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Crisi idrica in Basilicata

In questi giorni la Basilicata, in particolare la rete di 29 comuni in provincia di Potenza, è rimasta senz’acqua: sono ancora in corso i razionamenti e questa crisi idrica senza precedenti lascia a secco più di 140mila persone.

da Radio Blackout

Fino a poco tempo prima la rete era approvvigionata attraverso il lago Camastra, invaso artificiale, oggi prosciugato. E’ paradossale che la Regione sia ricca di acqua e sorgenti, ma per la maggior parte, questa risorsa viene dirottata su altri territori. Tornando indietro nel tempo, come sottolinea Rosario Gigliotti di Acqua Pubblica, questa crisi sarebbe potuta essere prevedibile ma qualche periodo di pioggia ha permesso di chiudere gli occhi agli enti responsabili della gestione dell’acqua e alle istituzioni rimandando un intervento strutturale necessario relativamente alle dighe, alla rete e ai pozzi.

Nel frattempo è stata dichiarata potabile l’acqua del fiume Basento, soluzione contestata dai residenti che hanno anche manifestato sotto la Regione Basilicata in quanto sospetta di essere inquinata.

Il tema al centro è che l’acqua da risorsa da tutelare e da garantire viene trasformata in merce utile al profitto e la popolazione è costretta a pagarne le conseguenze, nonostante il clamoroso successo del referendum sull’acqua pubblica del 2011. Sono previste iniziative e la volontà di fare rete a livello nazionale è forte.

Di seguito ripubblichiamo il comunicato stampa di Acqua Pubblica Basilicata

“Abbiamo ascoltato le parole delle Istituzioni, parole che non rassicurano affatto e che prefigurano una situazione ancora critica almeno fino a tutto il 2026”

La crisi idrica in Basilicata sta diventando di ora in ora una crisi sociale ed economica. È per questo che cittadini, sindaci, associazioni, sindacati, partiti si sono mobilitati in assemblee e presidi e continueranno a farlo, anche al di là dell’emergenza. È un dovere civico e non è un caso che da sabato scorso il Comitato Acqua pubblica sia stato intitolato a Giuseppe Di Bello, un uomo che si è speso in ogni modo in questa nostra regione, per difendere ambiente e diritti, tracciando una strada di impegno per tutte e tutti.
È di queste ore la costituzione di un comitato di mamme, comprensibilmente allarmate per la salute dei loro figli. È il segno che qualcosa si deve essere rotto nel rapporto di fiducia con le Istituzioni. È un grande sforzo provare a contenere la giusta rabbia e preoccupazione dei cittadini, per farle confluire in un percorso di democrazia, che guardi al futuro in una chiave nuova, senza eludere le gravi responsabilità che hanno determinato questa crisi e senza rassegnarsi a disegni perversi, secondo i quali l’acqua è destinata ad essere un’occasione per costruire grandi profitti, in grado di condizionare la vita delle persone e perfino la democrazia.

Abbiamo ascoltato le parole delle Istituzioni, parole che non rassicurano affatto e che prefigurano una situazione ancora critica almeno fino a tutto il 2026. Sono parole che non fanno chiarezza sulle responsabilità. Al contrario, il presidente e commissario Bardi ha detto, in premessa del suo intervento in Consiglio regionale, che non è opportuno parlare adesso di responsabilità e che, al massimo, se ne potrà discutere a crisi conclusa.

La giornata di sabato si era aperta con l’intervista al dott. Decollanz, prima commissario di EIPLI e attualmente amministratore delegato della società di recente costituzione Acque del Sud s.p.a.. Il dott. Decollanz proprio non ce l’ha fatta a non mostrare l’arroganza di chi dovrebbe limitarsi a rispondere del suo operato, e così si è preso il lusso di definire “qualunquisti da marciapiede”, quelle donne e quegli uomini che ancora oggi erano insieme per rivendicare trasparenza. Nel suo lungo intervento, Decollanz ha provato a chiarire che le responsabilità ci sono, ma anche no. E il fatto che nel 2020 si era sfiorata una crisi identica a quella attuale, questo non avrebbe dovuto forse creare un campanello d’allarme? E il fatto che in 20 anni tra il 1998 e il 2018 almeno dieci volte il saldo a fine estate mostrava una perdita di oltre 10 mln di mc nell’invaso, non avrebbe forse dovuto far immaginare che, partendo da 9 mln di mc, con grande probabilità si sarebbe finito per svuotare completamente l’invaso del Camastra? Tutto questo senza pensare e predisporre nel frattempo soluzioni alternative al prelievo d’acqua nel Basento a valle di un depuratore.

Non ci confortano, in proposito, le parole del dott. Lucentini, esperto dell’ISS, che, in maniera del tutto generica, ha detto che l’acqua dei fiumi può essere potabilizzata, citando l’esempio della città di Firenze che preleva l’acqua del fiume Arno. Peccato che il dott. Lucentini abbia omesso di dire che a Firenze l’acqua per usi umani si preleva e viene potabilizzata a monte della
città di Firenze, mentre il depuratore che raccoglie i reflui della città si trova a valle, come direbbe il buonsenso, oltre che la tecnica. In Basilicata, invece, rinnovando la fiaba del lupo e dell’agnello di Esopo, si fa l’esatto contrario: l’acqua da bere si preleva all’uscita di un depuratore dopo averla mescolata con l’acqua di un fiume, il Basento, già oggetto nei suoi affluenti di inchieste della magistratura per inquinamento chimico.

E poi, in un ciclo quasi perfetto, la si preleva per un altro giro e un altro e un altro ancora. Verrebbe da suggerire questo metodo anche a tutte le altre regioni in crisi d’acqua. Funziona, fate come noi. Ma la domanda è: funziona davvero? E soprattutto a quali conseguenze potrebbe condurre, quali strade potrebbe aprire, in relazione a grandi interessi, ad esempio sui potabilizzatori di ultima generazione?
Non sta a noi mettere in discussione le analisi eseguite, ma non ci sembra che sia stato fatto davvero ciò che da giorni chiediamo: trasparenza e metodo scientifico.

Qual è il ruolo del dott. Lucentini? Avevamo chiesto che ISPRA e ISS definissero, coordinassero e verificassero il piano di monitoraggio delle acque, assumendone insieme agli enti regionali una piena responsabilità. Sembra, invece, che il dott. Lucentini, nella sua qualità di direttore del Centro nazionale Sicurezza delle acque, si sia limitato ad una consulenza, ricca di consigli e avvertimenti rivolti all’Amministratore Unico di Acquedotto Lucano S.p.a., certamente molto utili e che si spera vengano accolti dalle diverse istituzioni ed enti regionali coinvolti.
È bene chiarire che quando si parla di responsabilità non si parla solo di responsabilità tecnica, ma di una responsabilità riferita alle normative sulle acque e sulla salute dei cittadini. Questo implica che, sebbene si operi in un contesto emergenziale, ogni soluzione deve essere inserita in un quadro di chiarezza tecnica e giuridica, affinché essa non costituisca un precedente pericoloso, non solo per la nostra regione, ma anche per il resto d’Italia.

Di fronte a tutto questo, sentiamo ancora una volta la necessità di chiedere trasparenza ed anche atti conseguenziali ai diversi livelli di responsabilità, sia riguardo al passato sia riguardo al futuro.
Chiediamo che gli impegni riguardo alle soluzioni strutturali indichino con chiarezza gli obiettivi, gli strumenti e i tempi.
A quando un piano delle acque, nel quale siano individuate e mappate tutte le sorgenti con i dati relative alle portate mensili? A quando un piano che preveda l’introduzione in rete di nuove sorgenti, al fine di migliorare la qualità delle acque, limitando il più possibile l’utilizzo degli invasi per uso potabile?

A quando un impegno concreto, rispetto al quale misurare la capacità amministrativa e gestionale, sulla riduzione delle perdite nella rete idrica, che oggi sfiorano drammaticamente il 70%? Sia chiaro, si tratta di impegni che non si traducano solo in soldi da spendere e soldi spesi, ma anche nella definizione dei risultati da conseguire e in quali tempi. Non è più tempo di prese in giro.
E se questo è il modo di guardare alla salute dei cittadini, alla qualità della vita, alla tutela dell’ambiente e alle generazioni future, non possiamo non ribadire che l’acqua è e deve restare un bene comune. Per l’acqua pubblica si sono già espressi 26 milioni di cittadini di italiani, e in spregio di questa volontà sull’acqua, in Basilicata come in altre parti d’Italia, si lasciano esplodere le crisi per poi trasformarle in occasione di profitto.
Vogliamo ancora credere che in questa regione, per una volta, ci sia un sussulto di dignità e che le Istituzioni, le stesse che portano sulle loro spalle la responsabilità di questa crisi, sappiano difendere l’acqua bene comune, affinché con l’acqua non siano svenduti anche diritti e democrazia.

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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