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Verso la seconda sconfitta

Il dado è tratto. Dalle dichiarazioni sulla trattativa della riforma del Lavoro, emerge chiaramente che ormai i giochi sono fatti. Il Governo con l’aiuto di Bersani è riuscito a mettere sotto pressione un sindacato (la CGIL), che non ha alcuna volontà di mettere i bastoni fra le ruote. E che punta a portare a casa la bandiera dell’articolo 18. Non importa se depotenziato o reso inutile, ma l’importante è segnare il gol della bandiera. Per il resto la linea della riforma è quella di un governo ultra liberista che continua a curare il malato con le stesse cause della sua malattia.

Nei due documenti delle proposte di riforma del mercato del lavoro si legge che l’obiettivo è quello di contrastare il fenomeno della precarizzazione del lavoro. E che per raggiungerlo si seguono tre linee d’intervento: sulla flessibilità in entrata (contratti di lavoro); sulla flessibilità in uscita (art. 18); sugli ammortizzatori sociali.

Nel testo si legge, appunto, la parola flessibilità, ma che al netto della propaganda si traduce nel suo vero significato: precarietà. E nella riforma infatti no si vedono estensioni di tutele ai lavoratori precari.

Sulla flessibilità (precarietà) in entrata non viene previsto alcun taglio alle vigenti tipologie contrattuali, ma l’introduzione di disincentivi al loro utilizzo. Proposte che nella maggior parte dei casi sono state formulate nel XVI Congresso della CGIL («riunificare il mercato del lavoro», 2010). E che se pur usate nella trattativa come “merce di scambio” non sembrano in realtà dispiacere alla ministra Fornero, per cui il buon senso politico poteva dire alla CGIL di alzare ancora un po’ l’asticella della trattativa.

Sugli ammortizzatori sociali. I co.co.pro., i precari con la P maiuscola, restano a bocca asciutta. Non c’è alcuna tutela per i collaboratori a progetto, anzi c’è l’abrogazione dell’unica provvidenza di cui disponevano. La riforma prevede, infatti, che siano eliminate: l’indennità sulla mobilità, gli incentivi per iscritti nelle liste di mobilità, la disoccupazione nei casi di sospensione,  la disoccupazione per apprendisti e una tantum per co.co.co./co.co.pro.

Sulla riforma dei licenziamenti. La tesi più accreditata sembrerebbe quella del modello tedesco. In cui il licenziamento diventerebbe possibile per motivi disciplinari e per motivi economici. Con la possibilità per il lavoratore nel primo caso, di poterlo impugnare davanti ad un giudice.

Queste sono le linee su cui è indirizzato l’accordo e stranamente per una trattativa così importante, e per una sconfitta così epocale (del lavoro) sono tutti contenti. Probabilmente perchè nello scacchiere chi non ha voce è proprio il lavoro vivo. Considerare infatti, la rappresentanza dei sindacati confederali espressione del mondo del lavoro, è impresa che ritiene ormai al campo della fantasia.

I motivi sono anche facili da spiegare. Uno fra tutti, è che se la CGIL sul piano formale è considerato un sindacato, sul piano materiale si avvicina molto di più al modello d’impresa. Un’impresa sui generi, che ha il compito di governare e gestire i flussi economici relativi alla burocrazia lavorativa e alla formazione. Tanto che ormai la triade sindacale è definita “L’altra casta”. CGIL, CISL, UIL possono essere analizzate come l’ottava azienda italiana, che gestiscono dei veri e propri salvadenai che sono i Caf (centri di assistenza fiscale) a cui ci si rivolge per le dichiarazioni dei redditi.

Ma la domanda che in molti si pongono alla vigilia della seconda grande sconfitta, dopo quella sulle pensioni, è quali saranno le ripercussioni interne al sindacato. Ieri un primo termometro della situazione lo abbiamo visto con lo strappo deciso della maggioranza Cgil, che ha convocato una riunione dei segretari nazionali di categoria e della camere del lavoro regionali per decidere cosa fare nella trattativa, escludendo, contrariamente alla prassi di sempre, la minoranza de “la Cgil che vogliamo”. Questo passaggio giustificato come semplice incontro conoscitivo e non decisionale, pone un problema evidente sullo stato della democrazia interna del principale sindacato di lavoratori.

All’attuale non resta che seguire gli sviluppi di questa trattativa di cui conosciamo bene i binari in cui si muove, consapevoli del fatto che il piano del conflitto capitale lavoro e già slittato su altri punti. 

 

Bada Nasciufo

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