Rischio Chernobyl il peggio non è passato e i tentativi sono vani
E’ chiaro ormai che i tentativi di abbassare la pressione nel contenitore primario rilasciando in atmosfera i gas contaminati (venting), non sono stati risolutivi: la distruzione della camera di soppressione del reattore n.2 indica che la miscela esplosiva di gas ha invaso tutte le strutture di contenimento. D’altra parte il tentativo di raffreddare il nocciolo dei tre reattori con acqua di mare non deve essere riuscito anche perchè per iniettare acqua nel vessel occorrono pompe ad alta pressione, proprio quelle che erano andate fuori servizio dopo l’incidente. A questo punto insistere su questa strada potrebbe essere più dannoso che utile perché, dato che la temperatura del nocciolo (sia pure in modo non uniforme) può aver raggiunto i 1800-2000°, l’ingresso di acqua avrebbe un effetto di flashing con repentina vaporizzazione e ulteriore aumento del volume e della pressione dei gas. La situazione del reattore n.3 appare disperata per tre ordini di motivi: a) il primo è che la pressione interna al contenitore primario aveva superato le 5 atmosfere (il limite di progetto per questo tipo di reattori BWR è 3,5) alle 06.50 ora locale di lunedì 14 e quattro ore dopo si era verificata una violenta esplosione che probabilmente ha squarciato la parte superiore del contenitore primario; b) il secondo motivo è che, in seguito a questa ennesima esplosione, è stato allontanato il personale di centrale per eccesso di radiazioni (personale che poi è rientrato su base volontaria) e successivamente è stato avviato il tentativo di gettare acqua di mare sulla centrale con elicotteri (peraltro impediti ad operare dall’elevata radioattività) il che confermerebbe l’esistenza di uno squarcio nel contenitore primario altrimenti l’operazione non avrebbe senso; c) il terzo motivo è che il nocciolo del reattore n.3 sembra essere caricato a MOX, cioè combustibile misto contenente plutonio che ha un contenuto radiologico più pericoloso di quello dell’uranio dato che tra i suoi prodotti di fissione ci sono lo Iodio129, il Cesio135, il Tecnezio, il Cloro36, il Curio e il Nettunio237, molti dei quali ad elevatissima radio tossicità. Tra l’altro non è da escludersi che proprio la presenza di plutonio nel nocciolo del reattore n.3 abbia portato a fissioni localizzate (pur con reattore sottocritico) dato il differente spettro neutronico generato dal plutonio che in sostanza introduce una maggiore instabilità rispetto ad un nocciolo con solo uranio.
Un’ultima considerazione va fatta riguardo al reattore 4 che al momento dell’incidente era già fermo da due o più mesi in cui si è verificata una esplosione, presumibilmente da idrogeno sviluppatosi dalla piscina del combustibile esaurito. Questo fatto è molto grave perchè il combustibile esaurito non avrebbe dovuto assolutamente riscaldarsi oltre i 40-50°C, mentre sembra che l’acqua della piscina dove era riposto, abbia cominciato a bollire e il conseguente abbassamento del livello abbia consentito al combustibile di surriscaldarsi producendo idrogeno. Se ciò veramente è accaduto significa che alla piscina del combustibile è venuto a mancare il reintegro dell’acqua o per mancata sorveglianza da parte del personale, o perché alcuni servizi del reattore n.4 (come quello che alimenta l’acqua alla piscina del combustibile) sono stati deviati per far fronte all’emergenza del gruppo n.3 contiguo. Una cosa è certa: il capitolo delle deficienze progettuali di questi impianti della General Electric e quello dei difetti di gestione della Tepco è ancora tutto da scrivere.
Giorgio Ferrari per Il Manifesto di giovedì 17 febbraio
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