Cagliari. La coperta corta delle borse di studio
Il ricorso al T.A.R. e la costruzione delle lotte contro l’impoverimento.
La questione sollevata dal ricorso al T.A.R. Sardegna, promosso dalla lista maggioritaria della rappresentanza studentesca, contro il mancato rispetto da parte dell’ERSU degli importi minimi delle borse di studio, scopre le falle di sistema degli strumenti di garanzia sociale dentro la crisi. Il corto circuito innescato dal ricorso e dalla conseguente risposta dell’ente per il diritto allo studio ci parla del carattere di una nuova governamentalità della cosa pubblica, fatta di austerità e amministrazione della povertà come dispositivi di controllo e segmentazione sociale. Ricostruiamo la vicenda per come si è sviluppata fino ad ora.
Gli importi minimi delle borse di studio fissati dal Decreto Ministeriale del 22 maggio 2012 non sono rispettati dall’ERSU. Si legge in una nota del 5 dicembre 2012 di Unica 2.0: “Tra l’importo previsto nel “Bando di concorso per l’attribuzione di borse di studio e di posti alloggio a.a. 2012/2013″ dell’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Cagliari, e quello stabilito dal decreto ministeriale, vi è una elevatissima differenza di 1.285,40 euro, superiore al 35% dell’importo della borsa. Per le borse di studio degli studenti PENDOLARI vi è invece una differenza di 658,27 euro ed infine per quelle degli studenti IN SEDE vi è una differenza pari a 450,95 euro.”
Tutto vero, certo. Ma cosa succede se si ricorre al T.A.R.?
Lo spiega l’ERSU in un avviso apparso sul sito dell’ente il 19 dicembre: “Si precisa che i pagamenti sono disposti in pendenza del ricorso giurisdizionale, presentato al TAR Sardegna da alcuni beneficiari, per l’annullamento della graduatoria di assegnazione delle borse di studio e del presupposto bando di concorso, nella parte in cui sono stati previsti gli importi unitari delle borse di studio (art.12).
Qualora il ricorso venisse accolto, e dovesse essere deciso di incrementare gli importi minimi delle borse di studio, l’Ente dovrà riformulare le graduatorie con conseguente diminuzione del numero dei beneficiari.
Pertanto, in caso di decadenza dalla titolarità della borsa di studio, l’Ente si riserva di chiedere la restituzione delle somme ai beneficiari.”
L’ERSU si deresponsabilizza completamente. Risponde che lo stanziamento di fondi per l’anno in corso non può essere rivisto perché lo stanziamento è competenza della Regione Sardegna. L’ERSU inizia allora a recapitare – con non molto criterio – avvisi via e-mail e tramite raccomandata un po’ a tutti i beneficiari, minacciando con questi di imporre la restituzione delle borse. L’ente per il diritto allo studio sceglie comunque la via dell’intimidazione per testimoniare del proprio svuotamento e della propria impotenza, ponendo sotto ricatto e gettando nell’incertezza centinaia di studenti e studentesse che molti di quei soldi già li hanno spesi o contano di spenderli per pagare gli affitti, rinnovare gli abbonamenti ai trasporti pubblici, comprare i testi, mantenersi in città.
Il ricorso ha fatto emergere un fatto: le borse di studio sono come una coperta troppo corta, in troppi rimangono scoperti (quest’anno il numero degli idonei non beneficiari raggiunge il 42% del totale degli aventi diritto) e se si pretende una coperta migliore la maglia sarà più fitta ma la coperta più corta, scoprendo sempre più persone.
La verità è che in questo frangente assistiamo con chiarezza a un conflitto latente nella crisi, il conflitto tra ordine del comando politico-finanziario fatto di taglio alla spesa pubblica, vecchi istituti del welfare e legge che regolava questi istituti.
La retorica della rappresentanza studentesca, o comunque di qualsiasi soggetto non antagonista al sistema in ristrutturazione, per quanto critico rispetto a questo, si serve della figura del diritto: bisogna “difendere i diritti degli studenti”, dicono. Eppure succede che appellarsi alla legge, ricorrere al T.A.R., diventa non più la possibilità di ristabilire un diritto secondo la norma ma, anzi, la certezza di svelare il carattere del comando finanziario radicalizzandone la violenza e questo poiché il diritto è espressione di una legge ineffettuale, norma di rapporti non più esistenti che produssero uno stato sociale non più soddisfacibile perché è venuto meno il patto che lo fondava.
Davanti a questo, politicamente, non conta tanto “assumersi responsabilità morali”, quanto piuttosto è importante assumere integralmente il piano imposto dal nuovo comando, dotarsi di nuovi strumenti. Infatti il corto circuito innescato dal ricorso mostra come l’insufficienza degli attuali istituti welfaristici non risieda nella loro cattiva gestione.
Il sottofinanziamento strutturale ci parla di un preciso indirizzo il quale però, proprio perché ristruttura il significato e la natura di certi istituti, non può essere aggredito e combattuto politicamente per il verso dell’appello alla legge che normava uno stato di cose ormai sospeso dalla materialità dei rapporti esistenti. E allora è inutile appellarsi ai diritti impossibili sanciti da leggi ineffettuali, a meno di non misurarsi con le contraddizioni tra piano di diritto e piano di fatto delle cose. Raccogliere la sfida, rifiutare questi rapporti sostanziati dall’ingiunzione al sacrificio, vuol dire necessariamente passare per la costruzione di nuove istituzioni, il che direttamente significa costruirci le nostre garanzie, ovvero produrre relazioni capaci innanzitutto di resistere a chi ci impone di restituire, non ciò che è un nostro diritto, ma ciò che ci serve.
Fronteggiare sullo stesso piano il comando dell’austerità finanziaria sulle nostre vite significa allora innanzitutto fronteggiarlo opponendogli un contropotere fatto di relazioni nuove che ponga al centro la volontà di riappropriarsi della ricchezza sociale passando per il rifiuto di tutto il sistema di produzione dell’impoverimento, individuando dunque Regione e ERSU come controparti immediate.
Il 9 di gennaio si terrà la prima udienza al T.A.R. in camera di consiglio. Costruiamo i momenti di incontro per organizzare le forme della nostra opposizione, costruiamo un’assemblea dopo l’udienza. Non una borsa indietro, costruiamoci le nostre garanzie!
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