Il graphic design delle rivolte
Navigare per il web, e seguire le storie che parlano delle rivolte arabe, senza conoscere la lingua araba ti porta per forza di cose ad essere attratto dalle foto, dai video, dalle immagini grafiche, e provare empatia con le emozione che quei messaggi visivi ti suscitano.
Girando, sono incappato in un’immagine (che abbiamo già pubblicato ma che ripropongo qua) che è decisamente interessante, non soltanto per la sua bellezza estetica, ma anche perché è molto rappresentativa. È l’immagine grafica che raffigura in primo piano tre ragazzi a volto coperto, con i cappucci calati sulla testa, e con addosso i simboli delle rivolte: la bandiera della Palestina, una molotov, un sampietrino, una felpa di “Facebook”. E alle spalle uno scenario di guerra: con elicotteri, militari, il Big Ben, e un remake di famose fotografie riadattate all’uso.
Ad osservare quell’immagine, l’empatia e l’emozione si fanno più forti. E si fanno più forti, perché mostrano in modo emblematico alcuni tratti di una soggettività che si sta costruendo su scala internazionale. E che pur non parlando la stessa lingua, vive, e si nutre delle mie stesse immagini.
Il graphic design della foto, è emblematico. Parla il linguaggio delle console e dei videogiochi di guerra. In cui però i soggetti sono invertiti. Stavolta a scappare con il mitra in mano sono i militari, e non i rivoltosi. Stavolta i soggetti del racconto sono giovani proletari che portano avanti il simbolo dell’intifada, e non mercenari pagati da stati, od oscuri gruppi terroristici.
Anche la decostruzione simbolica della famosa foto, che raffigurava i soldati americani alzare la bandiera a stelle e strisce, è un remake denso di significato. Stavolta infatti, sono ragazzi e ragazze in maglietta, ad alzare le bandiere della loro rivolta, contro il loro ultimo neocolonizzatore a stelle e strisce. L’inversione di senso è notevole, e per questo ancora più degradante per il nemico.
Infine il Big Ben. Quando iniziò la rivolta tunisina, un compagno mi disse che nei forum tunisini la giornata di Roma e quelle di Londra erano ricorrenti, e che venivano citate spesso nelle discussioni. In questa foto il significato è chiaro: da Londra a Tunisi, passando per l’Egitto, è in corso la nuova Intifada.
Se l’immaginario, riprendendo l’insegnamento di Deleuze, è inteso come quel processo di scambio fra reale e irreale, e quindi fra la realtà e le sue immagini. Allora, questa foto nel suo meticciato di simboli e grafiche, ci mostra come le immagini della rivolta di Londra siano state rielaborate nelle piazze di Cartagine, per dare vita a nuove immagini che narravano di tutte e due le rivolte. E così ancora, in una catena che come un domino sta unendo le piazze europee e quelle del nord Africa.
La soggettività si nutre dell’emozione. Ed è proprio quest’ultima che principalmente viene trasmessa via web, tramite i video e le foto. L’emozione del coraggio, della forza, ma anche quelle della paura a cui segue la rabbia. Queste sono le sensazioni che viviamo tutti e tutte noi, ascoltando le grida dei filmati che circolano su youtube.
Le rivolte, infatti, hanno creato una sfera pubblica dell’emozione connessa tramite il web, e che permette a questa nuova soggettività internazionale di costruirsi, connettersi, e ancora più importante di trovare la forza emotiva e il desiderio, per sconfiggere quel biopotere che fino ad ieri l’ha governata.
Naturalmente, quando vivi in contesti culturali differenti, difficilmente riesci ad interpretare un testo in toto. Infatti, probabilmente anche in quest’immagine, come mi è stato suggerito, si nasconde un doppio senso che rimanda ai linguaggi che nei sobborghi tunisini si usavano, per offendere Ben Ali utilizzando la figura del Big Ben. Questo perché, quando Ben Alì fece il colpo di stato buttò giù dalla piazza vicino al ministero degli interni il monumento di Bourghiba, e ci mise una fontana con al centro una copia ridotta del Big Ben. Ma anche questo, e ne siamo felici, fa ormai parte del passato.
Bada Nasciufo
07 Febbraio
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