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Nuove elezioni greche: Tsipras ricompatta il governo, il paese sprofonda nella disillusione

La carta elettorale, pensata e giocata dal leader della Coalizione della Sinistra Radicale per ricompattare l’esecutivo e la sua base di sostegno parlamentare si rivela vincente, con la scomparsa degli oppositori interni della Piattaforma di Sinistra. Eliminati sia dal partito che dal parlamento – vuoi per la rapida successione degli eventi, vuoi per il sentimento pro-europeista di una parte maggioritaria dell’elettorato di Syriza , vuoi per la sfiducia (alimentata dal mancato recepimento dell’OXI) di poter conseguire un cambiamento effettivo tramite le urne.

Il voto esprime un consolidamento del potere carismatico del giovane premier ellenico, leader di una formazione sempre più personale dopo l’esautorazione di fatto del congresso programmatico del partito durante la campagna elettorale. Una vittoria ottenuta, tuttavia, al prezzo di altre fonti di legittimazione – come la perdita di oltre 300.000 di elettori rispetto alle politiche di gennaio.

Tuttavia il dato astensionista complessivo – che comunque registra la consistente avanzata (7%) del popolo del non voto rispetto alla precedente tornata – è da accogliere criticamente: secondo autorevoli osservatori indipendenti come IrateGreek, l’iscrizione nell’anagrafe elettorale di votanti deceduti o esponenti di seconda  e terza generazione della diaspora greca in altri paesi ne gonfia il totale in termini assoluti di almeno un quarto – risultando addirittura superiore al numero complessivo dei residenti nel paese.

Certo, non parliamo dell’unica inconsistenza nella narrazione elettorale da parte dei media. Come già avvenuto nelle scorse consultazioni nel paese ellenico (politiche di gennaio e referendum) il mainstream locale (largamente controllato da potenti gruppi privati dopo lo smantellamento del servizio televisivo nazionale) ed a cascata quello globale hanno reiterato la favola del testa a testa tra il consenso verso il blocco governativo e quello ai partiti dei primi due memorandum. Narrazione clamorosamente smentita alla chiusura delle urne: in cui si è appurato che molti elettori tradizionali della principale opposizione di centro-destra Nea Demokratia (ND) sarebbero rimasti a casa, mentre i partecipanti avrebbero deciso di sanzionare definitivamente i partiti del vecchio regime. Lo stesso leader di ND Meimarakis, accreditato dalla stampa nostrana come tranquillizzante alternativa (e su cui in realtà gravano accuse di riciclaggio ed irregolarità nelle commesse militari durante il suo dicastero alla Difesa nel 2009) rappresentava a tutti gli effetti un passato di cui, pur nello scoramento generale, in Grecia quasi nessuno si augura il ritorno.

Non solo. Oltre all’esito di un parlamento in cui i partiti pro-UE raggiungono l’89% dei seggi (in barba ad alcune letture del referendum dell’OXI come apice della contrapposizione ad un’Unione Europea ancora non inquadrata nella sua reale funzione e percepita come forte terreno di mobilitazione a livello sociale diffuso), la realtà è quella dell’arretramento di tutte le opposizioni, sempre in termini assoluti. Costretti a tornare insieme il vecchio Pasok e la sua scissione di sinistra moderata Dimar per superare lo sbarramento del 3%; quasi dimezzato To Potami, formazione ambigua e di sospetta affiliazione agli interessi della grande borghesia, al palo il KKE. Arretra persino Alba Dorata, nonostante la conferma del terzo posto e la rinnovata campagna anti-immigrazione.

Mentre Tsipras si gode una riconferma trainata soprattutto dal voto giovanile, il suo esecutivo passa ora alla prova dell’implementazione delle misure di austerità deliberate dal terzo memorandum. In attesa di buone notizie dal versante delle elezioni politiche spagnole (in cui però l’alleato Podemos sembra arrancare) e da quello del referendum britannico sulla permanenza nell’UE in presenza del ciclone Corbyn.

Tuttavia (come altre previsioni mancate) non è dato sapere che forme assumerà nel mentre la rabbia e la disperazione di tante vittime della troika – di cui una piccola, indicativa spia viene dalla metà dei consensi dei disoccupati attribuita ai partiti antieuropeisti. Ed ora più che mai sta alle realtà di base della martoriata penisola mediterranea la costruzione di un’alternativa a tutto campo alla prospettiva di un’espiazione eterna.

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