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22 marzo: se lo sciopero inizia a funzionare davvero

Il 22 marzo nei magazzini sono rimasti i pacchi da spedire, e quelli che dovevano arrivare per tutto il giorno sono rimasti nei tir. Contemporaneamente gli interporti e i nodi più rilevanti della logistica del nord Italia sono stati chiusi dai picchetti: code di chilometri tra tangenziali, autostrade ed arteria urbane. Gli store online che organizzano le vendite di merci sul web in tutto il mondo annunciavano che il servizio sarebbe stato interrotto per tutto il fine settimana. Per 24h la crisi l’hanno pagata i padroni! Nessuna rappresentazione simbolica, nessuna retorica, nessuna mediazione. Al contrario lo slogan dei movimenti “noi la crisi non la paghiamo!”, si è concretizzato in quella rigidità operaia che da mesi è il perno delle lotte della logistica e che il 22 marzo ha espresso nuove potenzialità.

Chi era ai blocchi sapeva bene che la sua presenza politica insieme a tanti altri in quel momento significava aggiungere il segno meno alle percentuali di profitto alle grandi multinazionali della logistica, e mentre le cifre salivano, il danno aumentava per un indotto che dalla produzione capitalistica arriva immediatamente ai nessi della riproduzione sociale e alla vita quotidiana. Anche per questa ragione i facchini non erano soli ai picchetti, ma con loro c’erano tanti studenti e precari.

La partecipazione al picchetto e all’iniziativa antagonista dei facchini di altre figure della precarietà metropolitana è segno di come una lotta particolarissima contro lo sfruttamento e la crisi, in un preciso settore, può esprimere potenzialità ricompositive. Ad un giorno dallo sciopero possiamo essere certi che un primo spazio in questa direzione è stato aperto. E’ uno spazio che va difeso e i cui bordi vanno spinti per ampliarsi, evitando ad esempio i ripiegamenti simbolici che traducono il “generalizziamo le lotte” in una triste agenda di scadenze. Generalizzare sciopero e conflittualità a partire dalle lotte della logistica è possibile, e una soggettività politica antagonista è in questa direzione che deve lavorare, a patto che non si risolva nella promozione di artifici politici o in promesse che difficilmente può mantenere. Facili promesse e artifici si rompono e sono troppo fragili quando la conflittualità sociale spinge, concreta, in alto.

 

Dallo sciopero del 22 marzo la logistica conflittuale ha tratto un importante potenziamento sia nella destabilizzazione delle relazioni sindacali confederali che sul piano della dicotomia tra gli interessi avversi di padroni e operai. La risolutezza nel “voler far male al padrone”, la rigidità della rivendicazione orientata all’attacco e la spinta politica alla generalizzazione di un “no” alla crisi si è espressa chiaramente. Non a caso a metà giornata è arrivata la risposta repressiva. Le cariche violentissime della celere bolognese, a difesa dei magazzini della UniLog, contro i facchini e i solidali sono una nitida istantanea di come la controparte è pronta a gestire i conflitti non più simbolizzati o rappresentati. La furia del manganello ad Anzola che respinge il picchetto, si misura sulla funzione della polizia di difendere e tutelare gli interessi dei padroni quando questi vengono messi in pericolo sul serio. Sembra una verità scontata ma forse per troppo tempo nei movimenti non lo è stata, data la cattiva abitudine a mediare per una “vittoria” virtuale e concreta sconfitta politica. Le cariche della polizia ieri pomeriggio dovevano riaffermare il disprezzo del capitale per l’ultimo degli sfruttati, dovevano allontanare e sciogliere il presidio dei più sfruttati che non solo alzavano la testa ma osavano guardare negli occhi con determinazione e dignità il padrone. Quei manganelli volevano far abbassare il capo. Quei manganelli ancora una volta non ci sono riusciti. Dopo neanche un ora dalle cariche la Centrale Adriatica della lega Coop era ancora una volta picchettata al grido di “sciopero, sciopero!”.

 

Ad un giorno dall’importante mobilitazione non possiamo che esprimere una valutazione positiva, ma che di certo non deve lasciare soddisfatti. Al contrario deve essere motivo per guardare subito a nuove giornate di lotta da costruire insieme ai facchini e non solo, indubbiamente più forti di prima per un primo sciopero che ha iniziato a funzionare davvero.

 

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