Si vis pacem para bellum — La nuova semantica di guerra
Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina sono sempre più frequenti nel nostro paese, e in vari altri stati europei, le manifestazioni contro la guerra.
Non si vedevano bandiere dell’Iraq nelle manifestazioni NO WAR del 2003, oggi non si vedono più le bandiere arcobaleno, ma solo bandiere gialloblu. La confusione è tanta, questo sconvolgimento semantico di una parte della sinistra tanto liberale, quanto di movimento, ha trovato la sua concretezza nello “spezzone nato” durante il corteo del 25 aprile a Milano. Posizionate a pochi metri dall’Anpi, si potevano intravedere, oltre alle bandiere dell’alleanza atlantica, quelle del battaglione Azov. È stato anche molto triste vedere nello stesso corteo quei quattro in fondo con le magliette Z e la bandiere del Donbass.
Nel campo interventista le proporzioni non sono però uguali. Se è vero che esistono anche dei sostenitori dell’Operazione Speciale di Putin, questi non rappresentano altro che, grazie al cielo, una sparuta e ininfluente minoranza. In questa fase preoccupano di più i convinti sostenitori di Zelensky.
Alla retorica putiniana che incita alla “guerra santa” contro i valori dissoluti dell’Occidente, si oppone, nel vecchio continente, una narrazione di guerra uguale e contraria che sostiene i “partigiani” ucraini contro il dittatore neozarista. I concetti di “pace”, “nazismo”, “autodeterminazione dei popoli”, “resistenza”, vengono completamente capovolti da entrambi i fronti per giustificare l’annientamento del nemico, che si concretizza nel massacro della povera gente, russa e ucraina, che viene mandata al fronte in modo coercitivo.
Questo si è reso ancora più evidente nella narrazione vergognosa dei media mainstream, che da una parte hanno attenzionato, per un lungo periodo, le notizie sulla diserzione dei giovani russi, dall’altra hanno quasi totalmente oscurato gli episodi di diserzione tra le fila ucraine.
Giochi pericolosi
Questi giochi di capovolgimento semantico diventano pericolosi nel momento in cui si concretizzano nei piani di guerra NATO (vedi la nuova dottrina “first strike”), e in una generale fase di riarmo delle principali potenze globali. Biden ha più volte sostenuto che Putin è pericoloso perchè è messo all’angolo, senza una via d’uscita se non quella di proseguire la guerra fino in fondo.
Questo è vero, nessuno infatti sta neanche ipotizzando che possa realizzarsi la “terza via”, rappresentata dalla fine delle ostilità, tutti gli attori coinvolti si muovono nella direzione di quello che si prospetta essere il colpo di coda dell’Occidente al tramonto: una guerra che durerà per molto tempo.
Ci ritroviamo in uno scenario molto simile a quello che ha preceduto la prima guerra mondiale, dove la narrazione guerrafondaia della borghesia imperialista aveva coinvolto anche buona parte delle forze “progressiste” dell’Europa, tanto dei partiti socialisti, quanto di una parte di anarchici.
Ritorna l’eco di quelle stesse posizioni espresse nel Manifesto dei sedici scritto da Kropotkin e altri anarchici nel 1916.
Questo documento, oltre a essere il primo caso in cui una parte del mondo anarchico si discosta dalla classica impostazione “antimilitarista”, è un critica alla posizione di una parte del mondo socialista e anarchico che aderisce alla dottrina di Lenin “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, dopo la conferenza di Zimmerwald del 1915. Oggi in Italia una buona parte del mondo “progressista”, dai liberal-democratici agli anarchici, sta ricadendo nello stesso errore di Kropotkin, proponendo una posizione bellicista, patriarcale e colonialista.
Messi a confronto il manifesto ha molte analogie con questi discorsi, sempre più diffusi anche a livello di movimento. Così come le posizioni di Kropotkin antigermaniche, oggi sono sempre più frequenti episodi di russofobia, contro artisti, musicisti e letterati russi che vengono censurati in vario modo. Un’altro esempio è rappresentato da chi parla di Matria Europa o di “resistenza ucraina”, utilizzando lo stesso artificio retorico di Kropotkin quando sostiene che “Parlare di pace in questo momento significa appunto fare il gioco del partito filogovernativo tedesco, di Bulow e dei suoi agenti”. Per il fronte interventista di movimento è questo oggi il principale cavallo di battaglia, così come Kropotkin accusava i bolscevichi di accettare l’annessione del Belgio e dei dipartimenti del nord della Francia, oggi si accusa i sostenitori della pace di essere a favore di Putin, di accettare l’annessione del Donbass.
Per fortuna oggi in Italia si è aperto un nuovo spazio politico con il percorso di Insorgiamo, sicuramente più limpido, dove la convergenza tra le organizzazioni operaie e i movimenti ecologisti ha aperto una “terza via” per la pace tra popoli, contro il comando capitalista. Domani a Napoli, la prima tappa al Sud di Insorgiamo, rappresenta un passaggio importante per aprire una stagione di lotta contro l’agenda Meloni. Non stupisce che le proteste contro il carobollette siano partite proprio dalla Sicilia e da Napoli, così come è probabile che da qui partiranno le reazioni più forti contro le politiche in tema di reddito e aborto, che andranno ad aggravare le criticità già esistenti da decenni in questa parte del nostro paese.
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