12 marzo: i piccoli e i grandi assenti
D’altro canto però questa accozzaglia di giustizialisti, perbenisti, benpensati et similia puntava su questa data anche in un altro senso: dopo il lungo ciclo di lotte che ha attraversato questo autunno l’obbiettivo era quello di intercettare gli studenti in lotta e metterli sul piatto di una autorappresentazione del centro-sinistra (anche meno sinistra vista la presenza a Roma nella piazza di Granata di Fli) dentro la prospettiva di uno scivolone del Caimano. Questo tentativo ha però dovuto fare i conti con la rottura che si è consumata il 14 dicembre tra la sfera istituzionale in toto e il movimento. Ma non solo.
Partiamo però dal racconto della giornata sui territori che è stata marcata da una sostanziale assenza dei giovani nelle piazze istituzionali. Gli studenti medi nelle città in cui sono scesi si sono fortemente distinti dalle iniziative lanciate dal “partito di Repubblica”, sottolineando la differenza di parole d’ordine e di obbiettivi, tanto negli slogan quanto nelle pratiche, in alcune città addirittura il soggetto studentesco è stato completamente assente.
A Roma il corteo degli studenti è partito dall’università (a differenza della piazza istituzionale che si è trovata in Piazza della Repubblica) ed ha tentato più volte di aggirare il blocco di un centro superblindato per raggiungere gli obbiettivi sensibili della città. Non riuscendo in questo tentativo il corteo si è diretto in Piazza del Popolo dove già iniziavano gli interventi dal palco del “C-Day” e dopo alcuni momenti di attrito con il servizio d’ordine della manifestazione ha effettuato una rumorosa contestazione (in particolare agli interventi di Granata e Fioroni). Da qui ha proseguito bloccando il Lungo Tevere ed elusi i tentativi della polizia di fermarlo si è diretto compatto verso il Vaticano, quindi dopo aver lungamente bloccato il centro cittadino il corteo è arrivato al Circo Massimo e si è sciolto.
A Torino l’iniziativa che ha luogo in piazza Castello conta a mal appena ottocento persone con un’età media molto avanzata (molti capelli bianchi, moltissimi capelli grigi) e un’assenza totale di giovani. Piazza perlopiù composta da società civile e rottami di partito e sindacato. Gli studenti medi si contano sulle dita delle mani. I collettivi autorganizzati hanno deciso di non scendere in piazza e persino i sindacatini studenteschi hanno bypassato questa scadenza nella loro pressoché inconsistenza.
A Bologna il corteo vede una buona partecipazione, molti sono rappresentanti del PD e partitini vari in piazza, ma si nota la totale assenza di studenti delle scuole superiori ed universitari (strana situazione per un’iniziativa puntata nella peculiarità bolognese totalmente sulla formazione). Anche qui un’età media molto alta.
Brescia: presidio di 300 persone di età over40! Modena, Palermo, Pisa, Catanzaro, Milano, la solfa è la stessa.
Gli studenti non ci sono e se ci sono ribaltano completamente il senso della giornata e lo caratterizzano in modo conflittuale e autorganizzato. Come mai quindi questa manovra, ben riuscita con il 13 febbraio è miseramente fallita?
Innanzitutto bisogna rilevare la differenza di pubblico a cui erano rivolte le due scadenze. Nella manifestazione “Se non ora quando?” si tentava di indirizzare un dissenso ormai radicato ed acuito dalla crisi verso lo stato di cose e rimpolpato dagli scandali sessuali dentro questa fetta di opposizione istituzionale al Cavaliere. Le parole d’ordine fluivano sulla linea dell’indignazione popolare verso le gesta del Presidente del Consiglio e solleticavano (in maniera strumentale, emulsionata e raddolcita) il paragone tra questa mobilitazione e le cacciate dei raiss dei paesi arabi. Tutto questo dando una figura della donna in una dinamica perbenista ed ipocrita.
In questa occasione invece il soggetto a cui è rivolta la proposta è quello dei giovani e degli studenti in uno strano (ma non casuale) accostamento tra costituzione e formazione.
Proprio qui la manovra fallisce e si scontra con il dato dei fatti. Gli studenti sono ormai un soggetto complesso e compatto. In questi tre anni di lotta qualsiasi riferimento ideologico e d’opinione alla difesa della scuola pubblica così com’era, alla lettura della formazione e dell’istruzione come una cosa positiva a prescindere è sparito. Ormai tutti gli studenti medi hanno ben capito che la scuola cambia di pari passo al dichiararsi di nuove esigenze del mercato, ormai tutti gli studenti hanno compreso come la riforma Gelmini sia insieme una parte di un tentativo più complesso di exit strategy dalla crisi e insieme di riadeguamento alle richieste di una forza lavoro malleabile, competente, poco conflittuale, incapace di rilevare criticità e soprattutto precaria. E in questa prospettiva il soggetto studentesco, ormai completamente sociale non vuole difendere la scuola, ma andare oltre. Il 14 dicembre ancora una volta ne è stato la dimostrazione.
A questo c’è da aggiungere che con la costituzione non si mangia. E che un livello così fuori dalla quotidianità della gente non è compreso in un momento in cui iniziano a farsi sentire bisogni e disagi reali.
Per questi motivi il grande “successo” rivendicato sulle pagine di oggi da La Repubblica puzza di finzione. La realtà dei fatti dichiara un movimento studentesco totalmente assente dalle piazze del “C-Day” ed una composizione veramente poco interessante.
Adesso sta a noi nella prospettiva dello sciopero generale del sei maggio saper sciogliere i nodi di una ricomposizione basata su ben altre parole d’ordine ed esigenze, parole d’ordine ed esigenze reali ed articolate sui territori.
Buona lotta a tutti!
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