Alluvione 2020, il ritorno delle nutrie?
Sei anni dopo l’ultima alluvione ampie zone della nostra provincia ritornano ad andare sotto.
“Se non si costringe Aipo a fare in fretta gli interventi necessari, finiremo tutti sott’acqua e, prima o poi, potrebbe scapparci il morto” avvertivano già nel gennaio 2012 gli agricoltori di Sozzigalli, frazione di Soliera adiacente alle sponde del Secchia, prima che gli argini di quello stesso fiume si rompessero nel 2014. A sei anni di distanza da allora sono gli argini di quell’altro fiume, il Panaro, ad aver ceduto e zone della città e della provincia “stretta fra i due fiumi” sono tornate ad allagarsi.
Quest’anno, a differenza del 2014, non si è ancora data la colpa alle nutrie eppure sembra che, prima o poi, i conti con il modello di sviluppo al quale stiamo obbedendo ciecamente, conti politici non solo idrogeologici, dovremmo cominciare a farli.
Di nostro ricordiamo soltanto che lo stesso giorno in cui la nostra provincia tornava ad andare sottacqua, con centinaia di famiglie prigioniere nelle proprie case senza luce e riscaldamento, sulla Gazzetta di Modena, il capogruppo del Pd in Area Nord, Paolo Negro, con tempismo perfetto, tornava a domandare di aprire i cantieri dell’autostrada Cispadana evidenziando, una volta ancora, quanto possano divergere anche in questo territorio gli interessi e le priorità di governanti e governati.
Di seguito pubblichiamo alcuni interventi sul tema presi dalla rete.
Foto in copertina: Michele Lapini, Modena area, 06.12.2020.
Dunque, ricapitoliamo. La Regione Emilia Romagna chiederà lo stato di emergenza per lo straripamento del Panaro. Però nel frattempo autorizza la creazione di un polo logistico (Altedo) da 400.000 mq di superficie utile (40 ettari, 80 campi da calcio) senza collegamenti ferroviari, che impermeabilizza un’enorme area di campagna e costringe le merci a viaggiare su gomma. Discute (forse anche domattina, nella Commissione Territorio, Ambiente, Mobilità) di come allargare le maglie già troppo permissive della legge 24 del 2017, per liberalizzare ulteriormente il consumo di suolo. Promuove i tecnici pronti a stendere pareri compiacenti con gli appetiti edificatori, e isola quelli che invece tengono la schiena dritta ed evidenziano le contraddizioni tra obiettivi di sostenibilità e consumo di territorio vergine. Delibera e finanzia costruzione di nuove bretelle autostradalli e nastri di asfalto.
Tutto questo mentre sappiamo che è proprio l’impermeabilizzazione del suolo e la canalizzazione artificiale dei corsi d’acqua ad aumentare la velocità di scorrimento che genera i picchi di piena ed accelera il cedimento degli argini e gli straripamenti. Ed è ancora l’edificazione in aree golenali o di rispetto fluviale (dove i fiumi storicamente esondano in caso di piena) a rendere drammatiche le conseguenze di una rotta, che altrimenti resterebbe un fenomeno naturale che si ripete ogni tot anni.
Caro presidente Bonaccini, cara vice Schlein, cari assessori che gestite quello spezzatino di deleghe altrove chiamato “Sostenibilità ambientale”, che senso ha invocare lo stato di calamità naturale mentre si mandano avanti politiche e scelte amministrative che amplificano, se non generano, quella stessa calamità?
Un ordinario evento catastrofico
Oggi ha ceduto un argine di un’ansa del fiume del Panaro, a est di Modena, con vasti allagamenti nella periferia di Nonantola. L’acqua continua a uscire a decine di migliaia di litri al secondo.
Questa è l’ultima di una lunga lista di superamenti o rutture di argini che hanno colpito l’Emilia-Romagna recentemente determinando danni ingenti, allagamenti, morti:
17 Novembre 2019 (Idice)
Maggio 2019 (Savio e Montone)
2 Febbraio 2019 (Reno)
12 Dicembre 2017 (Enza e Parma)
14 Settembre 2015 (Nure)
13 Ottobre 2014 (Baganza)
5 Marzo 2014 (Quaderna)
19 Gennaio 2014 (Secchia)
La pianura sta diventando sempre più a rischio alluvioni, principalmente per un aumento della frequenza e intensità di questi eventi. Non so quanto a lungo possa essere difesa sinceramente.
La pioggia caduta nelle ultime 48h sul crinale è prossima o superiore (in alcuni punti) ai record storici che vanno indietro fino alla prima metà del secolo scorso. La quantità degli ultimi due giorni è la fotocopia, ma un tantino peggio, di quello che ha portato alla rottura dell’argine del Reno nel Febbraio 2019. Vedete la comparazione delle piogge osservate* nei due casi, accaduti a meno di due anni uno dall’altro. I fiumi arginati di pianura non riescono a smaltire l’enorme volume d’acqua di questi eventi che ormai NON SONO ECCEZIONALI, si ripetono più o meno con frequenza annuale.
Prendiamo la stazione di Monteacuto delle Alpi (Bo), sullo spartiacque fra Reno e Panaro. Dalle 6 di venerdì 04/12 alle 6 di oggi (6/12), sono caduti 370mm, record* dall’inizio delle misure nel 1921. Nel Feb 2019, quando si verificò la rottura dell’argine del Reno, in due giorni ne caddero complessivamente 262mm, pari ad un tempo di ritorno supeririore ai 20 anni.
E siamo di nuovo qua a ripare danni, evacuare gente etc. Però questa volta basta chiamarlo evento eccezionale, diciamo pure che ci troviamo di fronte ad una nuova tipologia di fenomeni, più intensi, con precipitazioni anche persistenti (come accade normalmente in autunno inverno) ma allo stesso tempo intense e temporalesche (tipiche dell’estate) anche in inverno. Ieri ci sono stati temporali anche sulle Alpi. Diciamo che sappiamo dove dovremmo investire nei prossimi anni, nell’adattamento al #cambiamentoclimatico, nella manutenzione dei nostri corsi d’acqua, nella loro rinaturalizzazione, nello spostamento degli insediamenti più a rischio, nella riduzione delle emissioni e sicuramente fermare immediatamente il consumo di suolo. Se non sapete come spendere il Recovery Fund, be qua c’è da fare per decine d’anni.
*La prima mappa è tratta dal portale Allerta Meteo della Regione Emilia-Romagna (bollettino di monitoraggio), il portale che tutti i cittadini della regione dovrebbero conoscere. la seconda relativa al caso del Feb 2019 è tratta dall’omonimo report d’evento.
Alluvione 2020: chi pagherà per tutto questo?
Martoriata da cemento, bretelle, consumo di suolo, concessioni edilizie, incuria e disinteresse in nome dell’affarismo più bieco e predatorio, la nostra terra è fragile.E se la terra è fragile, lo è anche la sua gente. Le nostre comunità.Guardiamoci in faccia. Non siamo più in emergenza: siamo in una nuova normalità. E tutti gli anni sarà sempre peggio.È la nuova normalità del cambiamento climatico e della crisi ecologica.
Che non è solo crisi ambientale, ma crisi di un intero modello di sviluppo, di produzione, di lavoro, di rapporto col territorio, di rapporti sociali: quello capitalistico.
Non è più quesione di evitare la crisi climatica ed ecologica, è questione di saperla affrontare. Affrontare l’inevitabile. Bisogna riflettere su dove si vive e come si vive, e come cambierà in futuro, un futuro che è già qui e cominciamo a toccare con mano.Ma non è solo con l’appello alla buona coscienza dei comportamenti individuali che si potranno cambiare le cose.Il cambiamento climatico non è una scusa. La questione è politica. La questione è di potere. Potere di chi decide. Su cosa produrre, su come farlo, sulla priorità dei bisogni. Sull’organizzazione del territorio, sulla difesa delle comunità, sulle nostre vite.
Di chi pagherà per tutto questo. L’ennesimo disastro che si poteva evitare.La riproduzione sistemica del capitale si è disconnessa dalla riproduzione sociale e della vita complessive. Destra e sinistra sono due facce dello stesso modello che ha portato il nostro territorio ad essere martoriato.Rompere radicalmente con questo modello, difendere la nostra terra, è diventata una questione di sopravvivenza.
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