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Minniti in The Wire

Nella serie televisiva americana The Wire, per offrire all’opinione pubblica numeri positivi rispetto all’emergenza spaccio/criminalità e in generale alla sicurezza dei quartieri periferici, la polizia locale utilizza due strategie.

Da un lato intensifica il numero degli arresti immotivati, effettuati random, giusto per gonfiare le statistiche e poter parlare di aumento dei controlli e della presenza sul territorio. Dall’altro prova a delocalizzare il problema, spostandolo e creando una zona fuori dal diritto in una via appartata, eliminando al pubblico la visione quotidiana della vendita e degli acquisti di droga.

In entrambi i casi al problema non viene risposto con una strategia di lungo periodo, questo viene affrontato in maniera puramente cosmetica, che nel frattempo continua a creare emergenza e paranoia dove non se ne vedono le tracce, per giustificare l’esistenza dell’apparato di sicurezza nella sua totalità.

L’Italia e l’Unione Europea stanno approntando una strategia simile nei confronti delle migrazioni: o le affrontano in maniera puramente poliziale e repressiva, come avviene sul nostro territorio con le retate alle stazioni, con il campo libero lasciato alle peggiori menzogne in televisione e sulla carta stampata, con le condizioni terribili che si vivono nei “centri d’accoglienza”.

Oppure le delocalizzano come sta succedendo in Libia e in futuro in Niger e Ciad, con campi di concentramento definiti anche da soggetti non certo eversivi o scomodi come Emma Bonino o Gino Strada dei veri lager dove si tortura e si stupra.

In ogni caso il problema non viene risolto: i problemi strutturali, che vanno dal riscaldamento climatico alle conseguenze delle guerre coloniali e imperialistiche, continueranno a alimentare il flusso migratorio, con il risultato di fare del Mediterraneo e dei paesi ormai cuscinetto dell’Africa Settentrionale delle fosse comuni. Gentiloni e Minniti intanto si lodano e si esaltano per lo stop agli sbarchi, rendendosi autori di un crimine di guerra che chissà se qualche tribunale internazionale riconoscerà mai.

Le indiscrezioni sul pagamento alle milizie libiche per farle diventare da trafficanti a gendarmi anti-trafficanti – confermate anche da Massimo d’Alema -, l’appoggio totale a Al-Sisi per controllare anch’esso la sua frontiera – con buona pace di Regeni, contano molto più gli interessi di ENI – la dicono lunga sulle figure che abbiamo al governo in questi mesi.

Perfino Medici Senza Frontiere ha parlato in merito di “cinica complicità” dell’Italia e dell’UE con il business criminale, ma le esigenze di campagna elettorale, quelle delle aziende e quelle di poltrona sono più forti di qualsiasi etica.

La UE finge di riconoscere la situazione, per bocca del commissario Malstrom, ma non fa nulla: del resto, non riesce a convincere, sempre che voglia farlo, alcuni dei suoi stati membri ad accogliere poche decine di persone, figurarsi se intende occuparsi di chi muore in Libia. Stiamo sempre parlando di chi ha firmato accordi assassini con la Turchia di un dittatore sanguinario come Erdogan..

Eppure anche all’interno delle nostre frontiere grondanti di sangue non smette la caccia alle streghe: aggrediti da autisti diventano aggressori; rifugiati lasciati senza diritti diventano racket delle occupazioni; lo “straniero” in generale diventa l’autore della maggioranza degli stupri, negando l’evidenza dei dati e costruendo un dispositivo razzista e criminalizzante sull’equazione migrante=stupratore.

Ciò che conta è semplicemente spostare il problema, cancellarlo nei suoi tratti più evidenti, insabbiandolo sotto un capro espiatorio. E’ quello che ci insegna David Simon nel suo capolavoro: in The Wire, Minniti sarebbe stato un ottimo personaggio. Ma siccome siamo nella vita reale, il cinismo tetro e desolante della serie tv va ribaltato all’interno di una prospettiva sempre possibile: quella collettiva della rottura di un silenzio così assordante da fare ogni giorno più male.

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