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La lotta per la casa e non solo…

La lotta per il diritto all’abitare ha dato un segnale importante il 31 gennaio. Una mobilitazione vera che ha visto scendere in piazza migliaia di persone in tutto il paese. Ha saputo parlare alla composizione sociale che vive nelle occupazioni tanto quanto a tutti quei pezzi che, sia sul terreno della casa che del più grande e inclusivo ragionamento sulla città e la sua messa in discussione, si sono ritrovate fianco a fianco nelle strade e nelle piazze. Un segnale importante arrivato proprio nel momento in cui termina la proroga degli sfratti per morosità incolpevole aggravata dall’esclusione delle categorie “protette” dal decreto mille proroghe. Un percorso che ha visto negli anni il moltiplicarsi di iniziative di riappropriazione, di messa in discussione della governance locale e di governo e che non sembra avere limiti ma alimenta e rafforza le lotte che si diramano nei contesti urbani; non sembra avere dei confini prestabiliti ma ha la potenzialità di diffondersi e allargarsi, come già è avvenuto nel recente passato; non sembra avere un inizio e una fine con i momenti di piazza e di conflittualità delle date organizzate insieme. Ne abbiamo una prova quando ci si ritrova già dal giorno seguente a resistere agli sfratti esecutivi, alla determinazione di Paiatone nonostante le cariche, alle spontanee espressioni di conflitto nel territorio di Ostia contro gli ufficiali giudiziari, alle barricate che mentre scriviamo si stanno costruendo a Firenze per difendere l’occupazione dell’ex hotel Concorde.

Ci ritroviamo in una situazione insopportabile, a tratti paradossale ed è per questo che è necessario riprodurre giornate del genere e sviluppare ragionamenti che ci portano ancora più avanti. Il modo di governare questo paese cambia in parte nella sua espressione pubblica ma rimane aggrappato ad una continuità con la triste tradizione italiana veramente preoccupante. In maniera lampante notiamo che mentre le piazze del paese si riempivano di gente stufa delle politiche di sacrifici, dei tagli del welfare e delle privatizzazione dei servizi e delle risorse pubbliche essenziali nei palazzi del potere si nominava presidente della Repubblica Mattarella; un personaggio che può farsi garante della continuità con quella tradizione democristiana di cui Renzi ne è l’emblema. Mattarella riassume in se tutte le peggiori nefandezze di questo paese che hanno fatto in modo, nel corso del tempo, di poter fare dell’Italia un paese neoliberista al servizio del capitale. Ennesima riprova che il modo in cui si governano i territori non cambierà. La tradizione clientelare che ci portiamo dietro è una caratteristica del nostro paese e del capitalismo del nostro paese. Storicamente infatti, nel momento in cui i partiti e i sindacati hanno perso la loro presa reale sulla gente, le classe dirigente ha creato quei dispositivi intermedi in grado di sostituirli che non devono avere necessariamente connotazioni politiche particolari, possono essere anche di estrema destra come di sinistra, l’importante è che siano legati al potere e garanti dello status quo. Si continua ad usare il mondo di mezzo, legato al potere tramite gli appalti, per poter gestire e controllare il mondo di sotto. Perciò se in Emilia Romagna e in Toscana spadroneggiano le cooperative rosse legate alla Cigl e al Pd, a Roma gli appalti continuano ad essere fonte di reddito e di redistribuzione di ricchezza per i soliti noti. Gli arresti dovuti all’inchiesta Mafia Capiale sembrano essere più un monito a chi ha pensato di fare profitto nel paese senza chiedere il conto all’oste che altro. Era necessario rimettere in riga chi è andato fuori dai limiti che il paese dell’austerity richiede. Ci sono infatti esigenze che travalicano i confini dello Stato e perfino Roma deve rispettarli. Lobby cattoliche, mafiosi, palazzinari sono sempre pronti a raccogliere e i comuni a dare a discapito di chi subisce tutto questo.

Come da sempre denunciano i movimenti per il diritto all’abitare lo strumento per governare è quello dell’emergenza ed è il miglior modo per creare profitto. Amministrazioni che non funzionano, che non garantiscono un trasporto pubblico decente, una casa per chi ne ha bisogno, che tagliano il personale degli asili nido, che abbandonano le scuole sempre più fatiscenti, che non tutelano centinaia di migranti che raggiungono le città, delegheranno a qualcuno la gestione di tutto questo con la chiara missione di non risolverlo.

Le mobilitazioni del 31 hanno preso parola sulle menzogne che vogliono raccontarci sbugiardando una classe dirigente sempre più arrogante. Sapendo del tanto lavoro ancora da fare si continua a lottare e a creare conflitto a partire dalla battaglia contro il piano casa del ministro Lupi che crea ulteriore emergenza cercando di sbaragliare l’unica alternativa attiva per una vita dignitosa. Nei territori nei quali la gente non vuole più aspettare di essere trattata come un pacco o un caso umano o ancora un problema sul quale speculare, ci si organizza collettivamente e attraverso la lotta e la riappropriazione si recupera dignità.

Chi è sceso in piazza il 31 non si aspetta concessioni, non crede che per gestire i problemi servano tavoli di concertazione, il confronto deriva dai rapporti di forza e dalla capacità di farli valere, dai contenuti che si esprimono e dal rifiuto assoluto di qualsivoglia processo di cooptazione possibile.
Le amministrazioni devono rispondere fattivamente, con soluzioni concrete e immediate, alle sollecitazioni prodotte dal conflitto sociale che con forza e con la soggettività necessaria, rompe la spirale del governo dell’emergenza tanto cara a chi vuole decidere senza ostacoli e a chi si candida a gestirla. Il messaggio è stato chiaro, ed è forte e chiaro da anni, “noi vogliamo tutto” e non ci sarà via di mezzo a trattenere.

Abbiamo prova di come la lotta riesce a raggiungere risultati importanti e li otterrà anche se la strada è più lunga di quello che si vorrebbe. La determinazione dei movimenti milanesi ha aperto una contraddizione forte nelle istituzioni locali, il blocco degli sgomberi nei quartieri in cui forte e determinata si è espressa la resistenza degli abitanti dimostra che ciò che fa paura non sono esclusivamente gli attivisti ma la gente che fa parte di un movimento vero e che arrabbiata stringe la mano al proprio vicino per difendere il proprio territorio da ulteriori sacrifici e polizia. Ciò che fa paura al modello che ci propongono è la solidarietà, la fratellanza, la capacità di poter estrapolare da un bisogno come quello della casa non chi si prepara a gestire il problema domani, ma chi sussurra e diffonde di porta in porta un’alternativa vera, che travalica i talk show e gli annunci mediatici.

Ma c’è una sfida ancora più grande che si è colta nella giornata del 31 quella di riuscire a collegare corpi e lotte che apparentemente sono lontane e che puntano invece il dito contro lo stesso nemico. Una sfida non facile e alla quale si deve dare continuità anche nel futuro perchè la lotta per il diritto all’abitare è un’opportunità che stimola e arricchisce, che sa cogliere nel segno proprio come e perchè si sa mettere in discussione e arricchire a propria volta degli stimoli che provengono dalle altre lotte. Sarà perchè come si è provato a dire in questo autunno i protagonisti di queste lotte, come prima e dopo le piazze del 31, sono ovunque la dove il capitale mangia e incacrenisce, nelle periferie, nei magazzini, nei ristoranti e nei locali della movida, nelle aule delle scuole e in quelle delle università: negli interstizi della città ancora tutta da esplorare e conquistare.

Avanti così dunque, verso nuove e ulteriori scommesse e obiettivi da raggiungere insieme.

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