Intervista a Juventud sin futuro: “Le lotte che verranno dall’università”
Iniziamo con una presentazione di quello che è JSF, a livello di genealogia ma anche di obiettivi che si pone all’interno del mondo della formazione in lotta.
JSF è una rete che nasce a Madrid nel 2011, in un contesto davvero terribile dove non si vedeva alcuna dimensione organizzata di contestazione e di lotta alle politiche di austerity condotte dal PSOE di Zapatero. Diverse esperienze di movimento decidono allora di aprire un percorso comune di lotte capaci di connettere la tematica dell’università con quella della precarietà. Gli studenti oggi sono sia studenti nel senso classico del termine, sia precari in riferimento al tema del lavoro: è su questa doppia soggettività che volevamo lavorare. Il 7 aprile 2011 ci fu una manifestazione a Madrid che nell’appello di convocazione recitava: “Senza casa, senza lavoro, senza sanità, senza pensione..senza paura!” E’ stata un po’ una prova generale di quello che sarebbe stato poi il 15M. Da lì in poi come JSF abbiamo cercato di svolgere un lavoro al fianco del movimento, producendo slogan, convocando assemblee e cortei, ma evitando ogni dinamica di stile partitica, stando sempre affianco al movimento, provando a svolgere un ruolo di agitazione e di proposta politica ma sempre anche stando attenti ad ascoltare quello che si muoveva in una dimensione ormai davvero massificata di partecipazione.
Abbiamo già visto facendo una sorta di mini-inchiesta alla Complutense come il peso dei tagli di Rajoy su chi vive la quotidianità della vita universitaria si faccia sentire sempre di più. Un processo comune sicuramente con l’Italia; dentro la nostra università si vive una situazione nella quale il ritiro del pubblico, la morte del diritto allo studio apre spazi di conflitto possibili sui quali costruire consenso e allargare il raggio delle mobilitazioni. Si può parlare di una tendenza simile in Spagna? Avete problematizzato questo nodo?
Sin dall’elezione di Rajoy del 20 novembre scorso, che di fatto è stato un golpe poiché ha visto salire al potere le istituzioni finanziarie internazionali della Troika, si capiva l’aria che tirava. Il nuovo ministro della Formazione Wert è una delle figure più preoccupanti dell’esecutivo, non solo riguardo alla formazione ma anche rispetto ad altre questioni, ad esempio ha effettuato dichiarazioni in cui propugnava la “spagnolizzazione” necessaria dei catalani..c’è stata un’accelerazione ulteriore rispetto al governo Zapatero, c’è stato un aumento medio del 66% delle tasse, i processi di privatizzazione e svendita dell’università sono progrediti in maniera molto più spedita. Tagliano i fondi per le università ed ovviamente anche i fondi del cosiddetto diritto allo studio: la situazione studentesca è sempre più difficile. E’ una sorta di shock economy, che fa sentire i suoi effetti soprattutto in questa fase in cui chi ha partecipato al 15M si trova di fronte il problema dell’efficacia delle sue battaglie. Abbiamo avuto nell’ultimo anno decine e decine di cortei, ma molte leggi non sono cambiate, rischiando di sfiduciare un po’ chi è sceso in piazza. C’è bisogno forse di approcciare la questione in maniera maggiormente materiale, ad esempio vogliamo aprire processi che vadano ad incidere ad esempio sulla questione delle tasse universitarie, ma anche ragionare su come creare “istituzioni del comune” nell’università, organizzare corsi di saperi “eretici” mentre molti corsi non immediatamente profittevoli per le aziende vengono tagliati. Vogliamo andare oltre l’università pubblica, crearne dal basso una comune. A livello specificatamente di lotta universitaria ci sono state mobilitazioni negli atenei ma ancora ci sono molti passi avanti da fare a livello di coordinamento nazionale, ad esempio nel costruire date comuni di agitazione del mondo della formazione a partire dalle conseguenze delle politiche di austerity sui centri del sapere.
Uno degli slogan più usati dal movimento del 15M è sicuramente “No nos representan!”, ovvero allo stesso tempo l’assunzione di un discorso destituente riguardo al sistema e alla classe politica attuale ma anche costituente, indirizzato alla costruzione di nuove forme di democrazia partecipativa. In relazione al mondo della conoscenza, state ragionando sulla trasposizione di questo ragionamento anche all’interno degli atenei e dei centri di potere che li amministrano, si può parlare di un processo di approfondimento della crisi delle forme tradizionali di rappresentanza anche dentro alle istituzioni che governano i processi di trasmissione dei saperi?
Si, ci stiamo ragionando a partire dalla questione della doppia soggettività di cui parlavo prima, dello studente dentro l’università e dello studente fuori dall’università. Molti studenti hanno partecipato agli appuntamenti seguiti al 15M nonostante non avessero precedenti esperienze politiche di movimento. “Non ci rappresenta nessuno!” ha una trasposizione un po’ diversa all’interno dell’università, perchè di fatto è da anni che si conosce il ruolo dei sindacati corrotti e burocratici nell’amministrazione degli atenei in combutta con le istituzioni amministrative. Inoltre tutti ormai sono a conoscenza del ruolo di banche ed aziende come Banco Santander o El Corte Ingles nei processi di privatizzazione e gestione profittevole dell’università. Esiste una forte ostilità verso l’istituzione universitaria, verso i Rettori e i burocrati dell’amministrazione, in questo senso sì, si può parlare di una trasposizione della delegittimazione dei rappresentanti tradizionali anche nelle università.
Si è sviluppato inoltre anche il dibattito su destituente/costituente. Per noi destituente equivale a praticare il “Que se vayan todos!” come fecero in Argentina nel 2001. Costituente invece è un termine più complesso, come ovvio, da definire: sicuramente si parte dal concetto di accumulazione di contropotere per limitare l’attività del governo; questa dicotomia è da analizzare, discutere e poi verificare nelle lotte nelle facoltà contro l’austerity e questa classe politica corrotta. Dobbiamo soprattutto cercare di evitare uno schiacciamento dell’attuale fase espansiva del movimento sul tema della repressione, evitare di far riassumere il conflitto in una dimensione poliziesca. Vanno sviluppate nuove idee riguardo alla rappresentanza, capire come collocare le esperienze di Syriza e di alcune situazioni locali qui in Spagna, capire come attaccare questo governo di Rajoy partendo dai territori, dal locale. Bisogna agire sulle dinamiche di riproduzione dell’attraversamento dei quartieri, delle comunità; evitare di marginalizzarsi, partendo dal fatto che se il 55% degli spagnoli non lavora evidentemente non possiamo fare finta di niente, non possiamo non tematizzare questo problema.
Nei diversi dibattiti riguardo al mondo della formazione, si parla molto del tema della riappropriazione (sia riguardo alle strade, le piazze così come dei saperi) così come dello spazio di conflitto transnazionale che si sta aprendo e che vedrà anche nella data di sciopero generale congiunto dei PIGS del 14N un importante momento di verifica. Possono essere queste alcune delle parole d’ordine su cui impostare un’agenda comune che parta dai conflitti reali che si sviluppano sui territori e non su astratte convocazioni ormai inadeguate alla fase?
Per noi egemonia vuol dire creare contropotere nei quartieri contro il governo e le istituzioni. Agire contro gli sgomberi dovuti all’insolvenza ad esempio, creare reti di mutualità nei quartieri, creare comunità sono per noi le prime parole d’ordine. Così come è importante creare un senso di comunità tra la gioventù dei nostri diversi paesi, di Italia,Grecia,Spagna,Portogallo..sapere che ci troviamo ad affrontare la stessa fase, a lottare contro l’austerity, contro un futuro di impoverimento. Capire come essere di nuovo creativi, come portare sempre più gente nelle piazze e nei movimenti di opposizione sociale, come connettere tutte le nostre esperienze su base transnazionale ma sempre rimanendo ancorati a quello che si muove nei nostri territori. Questo è quello che volevamo portare in questo appuntamento a Madrid, questo è lo spirito con cui ci approcciamo alle lotte che verranno dentro e oltre l’università.
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