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Il 15 ottobre, sei mesi dopo

Siamo convinti che quanto stiamo attraversando necessiti di ulteriori passaggi politici, quindi collettivi, per comprendere (il reale) e scommettere (sul conflitto) anche durante la fase del governo tecnico, dell’austerity e del sacrificio. Dalla Val Susa ai forconi, quello che ci distingue non è la rinuncia, ma l’azzardo della sfida collettiva, della sperimentazione. Pensando però che attorno al #15O non sia utile e interessante consumarsi in posizionamenti tattici ma, piuttosto, affrontare politicamente e – pensando alla differenza come ricchezza – collettivamente il momento più alto di quella giornata come gradino ultimo di un percorso di indizione/gestione errato (sensato spingersi ancora in convinzioni ortodosse degne de ‘L’Unità’ piccista?), e soprattutto continuando a produrre indagine e discorso sulla potenza irrapresentabile e conflittuale di soggettività viventi nei nostri territori.

Soggettività e composizione, nodi che ritornano al pettine, il rimosso che non conosce le stagioni dei facili innamoramenti ideologici, dettati anche da mode di cartapesta. Con la superbia si rimane politicamente al palo, trova il tempo che trova lo sbattere i piedi su una maggioranza che voleva altro, su una giornata determinata differentemente da quanto organizzato, e anche sul concentrare lo sguardo solamente sulle violenze della forze dell’ordine. Perchè si fanno ancora i conti senza l’oste, viene ignorato il soggetto multiforme e precario che ha agitato rabbiosamente quel 15 ottobre, quella piazza insubordinata che ha espresso una radicalità di massa potente e meravigliosa, perchè spontanea, genuina, e irrapresentabile. Se non cadiamo nella ritualità, ma proseguiamo un lavoro militante complesso e anche contraddittorio, l’urgenza di fare inchiesta e conricerca ritorna prepotentemente a galla pensando al 15 ottobre, a quello che soggettivamente e politicamente ha espresso quella piazza San Giovanni in fiamme, sommersa dai lacrimogeni della polizia, innaffiata dall’acqua degli idranti dei carabinieri, movimentata con una rivolta collettiva di una generazione senza futuro. La fase non è quella della narrazione nostalgica o compiaciuta, ma quella del lavoro politico nei territori, nelle metropoli come nelle sue periferie, nelle scuole come in quei pochi luoghi d’aggregazione rimasti, fino ad arrivare ai nostri collettivi e laboratori sociali.

Il tavolo della governance montiana dobbiamo farlo saltare, impegnando le nostre energie ed intelligenze in questa direzione, idea, progetto. Non scadendo nel mettere ingenuamente a disposizione le strutture di movimento per una pacificazione che ci è nemica, perchè mette al bando il conflitto. Quantomai oggi, nel picco massimo dell’onda lunga della crisi della rappresentanza, nella bolgia di scandali e ruberie di miserabili cassieri cristiani o padani, nella miserabilità di partiti di plastica che saltano uno dopo l’altro. La casta si rotola nel fango dei suoi disastri, strilla dinnanzi all’ombra della denominata anti-politica, stretta nella morsa dell’obbedienza al ‘governo dei professori’ che, strumentalmente, si impone con le politiche della devastazione che l’Europa pretende e annichilisce – con il favore del presidente della crisi, Napolitano – i dinosauri partitocratici, illudendosi che la mancanza di un’opposizione parlamentare possa rappresentare in eterno l’anestesia ad un paese intero. Dal punto di vista dei movimenti è in questo interstizio che deve inserirsi il conflitto sociale, indipendente dalle grinfie della mediazione, della compatibilità e della pacificazione. Laddove torna essenziale quel metodo antagonista di internità e radicamento, ambivalenza e organizzazione, sintesi ma anche rottura con valenza di progetto. Altrimenti quell’alternativa che viene, quel bisogno di costruzione di alterità politica e sociale, resterà un miraggio, e del vento del cambiamento sentiremo solo la puzza di onde colorate che sono ritorno dell’identico, o peggio, il rimpianto di non aver nemmeno tentato. La Val Susa per noi è l’espressione più alta di un movimento che si fa comunità di lotta, laboratorio irriducibile che mai si arrenderà, perchè la lotta è la linfa costituente della ribellione.

I provvedimenti sulla rivolta di piazza San Giovanni sono l’ultimo dei caselli giudiziari montati lungo il percorso di questi primi mesi del 2012. Il potere pensa sempre ed innanzitutto a come preservare l’ordine costituito, quindi la Libera Repubblica della Maddalena o una battaglia di piazza non sono sopportabili, perchè ingovernabili e riproducibili. Alle intenzioni tecnocrati di demonizzare il conflitto sociale bisogna quindi rispondere, certo con la distruzione delle infamità repressive attraverso l’incedere di una politica solidarietà, ma soprattutto costruendo, nei territori e nei movimenti, con metodo e progettualità di lotta, un conflitto sociale degno delle loro paure.

redazione di Infoaut.org

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