Le macerie di fortezza Europa a due anni dalla strage di Lampedusa
Era il 3 ottobre 2013, a largo di Lampedusa furono ripescati i corpi di 366 persone che avevano cercato di attraversare il mediterraneo. Un gesto banale, per cui basterebbe un volo low-cost o una comoda traversata in traghetto ma reso mortale da leggi, documenti e linee immaginarie. Non una “una strage immensa, che non si riuscì a evitare” come ha detto oggi Mattarella: una strage che non si volle evitare. Da quell’episodio la strage continua, ma sui giornali la chiamano tragedia. L’economia di scala del dolore a volte le relega a un trafiletto, magari quando la massa umana morta non ha la taglia critica per sfondare in prima pagina. A due anni di distanza comunque si può fare la macabra conta: 6’892 vittime ripescate nel Mediterraneo, senza contare le migliaia semplicemente inghiottite dalle onde. Si continua a parlare di “emergenza” come si trattasse di un cataclisma inevitabile e imprevedibile anziché del risultato, drammaticamente scontato, delle scelte politiche dei nostri governanti.
Davanti all’ennesimo naufragio ci chiedevamo, durante questo inverno, come affrontare questa questione dolorosa senza il placebo della commozione, ravvisando l’urgenza d’affrontare quel nodo politico in vista della ripresa degli sbarchi e del montare del salvinismo. Ma non è stata una questione tra solidali. Ci ha risposto quest’estate di lotta dei migranti, di flussi ingovernabili che avanzano non sull’onda della disperazione ma grazie alla consapevolezza di ciò che è giusto, di chi si è piazzato sugli scogli, di chi ha sfondato le frontiere, di chi ha detto la sola cosa sensata: “lasciateci passare tanto da qui non ce ne andiamo”. Fortezza Europa non ha solo scricchiolato durante questa lunga estate. A due anni dalla strage non sono solo le parole retoriche di qualche Presidente a risuonare.
Ieri a Lampedusa una grande protesta dei nuovi arrivati contro i rimpatri forzati. In centinaia hanno forzato i cancelli del centro di prima accoglienza, scontrandosi con la polizia e rendendo ben chiaro qual è il destino annunciato degli hot spot con i quali i burocrati europei vorrebbero rimpatriare i migranti ancora prima di fargli toccare il suolo del continente. Contemporaneamente, verso mezzanotte a Calais, duecento ragazzi si sono organizzati per entrare nell’Eurotunnel tagliando le recinzioni e bloccando gli operatori di sicurezza.
“We are not going back” ci dicono i nostri coetanei con la pelle un po’ più scura. E allora c’è solo da ragionare su come lottare insieme.
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