Roma, Cronache post-Marziano
A Roma il tempo sembra sospeso nell’attesa.
In questo interregno targato Gabrielli, i partiti sono intenti a cercare il volto buono aspettando le elezioni della primavera prossima. I sindacati aspettano interlocutori per intavolare trattative, il governo cerca un Dream Team, i pendolari cercano di tornare a casa aspettando la metro, giornalisti e curiosi guardano Suburra e contano i giorni per il 5 novembre quando inizierà il processo per mafia capitale.
Nessuno sa quali delle brillanti operazioni che la giunta Marino aveva in cantiere, saranno realizzate e quante dovranno aspettare il prossimo compiacente sindaco. Verrà approvata la delibera che consente di trasformare in supermercati, i cinema abbandonati? Avranno futuro i s.a.t. (Nuova versione dei residence per l’emergenza abitativa)? Sarà privatizzata l’azienda dei rifiuti? Le caserme saranno trasformate in appartamenti di lusso?
In questo stallo che è una forma di governo della città, ieri a La Sapienza, dove veniva inaugurata la Maker Faire, grande evento che mette in mostra l’artigianato digitale del piccolo Maker, accompagnato da grandi sponsor e calpestando gli studenti univeristari costretti a pagare per entrare nella propira università, Gabrielli ha ricordato che per difendere questo status quo è disponibile a schierare decine di poliziotti con tanto di blindati e idranti.
Ancora una volta si è data dimostrazione di una gestione dell’ordine pubblico che più che a prevenire eventuali disordini è finalizzata a ridurre al silenzio ogni tentativo di opposizione con l’obbiettivo esplicito di pacificare la città verso il giubileo.
Questo perché al netto delle retoriche sull’innovazione, sulle start up e sul job’s act la verità è che l’unica ipotesi di sopravvivenza alla crisi su cui la governance cittadina investe è quella di garantirsi nuove rendite dalla recinzione degli spazi pubblici, dalla valorizzazione immobiliare, dalla privatizzazione dei servizi e dal lavoro gratuito o sottopagato.
Che si svolgano in ex-cinema o in caserme, che servano come scusa per edificare interi quartieri o, come in questo caso, siano ospitati nella città universitaria, fiere e grandi eventi rappresentano un’occasione unica di accelerazione per questo processo di espropriazione e messa al lavoro.
Nessuna redistribuzione all’orizzonte, niente investimenti, niente posti di lavoro. Il capitale salva se stesso spremendo gli studenti, i lavoratori e gli abitanti dei quartieri popolari.
Ci sembra che sia ormai coscienza condivisa che tale orizzonte procede insieme alla restrizione degli spazi di agibilità. Oggi non c’è spazio per dimostrazioni che non tengano conto della necessità della rottura perché anche il diritto degli studenti ad entrare gratuitamente nel proprio ateneo viene impedito con cariche e arresti, oggi anche gli studenti delle scuole che manifestano pacificamente contro la Buona Scuola vengono multati e denunciati.
Il tema è se questa coscienza diventa l’alibi per una resa incondizionata in nome dell’attesa di tempi migliori o se è il punto di partenza per rovesciare il tavolo, il terreno su cui immaginare una scommessa in avanti che si ponga inevitabilmente il problema di pensare il giubileo come un’occasione per mettere in difficoltà la controparte.
Le piazze di risposta allo sgombero di Degage, i primi cortei degli studenti delle scuole, la determinazione di quanti ieri non si sono fatti inibire dalla sproporzione dei mezzi messi in campo dalla controparte ci restituiscono l’immagine di una composizione giovanile che si qualifica come variabile incontrollata e come incontrollabile spina nel fianco del tentativo di pacificazione giubilare.
Una composizione che sta scompaginando le alleanze e gli schieramenti di movimento non per cercare un’unità impossibile ma perché condivide la necessità di non aspettare oltre e di cui saremo chiamati a misurare nelle prossime settimane le capacità di allargamento e di tenuta.
Una composizione che si sta caricando sulle spalle l’onere e l’onore di entrare a spinta nella vetrina giubilare e allo stesso tempo si pone il problema di costruire nell’università, nelle scuole e nei quartieri forme di militanza all’altezza delle contraddizioni del presente.
Perché per tornare a scorrere a volte il tempo ha bisogno di una spinta.
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