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Val Susa, l’Università delle lotte!

Appello al mondo della formazione per un’estate No Tav.

L’adagio consacratosi lungo la scia del ‘boom economico’ dell’Italia fordista vorrebbe continuare a raccontarci la favoletta dell’Università come ascensore sociale per la scalata di classe, come regno per l’accesso al paradiso dei giusti e meritevoli. Le peggiori storie si perdono nelle alchimie ideologiche intrise di lavoro e disciplina, morale e colpa. Noi invece crediamo nelle lotte come motore del mondo, attraverso le quali osserviamo le trasformazioni di un sistema (in)debito, per poterlo continuare a combattere, dentro e contro, ostinatamente a rovesciare. L’Università non fa eccezione, altrimenti sopravvive il retaggio del fare i conti senza l’oste: ieri le lotte hanno guadagnato l’accesso di massa all’Università, facendo cadere quelle barriere che, quando scosse, insormontabili non si sono dimostrate; oggi l’Università (espressione del potere che le comanda) non solamente programma di stringere l’accesso ad un diritto (lo studio) ma innanzitutto prepara i dispositivi per meglio governare, disciplinare e ricattare, organizzare e gerarchizzare la forza lavoro del domani, le soggettività dell’economia del debito.

L’ascensore si è rotto, ma non è nostra preoccupazione aggiustarlo. La peggio litania riformista avrebbe giustificato il contrario; le velleità miglioriste da noi non trovano casa. Questo ci ha insegnato la Val Susa, questo abbiamo imparato dal movimento No Tav. ‘Fermarlo è possibile, fermarlo tocca a noi!’ non è solamente lo slogan storico della battaglia contro l’alta velocità nella Valle che resiste, ma è soprattutto la sintesi di un metodo di lotta che non si lascia affascinare dalle sirene delle istituzioni né dalle promesse della politica del palazzo, che quindi si istituisce nell’autonomia ed autorganizzazione, nell’indipendenza e forza. Il movimento No Tav non è una costola della ‘società dell’opinione’, è altro, è un’onda lunga costituente, è un territorio che si ribella e che nello scontro si trasforma in comunità in lotta. Le linee della gerarchia del capitale si rompono: ragionare contemplando l’alveo dei pronomi personali conduce sulla strada sbagliata, sopravvive solo il ‘noi’, espressione della potenza di una collettività radicata, composita e differente. Abbiamo imparato a montare una tenda e a lanciare una pietra, a fare il vin brulè e a costruire una barricata, a partecipare ad un’assemblea quindi ad ascoltare dire decidere organizzare fare. La nostra Università abita in Val Susa.

Dal 29 agosto al 1 settembre, a Chiomonte, dentro l’estate No Tav, vogliamo azzardare un esperimento, con un’idea di campeggio ambiziosa perchè eccedente ogni forma di classificazione, laddove nella sostanza saltano quelle categorie che spesso si rivelano recinti. Sarà il campeggio di chi lo attraverserà e vivrà, quindi di quelle soggettività individuali e collettive che lo faranno proprio; in fondo è questa l’essenza dell’essere No Tav, a Chiomonte come a Quarto Oggiaro o Mirafiori, a Marinella come a Bagheria. Nel cuore della crisi non ci servono freni, ma solo accelleratori di processi costituenti che non possono darsi al di fuori delle lotte, dei conflitti. Ragione per la quale crediamo che la Val Susa, la cornice del campeggio contro il fortino militarizzato della cricca del Tav, ci fornisca un’occasione potente e particolare da raccogliere ‘per attrezzarci per il futuro’. Il metodo nel quale crediamo è quello del conflitto e della sperimentazione, ce lo impone il battito della crisi: il nostro antagonismo non si può accontentare dei meccanismi della ripetizione e della ritualità, non si può compiacere del conquistato ma deve giocarsi in mezzo alle faglie della crisi, per afferrare quella crisi di civiltà come opportunità di lotta, ricomposizione, conflitto, trasformazione, alternativa. È una scommessa, che vale la pena azzardare. Gli spazi costituenti non sono affare di alleanze di convenienza o cartelli di sopravvivenza, debbono essere ricercati e sperimentati, dentro un mare di collettività anche differenti ma armate di intelligenze che piegano l’ibrido in contagio, sociale e politico. Anche qui, la comunità No Tav insegna, altrimenti più di vent’anni dopo non saremmo ancora qua.

La nostrana crisi del debito sovrano non ha condotto lungo la nostra strada né Occupy né indignati, tantomeno le primavere della crisi si sono fatte notare nella differenza del conflitto, e della rottura costituente. L’anomalia che si è rafforzata è stata quella di una Valle ribelle, nell’eccezzione di un movimento popolare invalidante ogni costruzione geometrica della mobilitazione pubblicitaria. Ripartire dalla Val Susa può rappresentare quindi l’occasione attraverso la quale rimettersi in gioco, collettivamente, non solamente per vincere la battaglia contro il Tav ma anche per tornare più forti, consapevoli e pronti sui propri territori, in università come nelle metropoli, per battere la crisi e osare un cambiamento necessario, possibile, urgente. In Val Susa, ‘ci attrezziamo per il futuro’.

Collettivo Universitario Autonomo – Torino

 

A breve pubblicheremo sui siti del movimento No Tav il programma della quattro giorni No Tav del 29-30-31 agosto e del 1 settembre. Per info e approfondimenti: www.cuatorino.org, cuatorino@gmail.com.

Alleghiamo uno degli articoli della rivista ‘Rise up!’, che sarà possibile trovare al campeggio ‘Val Susa, l’università delle lotte’. È un contributo che abbiamo scritto ragionando sull’anno No Tav che abbiamo oramai alle spalle, immaginandolo come primo materiale di discussione collettiva nel solco della crisi.

 

Val Susa chiama Italia,

studenti e saperi in prima linea

 

Il movimento No Tav è un corpo collettivo in continua trasformazione, capace spesso di intercettare le esigenze di ricomposizione che si muovono per il paese contro crisi e austerity, politicanti e banchieri. E’ riuscito in più fasi a farsi collettore di quasi tutto ciò che in Italia si oppone alle politiche di fuori uscita dalla crisi dall’alto, dando vita ad un allargamento della lotta, ad uno spostamento dei confini valsusini sul territorio nazionale: ormai non sono solo più gli abitanti della valle ad essere No Tav, ma fette importanti di popolazione di tutta l’Italia; composizioni che iniziano a confrontarsi con le lotte, che si riconoscono ed attestano stima, solidarietà, che partecipano. In particolare abbiamo visto una consistente fascia di quel mondo di militanti, attivisti e simpatizzanti soggettivatosi e sedimentatosi durante il ciclo di lotte in opposizione alla riforma Gelmini inserirsi quasi naturalmente nelle forme e nelle esperienze del movimento No Tav.

Molti hanno iniziato durante l’estate scorsa, partecipando alle fasi di lotta e scontro, venendo dalle varie parti d’Italia, e poi al ritorno riproducendo (con un meccanismo ancora da oliare) nei momenti di massimo conflitto in valle pratiche ed istanze non solo di solidarietà, ma di lotta partecipe e intelligente. Sicuramente la testimonianza di un consenso sempre crescente nonostante le campagne di terrorismo mediatico dei giornali e delle tv mainstream è chiara ed evidente. In questo ha influito senza dubbio la grande argomentazione rispetto alla stupidità di spendere 40 miliardi di euro per un’opera totalmente inutile, soprattutto in un momento di crisi, ma ci viene da dire ancora di più: il movimento cresce di consenso ogni qual volta intercetta e si fa megafono di istanze di conflitto, di irriducibilità politica al teatro del Palazzo, di inconsistenza della mediazione tra esigenze di classi diverse (specie contro il paradigma che Marchionne e Fornero hanno assunto tanto bene del ‘There is not alternative’), quando si fa anche laboratorio politico e territoriale dell’alternativa al modello di sviluppo esistente attraverso l’accenno di istituzioni e forme di comunità autonome, nate, cresciute, trasformate nella e per la lotta.

Molti sono gli studenti che in questa ultima fase delle mobilitazioni si sono avvicinati al movimento No Tav, spinti dal proprio protagonismo e capaci di esprimere una radicalità misurata alle necessità delle fasi di lotta. In questo senso diventa interessante vedere come la nascita del Komitato Giovani No Tav (Kgn) sia uno degli aspetti particolarmente importanti dell’ultimo anno. Ma anche a Torino e nel resto d’Italia l’opposizione al treno ad alta velocità si è fatta spazio fertile nel mondo di tutta quella composizione giovanile, precaria, studentesca, sensibile alla questione della crisi. Il No Tav ha in qualche modo assunto la caratteristica di un ‘brand delle lotte’, di un simbolo dietro cui si polarizzano le istanze che rifiutano l’esistente o anche solo quelle che in maniera idealistica e d’opinione si pongono a critica variamente su livelli più o meno profondi del sistema attuale.

Certamente questo è un risultato significativo, per quanto ambivalente: il concentramento dell’attenzione sulla lotta che si conduce in Val Susa a volte fa perdere la bussola della direzione e dell’obiettivo che questa stessa esprime; prende a volte la forma di un palliativo ideologico per le difficoltà che si esprimono sul territorio dei saperi dopo la sconfitta del movimento No Gelmini. Il rischio è che da ‘brand delle lotte’ l’immaginario potente e significativo del No Tav sia ridotto in qualche forma alla stregua di una spensierata maglietta alla Marcos, o Che Guevara. Pensiamo che invece la chiave e la ricchezza di avere una lotta del genere sui nostri territori sia proprio quella del metodo che esprime, e crediamo che la riproducibilità – con significativa attenzione alle differenze del caso nei campi del sapere, del lavoro, dell’ambiente – sia il modo migliore per aiutare questo movimento a vincere la propria battaglia. Il portato No Tav ci deve spingere a mettere in cantiere proposte di organizzazione e contropotere, inserendoci nelle fratture e nelle contraddizioni che il capitalismo in crisi ci concede. Ciò non significa che il modello valsusino esportato e riprodotto acriticamente su un terreno come quello della formazione possa portare a risultati significativi, tuttavia può indicarci un paio di spunti su cui costruire delle ipotesi di lavoro.

Per capire a pieno cosa significa il movimento No Tav e come mai la sua lotta ventennale non cede il passo, ma si radica, si rende più conflittuale ad ogni fase che passa, bisogna innanzitutto scavare sotto il velo ideologico con cui spesso si guarda a quest’esperienza, utilizzando lenti differenti. La lotta No Tav ha avuto il merito infatti di insegnare come demolire alcune ideologie deleterie che scadevano in forme di ghettizzazione fine a se stessa, come di riuscire a mettere in atto energie ricompositive prima sul territorio valsusino (si ricordi la famosa nonnetta orgogliosa che afferma ‘siamo tutti black block’) e poi sempre di più sul territorio italiano. Pezzi di società estremamente diversi ed eterogenei che a partire dal rifiuto comune alla grande opera si sono uniti, sono cresciuti insieme e hanno iniziato a esprimere in maniera potente e versatile comportamenti, pratiche e contenuti altamente antagonisti. Insieme a ciò dentro la valle è via via nato un senso di comunità alternativo a quello tradizionale, capace di minacciare quell’individualismo esasperato da periferia metropolitana (specie in bassa valle), dando a molti un motivo per vivere e domandarsi come quella valle potesse divenire un territorio con un modello di sviluppo come minimo più umano e non di mercato e impresa. Ed in questo senso sono molte le iniziative che si creano in seno alla lotta, dalle serate di socialità, alle feste popolari (vero e proprio sostitutivo di momenti che non rappresentano più realmente l’anima della comunità valsusina), e mille esperienze di mutuo soccorso più o meno evidenti, più o meno organiche. Per non parlare poi di veri e propri esperimenti di autogestione collettiva e composita del territorio come è stata ad esempio la Libera Repubblica della Maddalena.

Un altro aspetto fondamentale è quello dei saperi dentro la lotta No Tav: il movimento è stato in grado da sempre di costruire un controsapere spesso egemonico o comunque difficile da controbattere rispetto a quello mainstream, in grado spesso di demolire le argomentazioni della controparte e di imporre le sue come territorio di battaglia sempre vincente. Un controsapere inizialmente tecnico e specifico che poi però è stato capace di assumere forme di diffusione e di riflessione ben più ampie e travalicanti la tecnicità, quasi a diventare controcultura con una letteratura propria, con musica, arte, ingegnerie, forme di storiografia scritta ed orale, e chi più ne ha più ne metta.

Crediamo che alcune di queste note di metodo siano applicabili (ovviamente riformulate) rispetto a un mondo ben diverso come quello della formazione, in questo ci da un aiuto l’esperienza della Verdi 15 Occupata, che su un  territorio che fino a questo momento avevamo inteso come fortemente riformista quale quello del diritto allo studio è riuscita invece a farsi (in piccolo) incompatibilità sistematica, comunità in lotta, ribaltamento stesso e riappropriazione del concetto di ‘diritto allo studio’ e meccanismo ricompositivo di soggetti dei più diversi e disparati. Ovviamente non può reggere il paragone dell’esperienza della Verdi con la lotta No Tav, ma sicuramente è un esperimento che per molti caratteri assume quelle peculiarità di distruzione dell’ideologia dominante (anche di quelle minoritarie e ghettizzanti), del contropotere reale, e della riappropriazione diretta di territori, spazi, tempi e della piacevolezza di un vivere collettivo.

In sostanza essere studenti, essere giovani dentro il movimento No Tav per noi vuol dire non solo portarne la bandiera e partecipare alle iniziative, ma proporre il metodo che questo movimento ci insegna in ogni contesto, universitario e non, metropolitano e valligiano, dove le contraddizioni del sistema vigente dominano. L’abbiamo spesso detto: il movimento No Tav può vincere solo se mille Val Susa nasceranno in tutt’Italia, sui terreni materiali quanto su quelli dell’immateriale e dei saperi, e l’Italia che si muove, che lotta, che vuole il cambiamento può vincere solo se la Val Susa vince.

A sarà düra, rimbocchiamoci le maniche!

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