fattoria ed il suo terreno per poter proseguire indisturbata nell’espansione del sito minerario e nella distruzione di Lützerath (che sarà il ventesimo paese raso al suolo). 

Per questo motivo negli ultimi anni il villaggio è diventato simbolo delle lotte ambientaliste contro l’espansione della miniera fossile, e nell’ultimo periodo è stato occupato da centinaia di attivisti climatici, che vivono nelle fattorie abbandonate, accampati in tende, e su casette costruite sugli alberi, per cercare di contrastare l’opera estrattivista ed ecocida portata avanti dall’azienda RWE e dal governo tedesco, che si è espresso a favore dell’espansione della miniera, nonostante abbia annunciato, nell’Ottobre del 2022, che si sarebbe eliminata gradualmente l’estrazione di carbone nella regione entro il 2030. 

In questi giorni è in corso lo sgombero e la distruzione dell’area da parte della Polizia, ma gli attivisti resistono, e ieri ha preso luogo una manifestazione di circa 35.000 persone a cui hanno partecipato i collettivi di Fridays For Future con Greta Thunberg, Extinction Rebellion, Ende Gelände e molti altri, i quali sono riusciti a sfondare diversi cordoni di polizia fino a giungere ai bordi della miniera.

Contrastare i mostri ecocidi che estraggono i carboni fossili è di vitale importanza se si vuole dare una svolta radicale alla lotta ecologista. 

Infatti, a partire da molte ricerche scientifiche, il Climate Accountability Institute, centro di ricerca e formazione sul contributo dei produttori di combustibili fossili all’emergenza climatica, ha sviluppato una serie di rapporti sulle principali responsabilità delle compagnie del carbone, del gas e del petrolio, affermando che queste hanno causato, tra il 1965 e il 2018, circa i ¾ delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. 

Le emissioni globali di CO2 nel 1990 erano di 21,4 miliardi di tonnellate. Nel 2015 siamo a quota 36 miliardi di tonnellate. 

L’aumento di CO2 è pericoloso perché intrappola il calore solare in atmosfera e innesca l’effetto serra, le cui conseguenze sul riscaldamento globale e i cambiamenti climatici sono oggi evidenti. 

Siamo già al primo grado di aumento della temperatura media globale, quindi vicini alla soglia degli 1,5 gradi centigradi tanto temuti durante la Cop 21 che ha portato all’Accordo di Parigi. L’estate 2022 è stata l’estate più calda della storia, con periodi di siccità lunghissimi come abbiamo potuto osservare in Italia e per esempio in Piemonte, dove il Po era praticamente prosciugato e molti dei suoi affluenti desertificati. 

Nelle Alpi non c’è neve, i ghiacciai negli ultimi 100 anni si sono dimezzati, e l’innalzamento del livello del mare, se la temperatura dovesse aumentare di 2 gradi Celsius, minaccerebbe la vita di 130 milioni di persone, e di 760 milioni nel caso le temperature medie aumentassero di 4 gradi. 

Città come New York, Jakarta, Shanghai, Hong Kong, Tokyo, Rio de Janeiro, Venezia e molte altre, potrebbero scomparire sommerse dall’acqua.

Lo scenario che abbiamo davanti è terrificante, ma ancora non ce ne rendiamo conto. Alcuni rapporti presentati al secondo e terzo incontro del Club di Roma, che si basano su modellazioni fondate sulla teoria dei sistemi di Jay Forrest, indicano gli scenari futuri che si potrebbero presentare nel caso non si mettessero in discussione i fondamenti della società della crescita illimitata. 

Secondo l’ultimo rapporto, tutti gli scenari che non propongono un cambiamento radicale rispetto ai principi della società capitalista e consumista attuale, si dirigono verso il collasso della società stessa. 

La prima proiezione colloca il crollo intorno al 2030, a causa della crisi delle risorse non rinnovabili, la seconda attorno al 2040 ,per la crisi da inquinamento, e la terza attorno al 2070, per la crisi alimentare. 

Come scrive Serge Latouche, 

“la catastrofe è già tra noi. Viviamo quella che gli scienziati chiamano sesta estinzione della specie. (…) L’estinzione a cui assistiamo oggi ha tre differenze non trascurabili rispetto a quella precedente. In primo luogo, le specie (vegetali e animali) scompaiono a una velocità da 50 a 200 al giorno, cioè a un ritmo da 1000 a 30.000 volte superiore a quello delle ecatombi delle ere geologiche passate. In secondo luogo, l’uomo è direttamente responsabile di questo svuotamento del vivente. In terzo luogo, potrebbe diventarne la vittima…” 

È necessario, per questo, aumentare gli sforzi e la consapevolezza che la lotta ecologista è l’unica dimensione del conflitto che può portare alla giustizia sociale, in quanto racchiude all’interno del suo pensiero, dei suoi messaggi e delle sue azioni, la critica totale, radicale e decostruttivista verso la cultura metafisica occidentale e verso tutto il sistema di sfruttamento tecno-capitalista. L’ecologismo critica il soggettivismo, l’antropocentrismo e la posizione di dominio della ratio umana sulla natura, promossa dal messaggio cristiano nella Genesi 1, 26-31, che così recita: E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”. 

Inoltre, la lotta ecologista critica di conseguenza anche la metafisica Cartesiana dell’Ego cogito, ergo sum, volta ad assicurare all’uomo la propria assicurazione (Cfr. Heidegger, Il nichilismo europeo) tramite lo sguardo soggettivo-antropocentrico che pone l’uomo come centro e misura dominante rispetto agli enti di natura. 

Se continuiamo a far funzionare questa concezione metafisica e culturale moderna però, tutti gli enti, tra cui l’uomo e la natura, finiranno sempre di più per essere schiavi e legati (in modo irreversibile, già non riusciamo più a pensare ed immaginare una realtà alternativa) al “pensiero come calcolo”, alla gabbia d’acciaio razionalizzante Weberiana, e finiremo per essere valutati solamente in base alla nostra utilità e funzionalità a questo sistema razionale tecnico ed economico.

Quindi, un tramonto già iscritto nell’alba di quel giorno in cui l’Occidente ha preso ad interpretare sé stesso come cultura del dominio dell’uomo sulle cose. 

Questa pretesa egemonica e totalizzante si è realizzata attraverso quel “pensiero calcolante” che, promosso dal principio di ragione, ha ancorato tutte le cose a fondamenti sempre più stabili e razionali, che dessero appunto ragione alla volontà di potenza in cui da sempre l’Occidente si è espresso. 

Ma è proprio nella dimenticanza dell’essere, della natura, dell’uomo concreto, del senso delle cose, che nasce il nichilismo, perché gli enti non vengono guardati e valutati per ciò che sono, ma per ciò che “servono”, per la loro utilità. Per questo ogni metafisica che nasce dall’oblio dell’essere, avrà sempre un esito nichilista. 

Credo che i movimenti ecologisti siano gli unici a proporre una decostruzione totale della cultura occidentale appena descritta, non rappresentando, quindi, solamente le istanze di giustizia ambientale, ma allo stesso tempo incarnando anche rivendicazioni di giustizia sociale ed economica, perché considerano l’uomo nella sua concretezza e nel suo rapporto con il territorio. Per questo l’ecologismo ha anche uno sguardo comunitario (in contrapposizione all’individualismo ideologico liberal-borghese e alle forme di collettivismo che ne scaturiscono) ed ecosolidale, perché nasce come movimento volto a preservare il patrimonio naturale locale, ma allo stesso tempo ha anche una vocazione universalistica, perché l’ecologismo è un’azione che deve essere intrapresa a livello mondiale, perché il problema ambientale è di tutti e si riflette in tutto il mondo. Se si inquina solo in una determinata area della Terra, le conseguenze saranno visibili in tutto il pianeta (agire locale, pensare globale). Per questo l’ecologismo è una responsabilità collettiva che ci deve unire contro lo sfruttamento di corpi e territori. L’ecologismo è l’unica lotta consapevole e radicale che può salvarci dal diventare schiavi della nostra stessa razionalità, e dal trasformarci in macchine e ingranaggi di questo sistema razionalizzante alienante, la cui massima espressione è rappresentata dall’assetto tecnocapitalista neoliberale sorto tra gli anni ’70 e ’80. 

Assetto e sistema tecno-economico che però non promuove un senso, non redime, non apre scenari di salvezza, non unisce, non dice la verità, non ha scopi, se non quello afinalistico del “funzionare” (Galimberti). 

Non abbandoniamoci all’astrazione di questo meccanismo, e non adagiamoci sulle finte comodità della razionalizzazione, sennò finiremo per diventare noi stessi ingranaggi di questo stesso sistema, fino all’autodistruzione. 

Per salvarci dobbiamo riscoprire la condizione del raccoglimento e della riflessione solitaria, come ci suggerisce Hannah Arendt nel saggio “Le origini del totalitarismo”. Secondo la filosofa tedesca, infatti, l’interesse primario dei regimi totalitari per riuscire a mantenere il proprio potere è quello di eliminare qualunque possibilità di solitudine. Solitudine, raccoglimento, ed aggiungerei autonomia ed auto-organizzazione, sono le condizioni necessarie al raggiungimento di una propria libertà ed indipendenza di pensiero. Ma la grande macchina moderna non ci lascia mai soli, non ci lascia mai il tempo per il raccoglimento.

Siamo costantemente bombardati da stimoli, da messaggi, da simboli, da modelli da seguire, da oggetti da comprare, da cose da fare, da responsabilità da sostenere in quanto “imprenditori di sé stessi”, come ci suggerisce il sociologo Federico Chicchi nel libro “La società della prestazione”, condizione che provoca, soprattutto nei giovani, nuove forme di psicopatologie. Abbiamo sempre obiettivi da raggiungere, standard da rispettare, tempistiche da considerare. Siamo manipolati dai mass-media e dalle pubblicità, dagli algoritmi che governano Internet che scelgono cosa farci vedere, cosa farci comprare e cosa farci pensare (cfr. La tirannia dell’algoritmo, di Miguel Benasayag) così da plasmare ed indirizzare il nostro modo di agire nel mondo. 

Ci troviamo in un enorme panopticon Foucaultiano, nella Gabbia d’acciaio Weberiana, in un Grande Fratello Orwelliano. Siamo osservati da migliaia di telecamere, siamo tracciati, schedati, seguiti e perseguitati nel caso provassimo a ribellarci. 

Ogni forma di irrazionalità umana come l’arte, il sogno, l’amore, l’ideazione, il dolore, la gioia, viene allontanata, esclusa, messa al bando, perché ritenuta pericolosa per la tenuta di questo sistema razionale e tecnico. Forme di autonomia, di autorganizzazione e di aggregazione fuori le logiche del consumo vengono bandite da meccanismi di sorveglianza, controllo e punizione sempre più sofisticati. 

Stanno cercando di dividerci e di toglierci la possibilità di realizzare le condizioni per giungere alla libertà: la solitudine, il raccoglimento, inteso come processo da cui sorge il pensiero creativo, l’immaginazione ed il desiderio…e tutto questo fa paura ai regimi e ai governi postdemocratici (cfr. Colin Crouch), perché come scrissero Deleuze e Guattari, il desiderio è potenzialmente rivoluzionario perché cerca ciò che non si vede, cerca cioè l’utopia. Come scrisse anche Wittgenstein “La soluzione dell’enigma della vita nello spazio e nel tempo è aldilà dello spazio e del tempo”, ovvero verso il “non spazio” dell’ou topos, dell’utopia, che include quindi l’azione, la tendenza verso il raggiungimento di un qualcosa di migliore. 

Immaginiamo quindi un’altra realtà, fondata sui principi greci del limite e della misura, come ci suggerisce Heidegger e Latouche con il movimento della decrescita, principi ed ideali in contrapposizione, quindi, ai dogmi economicisti dello sviluppo illimitato e forsennato del sistema tardo-capitalista che, come abbiamo già visto, ci sta portando verso la catastrofe annunciata. Immaginiamo di tornare ad una dimensione comunitaria, fondata sul dèmos e non sull’ochlos, proprio perché la caratteristica principale e fondamentale del dèmos, è la sua dimensione territoriale, ed il legame e la cura che il popolo deve avere di quest’ultima. 

Comunitarismo, raccoglimento, legami, cura, territorio, ambiente, senso del limite, decrescita, realizzazione e quindi libertà personale, questi sono i valori che devono unirci a livello globale, questi sono i valori che bisogna diffondere con la lotta ecologista per la speranza di una nuova alba dell’umanità. 

Con Lützerath, per Lützerath, salviamo il pianeta e noi stessi!

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