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Poltrone, poltroncine, scioperi e diversivi

Sindaci “buoni” e calciatori “cattivi”.

L’immagine più rappresentativa della crisi della politica istituzionale nel nostro paese è ben sintetizzata dal montaggio che contrappone i vertici del governo in riunione a porte chiuse ad Arcore (campo) alla protesta di piazza dei sindaci convenuti ieri mattina a Milano (contro-campo).

La prima tentazione, invero un po’ superficiale, sarebbe quella di leggere antagonisticamente la politica degli enti locali (che sceglie anche intelligentemente la piazza come proprio luogo deputato) alle stanze inaccessibili del potere di chi sta in alto, così poco intelligente da continuare a scegliere Arcore (non solo porte chiuse ma di residenza privata) come sede di una discussione esecutiva che deciderà sul destino di tutt*.

Senza nulla concedere ad un governo che letteralmente non sa più dove tagliare per far cassa (una volta decurtato e privatizzato tutto il pubblico appropriabile/vendibile) non bisognerebbe però incorrere nella trappola di chi vuol farci consumare un cliché troppo semplificato.

Se è certamente vero che gli enti locali si troveranno da un giorno all’altro senza più fondi per far funzionare l’amministrazione del territorio (esempio perfetto di una crisi globale che si riversa sul locale) non bisogna però commettere l’errore di mettere sullo stesso piano le sacrosante esigenze di sopravvivenza dei piccoli comuni con gli interessi (ben altrimenti orientati) dei sindaci delle vaste aree metropolitane del paese.

C’è insomma un bello scarto tra i problemi di un sindaco di un comune con qualche centinaio di abitanti e i grossi interessi economici di chi governa città di medie e grandi dimensioni.

Come mai Tosi se la intende tanto bene con Pisapia e Fassino con Alemanno? Non c’è qui alcuna difesa del “territorio” come bene comune quanto la rivendicazione del diritto dei primi cittadini di continuare a sfruttarlo… e usufruire degli introiti prodotti dal governo del territorio attraverso la finanziarizzazione. Negli ultimi 20 anni (forse l’esito effettivo di Tangentopoli/Mani Pulite è stato proprio questo) l’amministrazione delle aree metropolitane è stato il terreno di applicazione di una governance che ha visto intrecciati politica istituzionale, imprese e uso spregiudicato dei dispositivi finanziari. Ne sanno qualcosa Chiamparino e la città di Torino, oggi primo comune del paese nella top ten dei più indebitati (si parla di circa 6000 euro pro-capite) per l’uso avventuristico dei derivati fatto dal primo cittadino prima, durante e dopo la gallina dalle uova d’oro delle Olimpiadi Invernali del 2006.

L’immagine che richiamavamo in apertura ci sembra invece più interessante leggerla come esempio calzante delle dis-articolazioni che oggi attraversano la politica istituzionale e il sitema-Italia tutto, un aggregato sempre più difficilmente tenuto insieme, lacerato da interessi divergenti che contrappongono – anche sul piano del potere politico istituzionale – grandi poltrone, poltrone, poltroncine fino alla piccola cadrega di paesino.

L’altra grande questione dibattuta in questi giorni dalla politica istituzionale (e dal media mainstream che ne è la cassa di risonanza) è quella dello sciopero generale indetto dalla Cgil per il prossimo 6 settembre. Quasi senza volerlo il sindacato di corso Italia si trova ancora una volta obbligato a giocare il ruolo di opposizione anche politica ad una manovra che trova l’accordo trasversale di centro-sinistra e centro-destra sotto la mano benedicente del Presidente della Repubblica. Più passano gli anni e meno le posizioni sempre più moderate e concilianti della Cgil riescono ad incontrare una spinta politica in un PD che anzi arriva a criticarla per eccessivo “massimalismo”. Tra i più accesi sostenitori di questa nuova “linea dei sacrifici” il Pd-ino piemontese Esposito, salito agli onori delle cronache per la veemenza con cui ha chiesto nei mesi scorsi la militarizzazione (infine fattasi realtà) della Val Susa (Chiamparino lo segue a distanza).

La contrapposizione, che farà ritrovare alla Cgil un consenso a sinistra (che non vuole), è forse il più amaro ed illuminante commento alle gesta della segretaria in carica Susanna Camusso. Non sono bastati tutti gli inchini a Confindustria, Cisl e Uil su deroghe, contratti e rinnovata “unità sindacale”. Appena siglata la più rinunciataria delle intese, il governo se ne esce fuori con una manovra che pretende la pura e semplice capitolazione di qualunque residua velleità sindacale di difesa dei diritti dei lavoratori. E oltre al danno la beffa. La supposta sponda politica non tarda nel prendere le distanze contro l’irresponsabilità di un sindacato “troppo poco riformista”, mostrandosi invece pronta nel dichiarare la propria appartenenza di campo dalla parte del più forte

Con questo incasinato retroterra, che ha però il pregio di mostrare – tra interessi incrociati e scavalcamenti di campo – il solco sempre più netto che divide espropriati ed espropriatori, lo sciopero del prossimo 6 settembre potrebbe forse inaugurare un nuovo autunno di lotta di cui si sente disperato bisogno.

 

Un ultimo appunto prima di chiudere: a ben guardare lo sciopero che oggi fa più discutere non è in fondo quello annunciato dalla Cgil quanto l’inedito incrocio delle gambe dei calciatori professionisti. Apriti cielo! Insperato aiuto per i professionisti della (dis-)informazione di massa che hanno trovato il comodo capro espiatorio contro cui dirigere i rancori di una plebe allergica a qualunque forma di politicizzazione e ingaggiamento nella lotta sociale. Una vertenza su questioni specifiche (che riguardano anche migliaia di aspiranti professionisti in buona parte senza stipendio ma con alle spalle anni di investimento personale e familiare su un “sogno” il più delle volte non realizzato – ma non ci interessa qui esprimerci sull’oggetto della contesa!) viene trasformata mediaticamente nel rifiuto a pagare il “contributo di solidarietà”. Non si capisce poi perché precari senza futuro e odierno proletariato dovrebbero scandalizzarsi per di milionari che non intendono pagare una sovra-tassa decisa da altri milionari per finanziare e sostenere una manovra che rifarà interessi di milionari… senza rimettere in discussione nulla (se non in peggio) dell’attuale struttura economica e sociale che ci ha portati nell’odierna promessa di povertà.

Maelzel

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