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Libia: Usa e Occidente all’intervento?

Tra i frutti avvelenati, si spera gli ultimi, che l’ineffabile Gheddafi sta lasciando alla popolazione libica – la cui rivolta ha contorni ancora non ben decifrabili e non del tutto assimilabili all’ondata di sollevazioni iniziata in Tunisia – c’è anche il fatto che la repressione sanguinosa ha ridato fiato a una parolina che l’Occidente, in primis Washington, da un po’ avevano rimesso nel cassetto dopo i noti disastri mediorientali. La parolina è: intervento in Libia. Umanitario, of course.

Da qualche giorno ne parlano a voce alta analisti ed editorialisti negli States, un segnale di quanto si discute dietro le quinte. Senza mezzi termini il Wall Street Journal mercoledì ha direttamente proposto di bombardare gli aereoporti libici, “ovviamente” a difesa della popolazione contro la mattanza dell’aviazione, stigmatizzando la cautela di Obama nei confronti dei rivoltosi che andrebbero invece direttamente armati. Il più morbido New York Times e Foreign Policy hanno poi rilanciato le proposte di una no-fly zone -modello Kurdistan sotto Saddam- aiuti ai disertori e sanzioni al regime. Già un paio di giorni fa l’ufficiale Council on Foreign Relations aveva messo sull’avviso gli europei: se la situazione dovesse degenerare e le forniture di petrolio bloccarsi andrebbe considerata l’opzione militare.

Mercoledì sera è quindi giunta la dichiarazione ufficiale di Obama che ha “chiesto all’amministrazione di preparare l’intero spettro di opzioni a disposizione per rispondere alla crisi”. Infine Bruxelles, come sempre a ruota, inizia a far circolare ufficiosamente la dicitura intervento militare umanitario. Da parte sua il governo italiano, soprattutto Maroni, da giorni sta montando l’allarme “esodo biblico”, sia a fini interni sia verso i partner europei scettici e piuttosto riottosi.

Intervento umanitario! Come se l’appalto al regime dei lager di detenzione dei migranti non fosse in conto Ue. Come se le armi con cui Gheddafi porta avanti la sua mattanza non fossero italiane – grazie al trattato di amicizia firmato da Berluska- e inglesi -intermediario Blair in persona- e tedesche. Come se le imprese occidentali, dalla Shell all’Eni ecc. non avessero concluso negli ultimi anni contratti d’oro con la Libia del rais. Come se gli stessi Stati Uniti, dopo aver eliminato le sanzioni nel 2004, non si fossero ben reinseriti nel gioco grazie ai contatti diretti di esponenti in vista dei neocons. Lasciamo perdere…

Non che un qualunque intervento militare sia imminente nè facile. E probabilmente non ce ne sarà neppure il tempo. Ma il segnale è politico. Soprattutto per Washington. Chè la Ue è ancora una volta nulla quanto ad autonomia e prospettiva sul piano geopolitico: le mosse italiote sono grida di soccorso senza alcuna strategia, Parigi è ridicola e Berlino guarda altrove, l’immagine complessiva con cui la “civile” Europa ne esce è meritatamente disastrosa.

Per Washington invece si tratta di sfruttare col massimo cinismo gli eventi, e i morti.

Si tratta di rimettere in circolo e rilegittimare l’idea che l’Occidente è deputato a intervenire per rimettere ordine e solo gli Stati Uniti sono in grado di farlo non contro ma per supportare (!) le aspirazioni delle masse. Un modo per cauzionare la spinta reale al cambiamento e al contempo indicare ai governi di “transizione” -oggi Egitto e Tunisia, domani…-  che per contenere e bloccare il rischio radicalizzazione possono e devono fare affidamento sull’alleato di sempre.

Tutto cambi perché nulla cambi: in questo si risolve il “riformismo” di Obama stretto fra l’impossibilità, interna e internazionale, al momento di un interventismo alla Bush e la necessità/volontà di riprendere in mano, anche contro Europa Russia e Cina, il “nuovo” Medio Oriente che va a delinearsi. Di fronte alle scosse telluriche che la crisi globale sta comunicando al mondo arabo dubitiamo che questa operazione sarà sufficiente. Ma certo non è male a sinistra esserne criticamente avvertiti. Nella vita reale, a differenza che sui campi di gioco, la partita non è mai solo a due…

rk

Fonti:

  • WSJ

http://online.wsj.com/article/SB10001424052748704476604576157911893567144.html?mg=com-wsj

  • Foreign Policy

http://mideast.foreignpolicy.com/posts/2011/02/21/the_libyan_horror
http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/02/22/a_regime_we_can_trust?page=0,2

  • CFR

http://www.cfr.org/libya/libyas-leadership-crossroads/p24173

  • NYT

http://www.nytimes.com/2011/02/24/opinion/24kristof.html?_r=1&ref=opinion

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