Non solo nastrini gialli
E’ dedicata a Nouraddine Adnar la protesta del primo marzo di quest’anno. Lo sciopero dei migranti del 2011 porta il nome del ragazzo marocchino che si è dato fuoco per protesta contro lo sgombero della sua bancarella da parte dei vigili urbani di Palermo: un gesto che fa correre la mente fino alla Tunisia dove lo stesso gesto da parte di Mohamed Bouazizi, per il sequestro del suo banchetto di frutta e verdura, ha innescato la scintilla della rivolta.
Gli stranieri e gli italiani che scendono in piazza in Italia guardano a ciò che succede dall’altra parte del Mediterraneo, dove alla repressione si è risposto cacciando uno alla volta i dittatori che pretendevano di governarli: Ben Ali, Moubarak, Gannouchi… I migranti in Italia vivono la stessa repressione nelle loro vite quotidiane: controlli, ricatti, pressioni, sotto il principio per cui ogni straniero è un potenziale criminale. Di fronte alla legge Bossi-Fini perdere il lavoro significa vedersi stracciare il permesso di soggiorno ed etichettare come clandestino, ospite sgradito, da richiudere e rispedire su un volo charter in una terra lontana, a volte ormai poco familiare.
Quest’anno sarà il primo marzo dei migranti che a Brescia sono saliti sulla gru per protesta contro la “sanatoria truffa”. Una lotta che ha lasciato con lo sguardo rivolto verso l’alto lo sguardo di molti migranti per diversi giorni e che mostra i suoi primi risultati con la decisione del Consiglio di Stato di sospendere lil rigetto delle richieste di sanatoria per gli stranieri a cui era stato consegnato il decreto di espulsione prima della domanda di regolarizzazione.
Scendere in piazza il primo marzo significa accendere una luce sulle lotte quotidiane dei migranti, di chi non vuole che la giornata si limiti alla distribuzione di nastrini gialli e dichiarazioni dell’ultim’ora degli stessi parlamentari che hanno creato i primi centri etnici di detenzione. Il primo marzo è dei ragazzi nati in Maghreb ma che cantano in italiano i loro versi hiphop, è degli sguardi che guardano verso le gru occupate, degli italiani che sempre più meticci urlano anche da questa parte del mediterraneo il loro “Degagè”.
Ortica
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