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Quale futuro ci aspettiamo?

La guerra, la militarizzazione e la devastazione dei territori: come non essere più sacrificabili.

Questo che riproduciamo di seguito è l’editoriale del magazine estivo di Infoaut dedicato alle lotte sociali in Francia, dal movimento contro la riforma delle pensioni, alle lotte ecologiste fino ad arrivare alle rivolte delle banlieue. Il cartaceo sarà disponibile durante il festival Alta Felicità in Valsusa e nelle prossime iniziative di mobilitazione fino ad esaurimento copie. Al fondo potete trovare la versione digitale. Buona lettura!

Occorre prendersi la responsabilità di invertire la direzione verso la quale si sta andando. La pandemia, la crisi sociale, l’atomizzazione, la decetomedizzazione, la confusione tra cosa è vero e cosa è falso, la guerra in Ucraina, il governo, l’inflazione, la dipendenza energetica, la messa a disposizione dei territori per la guerra e le sue articolazioni, la propaganda bellica, il disciplinamento dei corpi e delle menti, la chiusura di spazi del dissenso. Un mondo sconvolto a velocità raddoppiata, un panorama di sempre più difficile interpretazione, una scommessa da fare. Come incidere in questo scenario? Come porre una rigidità nei confronti delle dirigenze occidentali, a partire dal nostro governo, per frenare l’escalation bellica alla quale stiamo assistendo? Assumendosi il compito di non voler fare parte di chi può essere sacrificabile e, con noi, la nostra parte.

Le ulime notizie ci parlano di cluster bomb che hanno causato morti e feriti gravi tra la popolazione, ordigni che continueranno a fare danni per molto tempo. Intanto gli Stati Uniti si apprestano a inviare bombe a grappolo in Ucraina, vietate dai regolamenti internazionali, vecchie e fuori uso. In Iraq tali bombe nel 1991 e nel 2003 hanno causato vittime tra civili e militari lasciando conseguenze terribili sul territorio.

La propaganda mediatica occidentale normalizza la guerra, ne rende segreti i dati più esemplificativi, spinge a tifare per un campo piuttosto che per un altro, induce a pensare che non si possa fare niente per un evento così totale e così lontano. Lo vediamo nella narrazione della famosa “contro offensiva” ucraina, di là da venire, nel “colpo di stato” della Wagner, nelle fumose comunicazioni a riguardo delle armi rifornite e dei civili ammazzati.

Non si parla della stanchezza della società ucraina, dei giovani mandati al fronte a morire per un’ideologia occidentale confezionata ad hoc, presentandola come una società coesa e unita nello sforzo bellico, per assolvere alla funzione di una guerra del popolo e, dunque, legittimata da una visione dell’autodeterminazione e della libertà, tutta piegata in nome di un “noi” che anela a un modello sociale occidentale, neoliberista, del consumo, americano.

Ma di quale società stiamo parlando ? Sono poche le voci che si alzano per sottolineare gli aspetti strutturali che stanno dietro le sparatorie di massa, perché ciò vorrebbe dire ammettere che gran parte del sistema di valori, gran parte dell’organizzazione sociale su cui si basano gli USA è produttrice di stragi. E questo lo scrivevamo in un editoriale del 25 maggio 2022, dal titolo “Stragi e guerra, la matrice comune della decadenza americana”.

Di fatto si tratta dell’altro mito americano, quello del vendicatore solitario, della volontà di predominio, la fontiera nei suoi tratti oscuri, il self made man rovesciato, ma anche coincidente. Vite sedotte ed abbandonate dalla promessa di una vita splendente che divorano altre vite, innocenti.
La questione è strutturale perché gli Stati Uniti non sono mai stati in grado di fare i conti con la propria storia, con le matrici di fondo individualiste, razziste e classiste. In ogni ganglo del vivere associato si annida il morbo della supremazia, del primato, dell’eccezionalità americana.
Non vi sono possibilità di una transizione pacifica verso un mondo multipolare per lo stesso motivo per cui non vi sono possibilità che questa scia di morte trovi una conclusione, salvo uno sconvolgimento sociale radicale. L’accesso alle armi è solo un aspetto che potenzia la distruttività di un modello di società costruito intorno al saccheggio, al continuo divorare di risorse, di possibilità, di vite.

Come rilevato da Human Right Watch, in poco più di un anno di guerra, si stima che l’esercito ucraino abbia subito almeno 200.000 morti. Considerando il tasso medio di 4 feriti per 1 morto, ciò indica che altre 800.000 persone sono state ferite. Ciò significa che, su una popolazione prebellica di poco meno di 39 milioni di persone, lo 0,5% è morto in guerra e il 2,6% è stato ucciso o ferito.

La maggior parte dei morti sono giovani e lavoratori. Sebbene sempre più persone cerchino di evitare il servizio di leva, ciò richiede soprattutto risorse finanziarie, che la stragrande maggioranza della popolazione non possiede. Anche prima della guerra, l’Ucraina, insieme alla Moldavia, era il Paese più povero d’Europa.

“Non succede tutti i giorni che la politica internazionale tocchi concretamente la vita quotidiana. Evidente dal punto di vista economico, come per l’aumento del prezzo dell’energia, il carovita, ma c’è una dimensione piu complessiva che riguarda il futuro che ci aspetta. La guerra in Ucraina rimette in gioco tutte le questioni, cambia i rapporto sociali e geopolitici quindi qualcosa nella struttura del nostro mondo sta cambiando. Dire che nulla sarà più come prima non sarà retorica”.

Raffaele Sciortino, durante un’assemblea popolare in piazza a Torino, prosegue da questa premessa inquadrando così la fase attuale:

“Non ci interessa analizzare la guerra sotto l’aspetto di aggredito/aggressore, è chiaro che a pagarne le conseguenze è la popolazione, l’Ucraina è il terreno dello scontro, la popolazione ucraina e i soldati russi sono la carne da macello in questo scontro con la NATO, l’Occidente, sostanzialmente con gli USA.

La guerra era strisciante e già presente almeno dal colpo di stato Maidan del 2014. Oggi la NATO in Ucraina implica che installerà sistemi missilistici che minacciano Mosca e il meccanismo della deterrenza – che aveva regolato la guerra fredda – salta, salterà andando verso una guerra dispiegata, considerando che la Russia è una potenza nucleare.

Quindi la domanda da porsi è : perché gli USA si sono aggressivizzati a tal punto per contribuire a creare questa situazione sul terreno europeo?

Ci sono due scenari: quello europeo e quello asiatico per Washington. In quello europeo, la strategia è quella di impedire in ogni modo un collegamento prima di tutto economico e poi politico tra la potenza industriale tedesca e le risorse energetiche russe perché questo metterebbe in crisi l’egemonia del dollaro. Quindi la NATO e l’UE servono a tenere la Russia fuori dai giochi e la Germania sotto il controllo USA. Una strategia già elaborata dal colonialismo britannico a inizio 800. La Germania è entrata in recessione e così di conseguenza l’Europa, l’industria italiana e quella di tutti gli altri Stati europe e ciò ci fa capire quanto siano sottomesse a Washington le classi dirigenti europee. Per questo oggi non esiste voce fuori dal coro, non c’è la possibilità materiale per le élites europee di distanziarsi dal controllo americano e dalla loro influenza, nemmeno se lo volessero.

Il cuore del problema è il dominio mondiale del dollaro che la Russia ha iniziato a mettere in dicussione.

Per quanto riguarda quindi lo scenario asiatico, Biden ha continuato la politica aggressiva di Trump nei confronti della Cina, anzi ancora di più, la chiamiamo guerra dei microchip. Gli USA stanno chiudendo l’accesso all’acquisto della tecnologia utile a produrre microprocessori per mantenere la Cina tecnologicamente dipendente dall’Occidente. Obbligando anche gli altri paesi a seguire questa linea.

La globalizzazione, fino alla crisi del 2008, è stata la creazione dell’asse tra USA e Cina con la ristrutturazione dell’economia mondiale, in cui la Cina diventava officina del mondo, bassissimo costo del lavoro e il via libera alle multinazionali USA. I salari bassi dei proletari occidentali erano compensati da un basso costao della merce proveniente dalla Cina e così le multinazionali americani costituivano le basi per creare le filiere globali della produzione. Poi con la crisi del 2008 il meccanismo cambia, la Cina inizia a cambiare strategia : tecnologie proprie, sviluppo mercato interno, salari aumentati, pone i paletti alle multinazionali straniere. Ciò ha significato che la Cina diventasse più autonoma dal meccanismo della dominazione del dollaro da parte degli USA provando a intraprendere una strada per svincolarsi dall’egemonia del dollaro.

Gli usa governano con il debito! Insieme al potere militare il meccanismo fondamentale è stato il dollaro, è stata la moneta di riserva di tutte le banche centrali del mondo, la moneta di riferimento per tutti gli scambi commerciali internazionali. Il petrolio si calcola in dollaro. Quindi chi la possiede puo indebitarsi perche il dollaro è richiesto da tutte le banche mondiali.

Questo sarebbe messo in discussione se la Cina iniziasse a prendere peso, nella sua ascesa non fa vacillare l’egemonia degli USA, stabile dall’89 al 2008 perché ad oggi non ci sono possibilità di sostituzione da parte di altre potenze, però è evidente che la Cina stia facendo da sponda a altri paesi non occidentali rispetto a un modello di sviluppo non finanziarizzato come quello proposto dagli USA. E questo mette in crisi gli USA che devono ricorrere al potere militare per imporre e conservare la propria posizione.

Il problema è dove ci sta portando questo sistema perché se continua su questa direttrice ci porterà a uno scontro occidente resto del mondo. Chi ci dice chi sono i nostri nemici lo fa per preservare i propri privilegi, in una situazione in cui il divario tra chi è povero e chi è ricco in Occidente è sempre piu evidente.”

In questo contesto è doveroso porsi la questione di come intervenire oggi, di come parlare con la nostra parte, di come costituire una forza capace di indicare un’alternativa allo scontro generalizzato, al peggioramento delle proprie condizioni di vita, alla fine della mediazione da parte degli Stati nei confronti di chi protesta per ottenere dei miglioramenti salariali, per i diritti, per il welfare, per un riconoscimento sociale. Un esempio centrale oggi in questo senso è ciò che è accaduto in Francia negli scorsi mesi, dal movimento contro la riforma delle pensioni, passando per le mobilitazioni per la tutela dei territori e delle risorse, sino alle rivolte delle banlieues, vediamo come il minimo comune denominatore sia la fine della possibilità di negoziazione e dunque l’impossibilità e la non volontà di concedere nulla da parte dello Stato a fronte di richieste di massa e radicali come questo ciclo ha rappresentato. (Per questo motivo abbiamo dedicato il numero a un approfondimento speciale sulle mobilitazioni in Francia, per comprenderne la genesi, l’eterogeneità, per leggervi delle anticipazioni e delle ispirazioni).

E’ urgente perché vediamo l’articolarsi della cultura della guerra in ogni ambito delle nostre vite, a partire dalla formazione dove le scuole e le università diventano teatro di educazione alla guerra, tramite laboratori e incontri con le forze armate, tramite pcto all’interno delle caserme, tramite il sistema di disciplinamento che vuole sanzionare, attraverso le figure dei presidi e del corpo docenti, chiunque esprima contrarietà e insofferenza nei confronti dell’ingranaggio scolastico. Gli interessi in campo sono molti, come gli accordi e l’internità di aziende produttrici di armi nelle università italiane, come la Leonardo.

In ogni ambito delle nostre vite vediamo che la priorità della guerra guerreggiata, nella quale conquistarsi un posto in prima fila agli occhi della dirigenza americana, significa peggioramento concreto delle esistenze della maggioranza. Ogni centesimo speso per le armi da inviare in Ucraina è un centesimo tolto alla sanità, all’istruzione, al welfare, alla manutenzione dei territori. Il nostro paese oltre a volersi istituire hub del gas, per assolvere alla propaganda bellica che parla di crisi energetica come ciò che obbliga alla produzione senza alcun riguardo nei confronti dell’ambiente e dei territori, è un hub militare. Lo sono la Sicilia, la Sardegna, la Toscana, la Puglia, il Nord Italia, lo sono nella misura in cui la presenza di basi militari, poligoni di tiro, caserme, nuovi progetti di basi militari, sono la manifestazione materiale di questa presenza fisica, di occupazione del territorio e di servilismo.

Bloccare la filiera della guerra, arrecare danno economico, sabotarla, riconquistare il nostro territorio metro per metro, scioperare la guerra sia nella produzione che nella riproduzione, sono gli strumenti nelle mani di chi si pone all’altezza della situazione, nell’urgenza e nella profondità di cosa significhi opporsi oggi alla guerra.

Un’opposizione che crediamo diffusa seppur soltanto sul piano dell’opinione, un’opposizione che individua negli USA uno dei problemi principali, nel loro ruolo mondiale, un’opposizione che parte dalle conseguenze vissute in prima persona.

E’ in questa direzione che si muove il percorso iniziato nel territorio pisano questa estate e che vedrà moltissime tappe in tutta Italia nei prossimi mesi (come viene rappresentato nella mappa al fondo della fanzine) che porteranno a una grande manifestazione generale sul territorio pisano e in Sicilia, per dare un primo e necessario segnale per fermare l’escalation bellica e per non essere i sacrificabili da questo sistema mortifero.

Immagini di Tommaso Tartaglino

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