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A tutti e tutte coloro che hanno marciato a Sainte Soline.

Dopo tre settimane è stata pubblicata una prima riflessione sui fatti del 25 marzo a Sainte Soline ad opera di alcuni compagni e compagne del movimento Soulèvements de la Terre che di seguito traduciamo.

Si tratta di un testo di autocritica e valutazioni di quella giornata, ma anche del processo a monte che ha portato all’organizzazione dell’intero weekend ricco di dibattiti, campeggi, pasti condivisi e concerti. Tra le righe leggiamo la necessità di prendere ancora del tempo per metabolizzare, curare le ferite e intanto, coltivare la rabbia rimasta.

Il comunicato racchiude ed esprime una riflessione in primis interna e tocca alcune delle domande che hanno riecheggiato tra chi ha partecipato alla manifestazione contro il progetto dei bacini idrici a Sainte Soline e ciò che ha scatenato in seguito. Da un lato vengono poste alcune questioni sulla strategia e sulla tattica messa in campo, e sicuramente conoscere meglio i processi che hanno portato a una data così partecipata aiuta a rispondere, anche solo parzialmente. Dall’altro lato, sono però altri gli interrogativi più interessanti che il movimento (ecologista, ma non solo) dovrebbe continuare a coltivare per rilanciare in avanti, sulla base di una valutazione condivisa in merito al weekend di Saint-Soline. Che tipo di svolta per i movimenti, a livello locale e nazionale, ha rappresentato la protesta contro il progetto dei bacini-idrici? La lotta ecologista ha trovato una sua rappresentazione concreta ed è riuscita ad esprimerla in quel contesto? La capacità di individuare in un terreno esplicito le istanze ecologiste da parte del movimento di Soulèvement de la Terre è una possibilità destinata a perdurare e a dare forza alle lotte territoriali e ambientali in generale?

Non ci sono risposte definitive ma anche in questo senso è importante dare spazio al processo che ha preso inizio, a come si inserisce all’interno di un contesto più ampio di conflitto sociale diffuso in Francia e a quali proposte verranno tracciate per il futuro.

A TUTTI E TUTTE COLORO CHE HANNO MARCIATO A SAINTE-SOLINE

Sono passate tre settimane dalla giornata del 25 Marzo a Sainte-Soline, la quale rimarrà impressa per sempre sulla nostra pelle e nella nostra memoria. Da allora il tempo è rimasto sospeso in una partita a ping-pong tra l’offensiva aggressiva del governo e la nostra contro-offensiva volta a ristabilire una parvenza di verità sul corso degli eventi e il contesto politico attuale. Tutto ciò ci ha spinti, tra le tante iniziative, ad accettare le condizioni di parola che erano ben lontane dall’essere delle possibilità di espressione soddisfacenti, ad esempio alcuni canali televisivi. Per le persone ferite e per le conseguenze implicate, non potevamo lasciare libero corso a tutta questa indecenza e tutte queste bugie provenienti da un esecutivo lasciato a ruota libera. Ma ora bisogna uscire dalla reazione di urgenza e prendere il tempo di esplorare una serie di domande legittime. Abbiamo appena iniziato la necessaria revisione critica e collettiva su quel week-end che abbiamo costruito nel corso di mesi, in ogni caso, ci teniamo molto a lasciare qualche spiegazione e interpretazione che quei giorni hanno suscitato in noi.

Ci piacerebbe condividerle con tuttx quellx che hanno camminato per 12 km quel giorno e con cui abbiamo provato, nel miglior modo possibile, a circondare il cantiere del mega-bacino di Sainte-Soline. Quellx che sono venuti spontaneamente e quellx che sono venutx dopo essersi preparatx per molto tempo a questa giornata. Quellx che sono arrivatx in un convoglio di biciclette dalla Bretagna o che hanno preso una pausa tra una manifestazione e un blocco per venire nella regione di Deux-Sèvres. Tutte le persone che sono venute numerose dall’Italia, dalla Germania, dalla Svizzera o dal Belgio. Quellx che sono riuscitx a superare i blocchi della polizia per montare il campeggio o raggiungerlo nella giornata di venerdì. Ma anche quellx che hanno subito controlli ripetuti a Melle i giorni precedenti e quellx rimasti a sorvegliare le installazioni del festival. Infine, con quellx che non sono potutx venire ma che ci hanno accompagnato con il cuore.

Trovare i modi per continuare a combattere insieme è quello che ci importa di più, è questo il motivo per cui condivideremo queste riflessioni anche se imperfette e incomplete. Non abbiamo avuto il distacco necessario per arrivare a delle conclusioni troppo assertive sugli eventi che hanno avuto luogo il 25 marzo, così come sulla lotta a lungo temine contro i mega-bacini nel Deux-Sèvres. Tutto ciò prenderà del tempo e sarà fatto in più tappe. Ma per cominciare ci sembrava importante ricordare, come siamo arrivati a quel punto? Quale contesto e quali rapporti di forza hanno condotto alla giornata del 25 marzo?

  1. Qualche elemento di contesto

Fermare i mega-bacini

Da due anni la lotta contro i mega-bacini ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti, sia nella diversificazione delle pratiche di contestazione, che nella partecipazione.

Nel settembre 2021, il cantiere dei mega-bacini di Mauzé-sur-le-Mignon è gioiosamente invaso da 500 persone e un convoglio di trattori: una ruspa disarmata, dei manifestanti che resistono di fronte alla polizia.

Il 6 novembre 2021, 3.000 persone si allontanano volontariamente dal cantiere di Mauzé-sur-le-Mignon, presidiato da più di 1.000 poliziotti e all’interno del quale li attendevano gli agricoltori della FNSEA (Fédération Nationale des Syndicats d’Exploitants Agricoles) e della Coordination rurales. Per una buona ragione, il corteo preferisce smantellare il bacino accanto, quello di Cram-Chaban. Il quale viene distrutto dalla folla e la sua pompa d’acqua viene smontata con l’aiuto della Confèderation paysanne. Per il coordinamento Bassines non merci (BNM) e Soulevement de la Terre, questo gesto testimonia l’imperativo politico di fermare questi cantieri e più che con delle manifestazioni classiche, attraverso il disarmo collettivo delle infrastrutture.

Nel marzo 2022, alla Rochénard, il coordinamento sceglie di non andare nella zona rossa e la folla di 6.000 persone decide piuttosto di smantellare le tubature vicine di un bacino in costruzione.

Il 29-30 ottobre 2022 per la prima volta a Sainte-Soline, 8.000 manifestanti divisi in tre cortei dalle tattiche differenti sfidano le linee dei gendarmes. Uno dei tre invade il bacino in seguito a duri scontri, prima di essere raggiunto dagli altri cortei più festivi. Tuttavia, il corteo che ha occupato brevemente il cantiere viene sottoposto a un pesante fuoco di granate offensive e la fine della manifestazione è segnata da una configurazione di scontri che prefigura il i limiti con i quali ci siamo poi scontrati il 25 marzo scorso: un unico punto fermo di fronte al dispositivo poliziesco che presidia il bacino.

Dopo questa azione, il cantiere è messo all’arresto per due settimane a causa della rimozione delle recinzioni circostanti, ma soprattutto perché la visibilità e il rapporto di forza attorno a quei progetti ha ormai oltrepassato una soglia.

Anche se non possiamo ancora stoppare completamente i cantieri, possiamo cercare di creare una situazione ingestibile e troppo costosa per i nostri avversari. Dei sedici bacini previsti nel Deux-Sèvres, solo due sono stati costruiti. Nessun altro cantiere è stato avviato per ora, anche se molti sono programmati. Ciò può essere visto come una conseguenza diretta delle proteste portate avanti dalle organizzazioni, ma senza dubbio anche del lavoro anonimo di artigiani notturni che hanno disarmato tredici bacini nella regione, insieme al lavoro colossale della contro-inchiesta scientifica che ha permesso di smontare le argomentazioni dell’agrobusiness.

Strategia generale

L’obbiettivo della lotta contro i mega-bacini portato avanti dalla Conf paysanne, BNM e Soulèvements de la Terre è quello di ottenere l’arresto dei cantieri e imporre le condizioni per un dibattito reale sull’utilizzo e sulla condivisione dell’acqua come bene comune. Tutto ciò ha bisogno di tempo. La prima battaglia di Saint-Soline non ha permesso l’arresto definitivo del cantiere e sapevamo che una nuova mobilitazione da sola non sarebbe bastata.

In linea con il motto “Pas une bassine de plus” (Non un bacino di più), gli accordi e il senso comune che abbiamo costruito progressivamente con i differenti collettivi e le organizzazioni impegnate nella lotta ci hanno spinto a concentrarci durante le manifestazioni sui cantieri in corso per la costruzione di una nuova serie di bacini piuttosto che sulle strutture più vecchie. Dopo la manifestazione di ottobre e in assenza dell’avvio di un nuovo cantiere, il bacino di Sainte-Soline, ancora in costruzione, si proponeva come l’obbiettivo sui cui avanzare. Ben a conoscenza della difficoltà di cercare di riprodurre due volte lo stesso tipo di azione sullo stesso terreno, abbiamo studiato con attenzione altre ipotesi nell’arco di settimane, ma nessuna corrispondeva infine ai criteri comuni per una nuova mobilitazione.

Quattro obbiettivi sono stati stabiliti per il ritrovo di marzo:

  • Riunire almeno il doppio delle persone che erano presenti a ottobre
  • Risaltare in modo molto più marcato l’impegno dei contadini nella lotta
  • Impattare con la manifestazione nuovamente il cantiere. Nessuno nel coordinamento si immaginava una semplice passeggiata campestre, né una manifestazione distante dagli obbiettivi strategici
  • Creare le condizioni materiali per cui dei dibattiti e degli incontri sull’acqua avrebbero avuto luogo in delle condizioni serene e fare emergere la dimensione internazionale della lotta.

Il Mellois non è un deserto

La forza del collettivo BNM è quella di essere riuscito, grazie alla sua tenacia, a condurre una lotta di prossimità, contro la costruzione dei bacini e aprire una riflessione più larga riguardo alla condivisione dell’acqua da molti anni. Per molte persone organizzare due giorni di dibattito, conferenze, concerti durante la prossima mobilitazione è stato importante tanto quanto la manifestazione stessa. Tenendo conto della precarietà materiale legata alle difficoltà del terreno, è sembrato necessario costruire uno spazio permanente. Per questo, il comune di Melle si è coraggiosamente proposto di accogliere gli eventi all’infuori della manifestazione. È stato anche un modo di affermare in maniera decisa e chiara il supporto assunto dalle municipalità contro i mega-bacini.

Da due anni, ed è un merito di questa lotta, ogni evento che organizziamo insieme estende considerabilmente il campo della lotta e permette di intessere delle nuove alleanze. Uno dopo l’altro, la maggior parte degli attori locali ha preso le loro parti e ha partecipato alla denuncia dell’aberrazione di questo tipo di progetto e le conseguenze sul lungo termine. Organizzare un momento di festa e di conferenze a Melle è stato quindi un modo di rendere visibili coloro che abitano questo territorio e che rendono possibili le grandi mobilitazioni. Un modo di mettere in evidenza come il Mellois non sia un deserto, ma un territorio popolato di gente in lotta e che prende molto seriamente l’ambiente dove vive.

Per quel che riguarda il contesto politico locale, è impressionante scoprire il numero di persone pronte ad accogliere, mettere a disposizione della lotta i propri strumenti di lavoro (trattori dei contadini, camion degli artigiani, carrelli telescopici), donare il proprio tempo, fornire informazioni o far funzionare le loro reti. Ma nonostante una grossa parte della popolazione sostenga la lotta contro i mega-bacini, il contesto politico locale è molto teso e la FNSEA preclude una parte della vita politica di Deux-Sèvres. Non è dunque così facile trovare un terreno dove far campeggiare migliaia di persone e parcheggi senza esporsi a un certo clima di ostilità.

Sono gli ecologisti o l’acqua a essere “sradicata”?

Una delle strategie del governo e dei pro-bacini è di mettere in opposizione tra loro gli agricoltori e gli ecologisti. La lotta contro i mega-bacini secondo il governo è portata avanti solamente dagli ecologisti esterni dal territorio che non comprendono nulla delle sfide e delle difficoltà del mondo agricolo. Tuttavia, gli agricoltori lottano contro l’accaparramento dell’acqua da anni, i conflitti interni al mondo agricolo sono sovente molto forti, ma spesso smussati e non riconosciuti.

Durante la manifestazione della Primavera contadina nel marzo 2022, i trattori dei contadini impegnati contro i mega-bacini sono stati invisibilizzati, in parte perché non hanno potuto raggiungere il corteo dei manifestanti a causa del blocco dei poliziotti. Dopo l’esplosione mediatica dell’argomento, e la focalizzazione sulle violenze, è sembrato indispensabile ribadire la forte presenza degli agricoltori in questa lotta. Un convoglio di cinquanta trattori provenienti da tutta la Francia si è preparato a venire alla mobilitazione, con l’obbiettivo di raggiungere il campeggio di venerdì. La presenza dei trattori si è fatta ancora più cruciale dal momento che FNSEA aveva appena manifestato qualche giorno prima, il 22 marzo a Rochelle, a favore dei bacini e dei pesticidi.

Questi pochi elementi di contesto spiegano perché abbiamo organizzato non solo una manifestazione, ma ben tre eventi distinti e al contempo complementari:

  • Delle discussioni, conferenze e tavole rotonde con delle persone venute dall’estero, concerti, mense e bar per 10.000 persone
  • Un convoglio di trattori, accompagnato da diversi convogli di macchine, tra il venerdì e il sabato mattina
  • Una manifestazione di più di 20.000 persone che doveva aver luogo in un altro posto fuori da Melle, in una località che non aveva le infrastrutture per ospitare così tante persone.
  1. Tattiche e terreno conosciuto

L’esito drammatico della manifestazione di sabato e le follie che sono proseguite con le dichiarazioni di Darmanin e i suoi hanno largamente invisibilizzato la diversità presente all’interno di questo weekend. Se oggi il nostro sguardo si concentra sullo sviluppo della giornata di sabato, è importante ricordare altri elementi che riflettono l’eterogeneità dei modi di partecipazione al week-end. A Melle, malgrado la pressione esercitata dai controlli di polizia incessanti, più di 20.000 persone si sono incontrate e hanno vissuto dei momenti di condivisione

Manifestazione giovedì, camping il venerdì

L’installazione del campeggio era inizialmente prevista per giovedì, ma per coordinarsi con il movimento contro la riforma delle pensioni, abbiamo deciso di installarlo solamente dopo la manifestazione sindacale. Inoltre, la logistica dell’evento di Melle evocata prima ha occupato molte delle nostre forze, quella del campeggio era più precaria e non ci permetteva di accogliere migliaia di persone su più giorni. Infine, è stato ancora più importante mantenere segreto il più a lungo possibile il giorno e il luogo, dal momento che un campeggio era stato già organizzato l’ottobre scorso e che la Prefettura poteva prevederlo e rendere ancora più difficile l’installazione. Malgrado ciò, 300 persone sono riuscite a dispiegarsi il venerdì mattina, secondo un’organizzazione meticolosa in una zona transennata da più di una settimana per portare tende, strutture mediche, generatori, servizi igienici a secco, ecc. il tutto in barba al dispositivo poliziesco, per installare un campeggio che ha ricevuto circa 5.000 persone il venerdì. Ma dopo una tale operazione, non restava che poco tempo di discussione per preparare la manifestazione del giorno dopo.

Be water, anche sul trattore

All’inizio del pomeriggio, un ritrovo pubblico è stato annunciato a Lusignan, dove il convoglio di trattori doveva ricongiungersi con delle delegazioni internazionali per una conferenza stampa. Avvicinandosi a Lusignan, è stato chiaro che il prefetto di Vienne e di Deux-Sèvres avrebbe fatto di tutto per impedire ai trattori di raggiungere successivamente il campeggio. Per mettere tutte le possibilità dalla loro parte, i contadini hanno deciso di allontanarsi da Lusignan per direzionarsi direttamente sulla N10 per accorciare il tragitto. Questo cambiamento di percorso imprevisto ha obbligato i poliziotti a distribuirsi sulla N10 e a bloccare le uscite dalla nazionale nella fretta. In reazione a ciò, un corteo di più centinaia di persone si è staccato dal campeggio per dare man forte ai contadini. Di fronte all’impressionante dispositivo inserito all’uscita della nazionale e sui ponti sopra la LGV, che rendevano quasi impossibile l’accesso al campeggio dalla nazionale, il corteo ha deciso di invadere le strade. Questa azione ha forzato una parte del dispositivo di gendarmeria a lasciare la propria posizione per intervenire, liberando conseguentemente uno dei due ponti. Alla fine del pomeriggio, la Nazionale 10 e la LGV Paris-Bordeaux erano bloccate. Malgrado i tentativi di negoziazione dei porta parola della Confédération paysanne, le autorità hanno rifiutato continuamente di lasciare passare i trattori. Di fronte all’inflessibilità delle autorità, i contadini hanno improvvisato. A qualche chilometro dall’ultima uscita che permetteva di raggiungere il campeggio, i trattori sono scappati alla loro scorta attraverso un’uscita di strada unica: hanno lasciato la strada a quattro corsie per dare il via a una gara con la gendarmerie sulle strade di campagna, prima di riuscire ad infiltrarsi in una zona interdetta e passare in extremis il ponte liberato poco prima. I trattori sono arrivati gioiosi al campeggio alla fine della giornata. L’installazione del campeggio e il passaggio del convoglio ci mostrano: prima di tutto che attraverso la pianificazione minuziosa con una composizione larga e l’improvvisazione reattiva, è in qualche modo possibile ostacolare un dispositivo asimmetrico. E in secondo luogo, noi siamo più forti in movimento. Questa intuizione è rinforzata dal susseguirsi degli eventi del giorno dopo dove in una certo modo, la conflittualità e lo scontro si sono congelate in una guerra di posizione, visibilmente deplorevole per noi.

La ripetizione non è una ragione

Se oggi orientiamo il nostro sguardo sul sabato, possiamo comprendere che la ripetizione tattica tra la prima battaglia di Sainte-Soline e la seconda appare come un grande errore. Dopo l’evento, facciamo fatica a ripercorrere i passi che ci hanno portato a quel punto. Malgrado il buonsenso che vorrebbe non si provasse due volte lo stesso colpo, è come se una progressiva riduzione del raggio d’imbuto ci spingesse a ripetere lo stesso movimento.

In un certo modo, non siamo riusciti a modificare lo schieramento tattico dei cortei dopo la manifestazione di ottobre. In questa piatta campagna dove le distese si estendono a perdita d’occhio, non esistono molte vie possibili. È per questo che, quel giorno, abbiamo pensato nuovamente di andare sul bordo del bacino, per tentare di accerchiarlo, e di accedere nel caso in cui la situazione l’avesse permesso. Tuttavia, non eravamo disposti a entrare a tutti i costi.

Con i vincoli topografici che conosciamo bene, un’ampia area aperta da attraversare per accedere al bacino sovrastante, la difficoltà era quella di riuscire a creare un effetto sorpresa. Ma dal momento che avevamo annunciato pubblicamente di andare a Sainte-Soline e/o Mauzé sur le Mignon, non pensavamo di poter mantenere alcun segreto per quanto riguarda gli obiettivi della giornata. Il campeggio era fuori dalla zona rossa, noi eravamo preoccupati della possibilità di ritrovarci bloccati e di imbatterci in un dispositivo al confine con la zona rossa, provocando uno scontro a chilometri di distanza dal bacino. La Prefettura poteva legalmente fermarci davanti alla zona rossa, ma la gendarmerie aveva imparato la lezione di ottobre. Il mattino, abbiamo constatato con sollievo che i ponti attorno a Vanzay erano liberi. Stabilendo un fortino attorno e dentro il cantiere dei bacini, lo stato maggiore della gendarmerie si è assicurato una posizione difensiva forte. Il fortino era prevedibile, malgrado ciò, non avevamo avuto il tempo né la creatività per comunicare e superare questa situazione. È stato difficile forzare la gendarmerie a uscire dal bacino. Le tubature fanno parte degli strumenti, noi lo diciamo regolarmente, ma le difficoltà tecnica per disarmarli non permetteranno a priori di ottenere un obbiettivo condivisibile da decine di migliaia di persone. Malgrado tutto abbiamo pensato che se fossimo arrivati al bacino, il numero ci avrebbe permesso di circondarlo e avrebbe permesso di abbattere nuovamente i cancelli e di interrompere i lavori, almeno temporaneamente.

  1. Cambiamento di scala

Il 25 marzo segna un salto nella partecipazione al movimento contro l’accaparramento dell’acqua. Come coordinarsi e continuare a muoversi insieme tenendo conto di questo cambiamento di scala? La crescita considerevole dei cortei implica l’evoluzione dei modi di trasmissione dell’informazione e di presa di decisione collettiva, prima e durante la manifestazione. Uno sviluppo che non avevamo ben previsto.

In effetti, cerchiamo di ingrandire delle lotte singole, a farle risuonare nello spirito nella speranza che l’entusiasmo che suscitano provochi il superamento dell’impulsione iniziale, che la situazione ci travolga e renda così indecifrabile e imprevedibile per i nostri nemici la nostra capacità di emergere e coordinarci. Questo superamento è da un lato qualcosa che non si può e non si vuole controllare e che sorpassa le nostre forze. Quando una lotta arriva a quel punto, risveglia in decine di migliaia di persone la speranza di vincere di fronte a qualcosa di più grosso di sé stessi. La prima battaglia di Sainte-Soline aveva superato le nostre aspettative, ci siamo rallegrati di questo superamento e ci siamo augurati di vederlo nuovamente sorgere senza sufficientemente prendere in considerazione le misure di ciò che implica un cambiamento di scala.

Questo cambiamento di scala nella partecipazione rispetto ai numeri di ottobre ci ha spaventati e allo stesso tempo ci ha rallegrati. Abbiamo provato a creare le condizioni che avevano permesso di accedere al bacino durante la prima battaglia avendo la stessa scala in mente. Ma guidare tre cortei di 2.500 persone non è la stessa cosa di coordinare tre cortei di 10.000 persone. Le forze coinvolte implicate nell’organizzazione del dispiegamento e i mezzi di comunicazione messi in atto avrebbero dovuto adattarsi al cambiamento di scala. Indubbiamente non siamo riusciti ad anticipare quello che ha generato un tipo di dispositivo quale il fortino. Appena è stato constato, è stato difficile dirottare completamente le nostre energie collettive dall’obbiettivo simbolico che costituiva il cantiere, ma forse potevamo immaginare dei mezzi per non scontrarci così frontalmente.

La nostra strategia abitudinaria che consisteva nell’ostacolare e circondare il dispositivo poliziesco è stata minata dalla prefettura e dall’inerzia e la difficoltà di comunicare all’interno di una folla già slanciata. Il primo corteo dell’otarda rosa è arrivato sul posto gioiosamente per formare una sorta di catena umana attorno alla facciata ovest del bacino. Ha ricevuta una pioggia di granate lacrimogene, ma ha resistito per un’ora e mezza. Delle persone di qualsiasi età compatte facevano massa, avanzando in linea e interrando i lacrimogeni. Quando l’otarda rosa è arrivata a contatto con il dispositivo poliziesco usando come unica arma contro la linea della gendarmerie degli animali gonfiabili, delle granate offensive sono piovute anche su questa parte del corteo. Nel frattempo, un insieme di piccoli gruppi più mobili hanno avanzato per cogliere l’opportunità di sfondare il cordone di gendarmi nel punto di arrivo della folla principale. Hanno esercitato una pressione incessante sull’apparato di polizia. Il resto dei cortei dietro, più grosso e meno mobile, è stato assalito dalle granate e dall’incapacità di coordinarsi.

Le cose sono accadute velocemente, senza un piano alternativo prestabilito, e senza la capacità d’improvvisazione in un evento di tale portata. Sarebbe stata necessaria una bella pausa per prendere in considerazione qualcos’altro, ma non avevamo più tecnicamente questa possibilità. Quando la gravità del numero dei feriti è stata condivisa da un corteo all’altro l’inadeguatezza dei mezzi che ci si era dati collettivamente è diventata lampante. Innanzitutto per evacuare i feriti e poi per comunicare tra tutti i cortei. Anche se l’evidenza non è stata condivisa da tutti, non abbiamo spinto per un ritiro collettivo dell’area.

In questo stadio gli altri gesti effettuati in parallelo dai contadini o da altri corte per costruire una serra, piantare delle siepi o smontare una delle reti di alimentazione del bacino sono sembrati irrisorie e relativamente invisibili.

A causa di questo imperativo di scala, un lavoro immenso è stato fatto dalla retroguardia in termini di organizzazione, di strutturazione e di accompagnamento prima, durante e dopo la manifestazione. Inscritta nel coordinamento, ma anche organizzata come una struttura completamente a parte, si è adattata al cambiamento di scala. E partiamo da lontano. Per fare un esempio, a ottobre il supporto psicologico o la lotta alla violenza di genere in occasione di eventi di questo tipo erano quasi impensabili nella nostra organizzazione. Parallelamente in qualche mese il centralino dell’Infoline è passato da una persona sola, a tempo parziale, a un team attivo 24 ore su 24 dal giovedì alla domenica, mobilizzato per aiutare i partecipanti a unirsi al week-end. Dal mese di ottobre e dalla necessità di tenerne conto, si è messo in moto un bel processo organizzativo, che si è poi rivelato un prezioso contributo al fine settimana e al suo seguito. Il lavoro della retroguardia, come quello legale, è ancora in corso. Per quanto riguarda l’azione, dobbiamo capire dove il cambiamento di scala necessario non è stato sufficientemente anticipato. Più in generale, abbiamo bisogno di una vera e propria comprensione degli effetti di massa, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione a monte e le modalità di circolazione delle informazioni.

  1. Di fronte al mantenimento dell’ordine delle cose

Le violenze poliziesche e la loro legittimazione da parte dello stato non sono una novità. Si evincono da sempre sulla popolazione relegata e invisibilizzata. Per molto tempo sono restate un’astrazione lontana alla maggior parte dei cittadini di questo paese. Dovevano emergere movimenti di lotta spontanei e straripanti come i gilets gialli, movimenti giovani come i cortei di testa contro la loi travail nel 2016 e della ZAD, per far sì che le armi che mutilano gli abitanti delle banlieues, arrivassero a minacciare tutto ciò che si muove. Sainte-Soline è uno degli ultimi esempi. Il rischio di perdere un arto o di morire per fare esistere un altro mondo è sempre più condiviso. Le giovani generazioni lotteranno e vivranno con questo.

Se ci potevamo aspettare gas lacrimogeni, granate, blindati e tutto l’arsenale militare schierato abitualmente, non ci attendevamo un diluvio simile. Visti i diversi “errori” fattuali fatti dal servizio di comunicazione della gendarmeria del Ministero dell’Interno, è difficile dare credito alle cifre avanzate, ma possiamo tentare un confronto: alle 5.000 granate tirate in 2 ore, bisogna considerare le 11.000 granate tirate in una settimana sulla ZAD di NDDL nel 2018. Nonostante il ricordo della morte di Rémi Fraisse, non eravamo pronti a interfacciarci a una tale volontà di uccidere. Una linea è stata oltrepassata.

In piena contestazione della riforma delle pensioni, in una sequenza politica dove l’ecologia si carica di conflittualità, il governo ha voluto scioccare assumendo il fatto di mutilare e la possibilità di uccidere. È un’occasione in più per vedere senza trucco l’espressione normale della violenza legittima rivendicata dallo Stato. È su questo piano che Macron posiziona il dibattito sostenendo che la folla non è legittima.

Il dispositivo di mantenimento dell’ordine è stato fatto per spezzare le nostre forze al di là di questa giornata. Ed è ancora di questo che il RETEX della gendarmerie si felicita: averci fatto rientrare “demoralizzati” al campeggio. L’ostruzione dell’accesso ai soccorsi per le persone in pericolo di vita rivela questa strategia della tensione. Malgrado gli sforzi forniti dalle équipes mediche presenti in loco, prendiamo atto che dovremo contare più che mai su noi stessi per difendere i nostri amici e permettere loro di essere curati in buone condizioni.

Lo Stato ha militarizzato la questione dell’acqua. Quel giorno, ha fatto di quel cratere il simbolo della sua autorità, una metafora del suo potere. Andiamo contro i cantieri dei mega-bacini per attaccare la possibilità che continuino a investire così tanti soldi nei lavori e per mostrare la loro vulnerabilità. Le nostre forze non sono uguali. Nonostante ciò, la determinazione a oltrepassare le linee della gendarmerie è stata impressionante. La dispersione del nostro corpo collettivo non ha scoraggiato lo slancio di certe persone per attraversare le linee. Questo desiderio ha animato una parte dei cortei, anche se era irraggiungibile nell’insieme. La riuscita delle mobilitazioni precedenti si è giocata sul fatto che tutti i manifestanti hanno potuto partecipare attivamente al “passaggio”. Ma passare per andare dove? La maggior parte delle migliaia di persone presenti il 25 marzo non poteva partecipare a questo gesto. La folla, tenuta a distanza dalla pioggia di granate, si è trovata spettatrice di questo momento senza poter agire. I cortei hanno attaccato i cancelli del cantiere e una parte del dispositivo poliziesco che li proteggeva è stato messo in difficoltà per un momento. Ma è chiaro per noi che una tale frontalità è stata troppo costosa. E le parole non sono mai sufficienti o sono sempre maldestre quanto si tratta di scriverle o di pronunciarle.

Ovunque è stato preso il tempo per discutere, per ascoltarsi. Molti hanno ricordato le tattiche evasive che avevano portato al successo di ottobre. Molti tra noi hanno percorso le strade le settimane dopo con una certa tristezza e una nuova apprensione. Le settimane passate hanno ravvivato in noi una collera e una rabbia che si è diffusa largamente. Una collera e una rabbia che scacciano la rassegnazione.

Conclusioni temporanee

Lo scorso ottobre, quando stavamo sistemando il campeggio il giorno dopo di quella che noi chiamiamo oggi “ la prima battaglia di Sainte-Soline” ci siamo domandati: come andare più lontano? Come fare per ottenere l’abbandono definitivo dei progetti sui bacini? Sono delle domande che hanno animato il coordinamento durante i 4 mesi di preparazione del 25 marzo. Ancora oggi non siamo sicuri di aver ben misurato quello che aveva suscitato quel week-end di ottobre. Aveva aperto una forma di speranza sulla questione dei bacini o più in generale sulle lotte ecologiste? Sulla questione vitale dell’acqua? Abbiamo assistito all’emergere di un simbolo, con tutta l’ambivalenza tra speranza e aspettativa che poteva contenere: i mega-bacini come simbolo dell’aberrazione climatica dell’agroindustria e della totale fedeltà delle autorità a quest’ultima.

Nella memoria corta delle lotte a cui abbiamo partecipato, non abbiamo mai vissuto quello che è successo il 25 marzo. Gli attacchi ai cantieri fortificati li avevamo già vissuti a Sivens, ma anche nella Val di Susa, dall’altra parte delle Alpi, durante la lotta NO TAV. La soglia di intensità che è stata oltrepassata a Sainte-Soline e la violenza repressiva ci impone di riflettere sulle nostre impasses tattiche utili a superarla. La lotta contro i mega-bacini è appena cominciata. Non potranno fare di ogni bacino un cantiere fortezza. Se venissero istituiti ovunque dei comitati locali, non sarebbe solo un progetto ad essere attaccato, ma decine di progetti. Dopo Sainte-Soline, la lotta avrà bisogno di reinventare le sue forme di intervento per riprendere fiducia nella sua capacità collettiva e produrre delle azioni impattanti mantenendo una composizione larga.

Curiamo le nostre ferite e pensiamo ai feriti. Dobbiamo raccogliere i pezzi delle diverse storie di ciò che è stato questo giorno per ognuno di noi. Continueremo a manifestare a sostegno dei feriti, a lottare contro l’accaparramento dell’acqua e a percorrere le strade contro la riforma delle pensioni, perché esiste una continuità tra questi diversi fronti. Questi soggetti sono legati, sostenuti dallo stesso progetto macroniano, ottuso e odiato, che non fa altro che distruggere finchè i mercati non si sentono rassicurati. La mobilitazione contro la riforma è enorme, la presa di coscienza sulle questioni ecologiche anche. L’assenza della dissociazione e la solidarietà di un largo spettro politico è un fatto notevole. La sfiducia nell’esecutivo è pari solo alla rabbia suscitata dalle immagini delle violenze poliziesche proiettate ogni giorno al telegiornale e sui social.

Il tentativo di Macron di ricomporsi al lago di Serre-Poncon è interessante perché dimostra che coloro che hanno marciato a Sainte-Soline sono riusciti a mettere all’ordine del giorno la questione dell’acqua. Con il suo “piano acqua”, il potere ha approfittato dello shock per sviluppare il suo discorso bugiardo sull’acqua, i mega-bacini e l’annullamento del divieto di utilizzo di un pesticida. Questa operazione di comunicazione del Presidente è stata spazzata velocemente via dall’inquietante realtà dell’inquinamento dell’acqua potabile. Non passa giorno senza un articolo sull’acqua, sulla sua scarsità o sulla sua contaminazione. Il problema è reale, il soggetto parla a un numero sempre maggiore di persone e le sensibilità sono favorevoli alla rivolta. La battaglia dell’acqua è aperta, continuare a lottare è vitale, prepariamoci per il futuro.

Dex partecipanti di Soulèvements al coordinamento per il 25 marzo.

PS: Se voi o i vostri compagnx siete stati feriti, ricordiamo che è possibile inviare anonimamente delle testimonianze a questo indirizzo: temoignages-25mars@riseup.net e che è possibile chiedere un sostegno finanziario tramite la raccolta fondi ospitata dal collettivo Désarmons-les! Scrivendo qui: solidarite-soline@riseup.net

RIRCODIAMO POI LA RACCOLTA FIRME!

NOI SIAMO LES SOULEVEMENTS DE LA TERRE

Ci solleviamo, ognunx dal proprio luogo, ognunx a modo suo. Il movimento Soulèvements de la Terre non può essere dissolto perché è multiplo e vivo. Non si può dissolvere un movimento, non si può dissolvere una rivolta. Chiediamo a tuttx di unirsi a noi per annullare questo tentativo di soffocamento. Noi siamo, tuttx insieme, i Soulèvements de la Terre.

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Da Soulevement de la Terre

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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