Paura dei forconi? Benvenuti nel mondo reale
Cominciamo dallo squallido pregiudizio antimeridionale. Sono dei trogloditi, non possiamo dirlo ma lo pensiamo tutti e, un po’ come gli arabi, se si incazzano c’è qualcosa di torbido, quanto meno un alone di violenza e pericolo, e probabilmente una qualche regia occulta. Per i giornalisti della Repubblica e del Fatto Quotidiano sono state manna dal cielo le accuse del presidente della Confindustria siciliana, Ivan Lo Bello, riguardo a “infiltrazioni” di Cosa Nostra nel movimento dei Forconi. Poiché qui non ci sono in prima fila magistrati o familiari di magistrati morti, ma lavoratori e disoccupati. Non c’è protesta o rivolta sociale del Meridione – fateci caso: avvenga essa a Napoli, come nel caso delle battaglie contro gli inceneritori, o a Palermo, come in questi giorni – che per i giornalisti non sia gestita occultamente da ciò che il 99% di essi descrive come mafia ma, al 99% delle probabilità, non saprebbe definire o spiegare. Basta poco per screditare qualsiasi cosa accada al Sud, anche perché il marchio d’infamia non si può più lavare, una volta che è stato cucito addosso: il resto degli italiani non potrà informarsi in prima persona, direttamente, non potrà parlare e conoscere i propri simili che protestano, né capire nel profondo le sempre complesse e mai univoche dinamiche sociali siciliane. Dovrà dare per buone le dichiarazioni degli zelanti servitori del principale sistema del racket esistente dall’unità d’Italia in questo paese, lo stato. Servitori come il procuratore capo di Palermo, che ha dichiarato: “Troviamo giustificato l’allarme lanciato da Confindustria: la situazione è della massima serietà”.
Procura e Confindustria se la intendono contro pescatori e autotrasportatori ma, invitati dal movimento stesso a spiegarsi meglio, sono in difficoltà: “Abbiamo evidenze che in molte manifestazioni erano presenti esponenti riconducibili a Cosa Nostra. Questo non significa che la mafia sia dietro le manifestazioni”, si è corretto Lo Bello. Scopriamo così che in un movimento sociale ci può essere, tra i partecipanti, chi è legato ad attività criminali o illegali del luogo. Incredibile: benvenuti nel mondo reale, magari un po’ distante da quello auspicato dagli inviati di Repubblica, ma stupirebbe il contrario; e, in ogni caso, come hanno detto i manifestanti ai cronisti, i mafiosi non fanno blocchi stradali per ottenere qualcosa, al massimo una telefonata. Non bastava; è servito anche lo scoop: “C’è dietro Forza Nuova”. Quelli di Forza Nuova saranno saltati sulla sedia, pensando che era già ora di marciare su Roma. È bastato a un paio di loro essere accettati ai blocchi in un paio di
città siciliane, ed ecco che il movimento è loro. Il cronista del caso si sarà ricordato confusamente qualcosa che aveva sentito sulla rivolta dei “Boia chi molla” una volta, facendo zapping col telecomando. Eureka! Tutto si spiega. Stanno cercando un’estensione anche in Calabria, in effetti, e sono già a stretto contatto con i pastori sardi (che magari, scopriranno Repubblica e Il Fatto, sono amici di qualcuno che era nell’Anonima Sequestri). (Voi vi stupireste? Io non mi stupirei.) Pastori sardi, camionisti siciliani, addirittura calabresi: ma che schifo è questo, avranno pensato nelle redazioni di Torino e Milano! Ci manca soltanto un corteo di motorini da Casal di Principe, e dovremo affrontare la legge marziale.
Vivere il razzismo sulla propria pelle: sentirsi giudicati prima di essere conosciuti. Se questa offesa ai manifestanti è vergognosa, il lato politicamente più dannoso di questa canea mediatica è stato, in fin dei conti, proprio la pubblicità insperata e immeritata che ha ricevuto uno dei tanti microgruppi del neofascismo italiano. Ai leader di Forza Nuova non sarà parso vero di trovarsi descritti come eroi rivoluzionari alla testa di una specie di rivolta popolare: “A noi!” avranno gridato levando il braccio teso verso lo schermo del computer. In realtà – ma servono contatti diretti nel movimento per saperlo: il magistrato e l’industriale non sono d’aiuto, come sempre in questi casi – si tratta semplicemente della loro scelta di dare appoggio pubblico al movimento, mentre la sinistra perbene si sperticava in dichiarazioni d’amore per Mario Monti. Fascisti che tentano di portare le loro idee in un movimento sociale privo di una direzione chiara e di un’ideologia definita; ancora una volta, cose dell’altro mondo, del mondo di sempre; benvenuti nelle vecchie storie, nella banalità. Intanto i fascisti hanno fatto notizia e permesso di scrivere senza sforzarsi troppo, come quando si parla dei black bloc in Val Susa, creando il ridicolo effetto di copia-incolla che pervade il web mainstream e le agenzie di stampa. Soprattutto, i media rispettabili sono rimasti fedeli al loro obiettivo deontologico: screditare ciò che non rientra nei parametri interpretativi standard, ciò che non è compatibile con la rappresentazione del paese che era stata confezionata per cacciare Berlusconi e insediare Monti; ciò che puzza di benzina, di sudore da lavoro e magari a volte – cosa inaudita, soprattutto per la sinistra – di licenza media.
Ci si stupisce – e diventa nuovamente pretesto per il ludibrio – che attenzione al movimento sia venuta anche e soprattutto da La Padania, quotidiano della Lega Nord: forse perché la Lega è l’ultimo partito interessato a interpretare sentimenti sociali diffusi anche se distanti, popolari, pur nelle difficoltà rappresentate dall’essere a tutti gli effetti parte integrante della casta italiana? Questo interesse non è sintomo del carattere reazionario dei Forconi, ma del fatto che la sinistra ufficiale è intenta da decenni a consegnare il paese nelle mani della destra (per fortuna esistono i centri sociali più militanti, come l’Anomalia di Palermo, presenti nelle manifestazioni di questi giorni). Quella sinistra tradizionale è fuori dai giochi. Presto arriveranno forti turbolenze politiche. I movimenti sociali di domani, facile profezia, non canteranno compostamente il sol dell’avvenire, perché era una canzone di altri tempi. Occorrerà inventarsi e condividere nuove canzoni. Spiace, ma è così. Sarà magari difficile conciliare le lotte tra loro, i soggetti. Non aggrada? Sarà ugualmente così. Saranno movimenti connotati in senso sociale, espressione delle condizioni di vita e delle frustrazioni generiche e diffuse di una parte dell’Italia (non di tutta: come è normale, quando si tratta di lotta di classe). Saranno meglio delineati i nemici degli amici, come accade in ogni inizio: la classe politica e la casta dell’informazione ufficiale, che è oggi odiata cordialmente un po’ dappertutto, ma in particolar modo – accade anche in Val di Susa – da chi ha partecipato almeno una volta nella vita a un blocco stradale, e ha visto come è stato raccontato.
Dove andranno questi movimenti? Si scaglieranno contro i poliziotti, contro gli immigrati, contro entrambi? Contro i banchieri, contro i mafiosi, contro il governo? Apprezzeranno la solidarietà dei fascisti, degli autonomi, di tutti o di nessuno? Benvenuti nella politica reale che attraverso i giornali sembra irreale, quella che sulla strada delle lotte grandi e piccole si è giocata da sempre su un piano inclinato, a proprio rischio e pericolo, sul filo del rasoio. Un’Italia migliore arriverà soltanto dall’Italia oggi demonizzata dalla politica, marginalizzata dalla narrazione ufficiale, calunniata, denunciata, manganellata, arrestata. Quest’Italia crescerà, e sarà parte di qualcosa di enorme che sta crescendo nel mondo. Si preparano tempi duri, forse decisivi per molte cose. La direzione politica che
prenderanno i movimenti si deciderà all’interno di essi: chi sarà in essi, potrà essere protagonista dei loro destini; tutti gli altri, no. Questa autonomia istintiva, e per questo immatura, è un dato che unisce ormai studenti medi e autotrasportatori, ceto medio impoverito e precariato sociale, universitari senza borsa di studio e allevatori di pecore; nelle differenze di vissuto, culturali e perfino antropologiche, questi soggetti produrranno a loro modo un contesto politico nuovo. Occorre agire, non parlare. Non deridere, ma comprendere e rischiare.
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