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Assuefazione alla guerra

In questo ultimo decennio il fenomeno della guerra è stato uno degli oggetti di studio più osservati. C’era la necessità di capirne le nuove forme e i nuovi significati, poiché si passava dalla Guerra Fredda, ovvero minacciata e basata su deterrenti, ad una guerra “duratura”, “umanitaria” “permanente”, e per arrivare all’oggi ad una guerra di qualche “volenteroso”.

Comunque sia, il dato di fatto è che dalla prima guerra in Iraq si sono susseguite, solo per citarne alcune, la guerra in ex-Jugoslavia, in Kosovo, in Afganistan, le varie guerre in Palestina, ancora in Iraq e adesso in Libia. Gli studiosi più attenti le hanno definite guerre ibride, fatte di azioni militari, unite ad azioni di polizia, di check point, messaggi televisivi, uomini bomba, foto racconti sui giornali, ma anche fatte di linguaggi che cercavano di allontanare dalle nostre menti l’idea della deflagrazione di un’esplosione per farci credere alla precisione del bisturi.

Bombe di precisione e intervento chirurgico, sono tutti termini che intrecciati in una vita quotidiana immersa nella visione di telefilm del genere hospital, hanno costruito soggettività per cui la visione di un tomahawk lanciato nella notte da una portaerei è paragonato ad un bisturi che con precisione millimetrica taglia un tessuto maligno all’interno di uno stomaco. Una medicalizzazione della guerra ormai diventata uno show in cui gli effetti non esistono o se ci sono diventano danni collaterali.

In questa ipertrofia della guerra è da leggersi la non piena riuscita delle piazze Nowar di questo 2 Aprile. Piazze che non hanno espresso i numeri con cui eravamo abituati a confrontarci qualche anno fa, e di cui anche la stessa composizione, quasi tutto ceto politico e pochissimi giovani, era emblematica.

Però nonostante questo, un grido che si oppone alla guerra e che parla di libertà c’è stato anche da noi e lo hanno urlato a Manduria mentre saltavano una recinzione e correvano nei campi. È lo stesso grido che da mesi i popoli del nord Africa urlano nelle loro terre. Un grido che però non tutti nelle piazze di sabato hanno voluto ascoltare, forse perché affezionati a categorie che non vogliono abbandonare, questo grifo ci dice che ora qualcuno con cui schierarsi esiste, e stavolta una narrazione di parte c’è, ed è una narrazione che ha tutte le caratteristiche per diventare “grande”.

Fra gli studiosi che si sono confrontati con il fenomeno della guerra, in critica appunto all’approccio lyotardiano sulla post modernità, c’è chi ha sostenuto che le guerre stesse e il loro racconto, dopo l’89, è divenuto la grande narrazione e che raccontava di guerre al terrorismo, di rivoluzioni militari ecc.

Oggi, dal momento che questa guerra sembra molto male narrata, ci troviamo davanti più che altro ad una piccola narrazione che però ha l’obiettivo di fermarne un’altra che parla di dignità e emancipazione.

Bada Nasciufo

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