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Il ritorno dell’imperialismo “umanitario”

19 marzo, h 17.54 – Un velivolo francese colpisce un mezzo militare libico di terra. Inizia così la nuova guerra “giusta” dell’Occidente contro un cattivo che fino a ieri veniva ospitato in pompa magna da molte diplomazie di quegli stati che oggi accorrono frettolosi alla chiamata di una nuova “coalizione dei volenterosi”. Si scopre un’improvvisa preoccupazione per il popolo libico, che non fa il paio con la preoccupazione per gli insorti della penisola arabica. Qui c’è puzza di un “nuovo Kosovo”.
Le immagini dell’assembramento parigino di libici plaudenti al nuovo intervento made in Onu fa il brutto paio con le notizie della popolazione di Tobruk pronta a far festa per il primo attacco dell’aviazione francese. Altre immagini ci mostrano migliaia di uomini e donne pronte a fare da scudo umano agli obiettivi strategici presenti nella capitale Tripoli.

Certo potremmo obiettare che nessuna di queste immagini rappresenta la totalità del popolo libico. Questa stessa considerazione ci dice però oggi quanto sia maledettamente ingarbugliato il rompicapo libico. Abbiamo a lungo sperato che l’insorgenza libica replicasse i successi, ancor più le istanze, espresse a gran voce dagli uomini e donne della Tunisia e di piazza Tahrir. Ma bisogna ammettere che, senza alcuno sconto o innamoramento fuori tempo massimo per il leader anti-imperialista, le posizioni dei ribelli di Bengasi continuano ad essere poco chiare, ambigue quando non esplicitamente sbilanciate verso l’interventismo occidentale.

Scrivevamo qualche settimana fa che l’ultimo (?) e più brutto regalo di Gheddafi al popolo libico era quello di riportare sul territorio nord-africano gli eserciti occidentali, cacciati dalle lotte di liberazione nazionale di oltre mezzo secolo fa. Una strana (e amara) ironia rovesciata della Storia.
Qualche giorno fa parlavamo di una rivoluzione scippata di mano al popolo libico. Oggi bisogna ammettere che sta succedendo qualcosa di più. Un salto qualitativo, in peggio. Un passaggio che ci ricorda quanto le dimensioni geopolitiche, statuali, di potenza, sanno ancora incidere da sopra e contro le rivoluzioni popolari. L’arrivo dei caccia canadesi, inglesi e del Qatar, l’uso servile delle basi italiane, l’accorrere generale del “mondo democratico” alla guerra santa contro “l’ultimo dei tiranni”, ci obbligano a un brusco risveglio.

Un’analisi materialista e di classe non può più rimuovere anche questi livelli, così terribilmente implicati nelle vicende libiche, e, ahinoi, aventi forse anche, già da domani, profonde conseguenze sui processi rivoluzionari e costituenti dei paesi limitrofi.
Le precipitazioni di queste ultime ore (giorni) stanno imponendo una brutta deriva alle speranze aperte dalle rivolte tunisine, egiziane, e degli altri paesi attraversati da moti insurrezionali che iniziavano a preoccupare anche le cancellerie occidentali. Quale migliore occasione per ripristinare l’uso “disciplinante” del bombardamento. Da Tokyo a Dresda, da Belgrado a Baghdad, l’apocalisse che scende dal cielo è sempre servita non solo a colpire la potenza nemica ma anche a ricondurre a più miti consigli il proletariato che abita quelle metropoli. Forse se ne accorgeranno presto (e non è un augurio!) anche quegli insorti che stanno plaudendo al nuovo intervento “di pace”.

Tutto questo c’impone, come portale di contro-informazione, una maggiore attenzione e prudenza, una più articolata discussione sulle contraddizioni e le ambiguità di questa rivolta, degli attori in campo e degli interessi in gioco (ben evidenti a tutti).
Come movimento, soggettività antagoniste e nemici della guerra globale, la capacità di riarticolare un’opposizione all’altezza dei tempi, contro l’imperialismo umanitario e l’interventismo made in Onu.
A partire da domani…

Maelzel

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