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Essere No Tav dentro la pandemia

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E’ difficile ricomporre il quadro di queste settimane di lotta in Val Susa. Difficile perché gli stimoli sono molti e anche perché quella che ci si presenta davanti è una fase inedita da diversi punti di vista. A complicare ulteriormente la riflessione vi è il fatto che queste settimane arrivano alla fine di un lungo lockdown, un evento senza precedenti nella storia recente, e nel vivo di una crisi pandemica che è tutt’altro che conclusa.

D’altronde il movimento l’ha sempre affermato: quella No Tav non è solo una lotta contro un treno e quindi, nel provare a fare un punto su quello che sta accadendo, è inevitabile intrecciare la vicenda anomala di questa valle ribelle con il contesto più generale.

Lo dicevamo l’anno scorso nel reportage sul Festival Alta Felicità, se da un lato il movimento No Tav è entrato nell’immaginario, nella storia e nella tradizione di questo paese, se nel bene o nel male è un tema di discussione nazionale, su cui si sono scomposti governi e compagini politiche, dentro questa vicenda sussistono ancora molte schegge di futuro, tutte ancora da esplorare e ricercare.

In Italia il No Tav è stato premonitore del rapporto malato che esiste tra lo sviluppo capitalistico, la distruzione della natura e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E’ una durevole trincea su cui si scontrano variamente gli alfieri della cementificazione, della crescita ad ogni costo, della speculazione e dell’inquinamento. Questo rapporto oggi, con la pandemia, è diventato un’esperienza collettiva che è dilagata ben oltre la Val Susa, il Salento del Tap, la Taranto dell’Ilva e le altre centinaia di territori investiti da questo modello. L’esperienza del lockdown e della pandemia ha lasciato molti e molte ancora attoniti e confusi nel realizzare la portata di un evento del genere, assorti nella speranza, probabilmente vana, che tutto possa tornare alla “normalità”.

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Non è un caso che proprio all’alba della cosiddetta “normalizzazione” la Val Susa diventi di nuovo un territorio di battaglia che si riverbera sull’intero contesto nazionale. Qui si sono stratificati molti simboli della contesa tra il “partito del PIL” (che annovera tra le sue fila imprenditori, politici di ogni schieramento e giornalisti mainstream) e chi dice da più di trent’anni che “così non si può andare avanti”, che questo modello di sviluppo rappresentato dal TAV ci porterà inevitabilmente al disastro.

Quindi per i promotori dell’opera si tratta di colpire in fretta, prima che lo stato di confusione causato dall’emergenza si diradi, prima che la crisi economica e sociale sprigioni nuovi conflitti. Si tratta di accelerare, di dimostrare che nulla potrà cambiare, che tutto è già deciso e non ci sono spazi per ripensamenti. Anche perché sul fronte istituzionale, non qui, ma altrove, si fanno spazio voci che mettono in dubbio l’utilità dell’opera.

Speravano di cogliere il movimento impreparato, speravano di sfruttare lo shock della pandemia per portare a casa in maniera indolore, senza costi, degli avanzamenti seppur minimi del cantiere da sventolare di fronte ai dubbi della Corte dei Conti europea e dell’opinione pubblica. Ma i saperi e l’esperienza maturata in trent’anni di lotta hanno permesso ai No Tav, nonostante tutto, di farsi trovare pronti e rispondere all’aggressione e alla militarizzazione spropositata. La vicenda del presidio dei Mulini sta evidenziando la vitalità e l’emergere, accanto a quella storica, di una composizione giovanile con obbiettivi e volontà chiare. Il presidio dei Mulini è conficcato, come una spina nel fianco, in quel territorio della Clarea che i promotori dell’opera e i loro galoppini vorrebbero dire pacificato a suon di lacrimogeni, manganelli, arresti e denunce. Le decine di iniziative che in queste settimane hanno attraversato la valle in lungo e largo hanno permesso al movimento di ritrovarsi, di sperimentare nuovamente la propria voglia di lottare, di discutere le sfide che il presente impone.

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Sfide tutt’altro che semplici perché ancora una volta si tratta di tradurre nella maniera più universale, semplice, concreta e adatta al presente le ragioni di questa opposizione trentennale. Generalizzare il No Tav non tanto come parola d’ordine avulsa dal contesto, ma come sguardo sul futuro, come pratica concreta di lotta popolare, di apertura di crepe nella narrazione e ideologia dominante sempre più traballante. E di crepe la pandemia e la sua gestione ne hanno evidenziate molte. Dal modo in cui viene concepita la salute di una società, a quello con cui ne vengono utilizzate le risorse (come evidenziato dalle Fomne contra’l TAV), dal rapporto tra malattia e devastazione ambientale a quello tra malattia e sfruttamento, dalla domanda su cosa sia utile e necessario produrre e costruire alla riscoperta, ancora vaga, che non si può più andare avanti così.

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La principale preoccupazione delle compagini governative oggi è impedire che queste crepe si approfondiscano, e tutto il loro sforzo è orientato in questo senso. La paura che il settembre alle porte possa inaugurare un autunno caldo agita le notti di ministri e imprenditori. L’evidenza di questa paura è il dispiegamento di forze spropositato che è stato messo in piedi in Val Susa, unico vero investimento sui territori.

Dunque l’estate di lotta No Tav procede e diversi sono gli appuntamenti in agenda aperti a tutti e tutte per ritrovarsi, discutere e lottare al fine di conquistare nuove schegge di futuro.

Calendario dei prossimi appuntamenti in Val Susa:

Venaus, 17-18-19 luglio. 3 giorni di lotta No Tav

Venaus, 20-21-22/07, Campeggio Ecologia Politica

Bussoleno, 9° edizione Critical Wine 24 25 26 luglio 2020

Venaus, 29 luglio – 2 agosto, Campeggio Giovani NOTAV

 

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