Napoli – Verso la fine di questo mondo, que se vayan todos!
Il 30 novembre, nell’aula Matteo Ripa dell’Università Orientale di Napoli si è costituito il primo vero partecipato spazio di discussione cittadina sulle mobilitazioni di questo autunno. Punto di partenza della discussione tra studenti e precari è stato quell’essere tanto choosy quanto incazzati che ci ha portati in piazza, nelle scorse settimane, in tutta Italia e in buona parte del Mediterraneo. Orizzonte immediato: la necessità di rilanciare il movimento contro l’austerity e la precarietà, per riprendere la parola su spazi sociali e di vita, reddito, felicità. Insomma, riprendersi tutto, prima che sia troppo tardi!
Se il racconto entusiastico e l’analisi delle settimane che ci hanno preceduto ha trovato forte condivisione, più complessa e faticosa è stata la discussione sulle prospettive di avanzamento: le forme di rilancio del conflitto sociale, i momenti di ricomposizione delle moltitudini precarie, la sperimentazione di pratiche di piazza e di “sciopero” adeguate alle sfide che la crisi ci impone, nonché i meccanismi di ingabbiamento che essa ci pone davanti.
In molte piazze del Mediterraneo si è espresso un deciso e determinato rifiuto delle politiche d’austerità imposte dalla Troika e ben applicate dai “governi tecnici” nei singoli paesi, in ossequio al pensiero unico che vuole la gestione neoliberale come l’unica forma di governo possibile, e che in Italia, fin qui, ha generato il record di disoccupazione, finora mai così alto: 2 milioni e 800 mila, il cui insieme non conta i lavoratori a nero, i sottopagati, gli invisibi e i poveri. L’ostentato consenso a queste politiche è in realtà una foglia di fico che, alla prima folata di protesta, vola via mettendo a nudo la cruda verità: i membri del governo italiano, da Monti a Fornero, da Cancellieri a Profumo a Napolitano, in tutte le città in cui abbiano provato a costruire vertici pubblici sono stati assediati, contestati.
Il motore e cuore pulsante delle proteste sono gli studenti medi. E non è un caso o episodio stagionale. Beninteso: una generazione intera è oggi aggredita nel presente e nel futuro, destinata ad una vita precaria, educata nella cultura del debito e della colpa, secondo la filosofia del sacrificio, della schiavitù e dell’ignoranza, per lasciar spazio all’ 1% della Terra che continua ad arricchirsi e ad alimentare i meccanismi di crisi sociale, economica e culturale, così come vuole il capitalismo per proseguire e riprodursi, mercificando il pubblico secondo modelli privatistici, privatizzando i saperi, la sanità, il welfare. Siamo di fronte a una nuova accumulazione originaria, oggi operata sulle nostre vite.
La radicalità delle proteste, il consenso sociale che attorno ad esse si è immediatamente diffuso e la fredda violenza dello Stato, tratteggiano un quadro ormai chiaro a tutti: non si può andare avanti a suon di tagli e sacrifici, senza una nuova prospettiva sociale che rimetta al centro la vita degli individui in quanto tali, che sottragga la cooperazione sociale all’esproprio appunto di quell’accumulazione originaria, il cui scopo è la privatizzazione dell’esistente. Fuori della retorica del lavoro necessario (e precario), della sfiga e della schizzinosità, occorre ripensare l’ordine economico e le nostre vite a partire da nuove forme di welfare universali, incentrate su servizi, trasporti, cultura, saperi ed un reddito individuale e sganciato dal lavoro.
Che fare? Come andare avanti?
Come riprendere la scena barbaramente offuscata dalla violenza delle questure prima e dalla finzione delle primarie dopo?
Il dibattito fatica a trovare risposte chiare. Eppure una cosa è certa: bisogna osare di più.
Costruire nuovi spazi di discussione, ossigenare e dare gambe e forza alle riappropriazioni sul piano dei trasporti, della cultura, dei saperi e dell’abitare. Cominciare a costruire dal basso una rete di relazioni sociali e metropolitine che ripongano al centro la cooperazione produttiva dell’uomo per l’uomo, che offrano possibilità di emancipazione alle nostre attività ad alto contenuto relazionale, cognitivo, affettivo, che costruiscano passo dopo passo quel welfare che immaginiamo nel nuovo mondo possibile.
Martedi 4 h. 15:30 nell’aula Lp – Lettere Precarie, alla Federico II, si terrà un’iniziativa sull’accorpamento dei dipartimenti di filosofia, storia, psicologia, lingue, lettere classiche e moderne in unico megadipartimento, che dovrà raccogliere e spartire quelle poche briciole per la didattica e la ricerca all’università. Siamo ormai davanti alle prime concrete trasformazioni della materialità delle istituzioni accademiche dopo la riforma Gelmini: informiamoci, prendiamo parola!
Venerdi 7 alle 16,30 a Palazzo Giusso ci siamo cosi riconvocati in una nuova Assemblea di studenti e precari su welfare, trasporti e diritto all’abitare: la precarietà ha bisogno di una risposta immediata..dal basso!
D’altro canto tornare in piazza, riprendere il filo europeo e mediterraneo di rifiuto dell’austerity, esprimere quel sentimento tanto vivo quanto silenziato di contrarietà al governo Monti è un passo che le nostre gambe non possono esitare a fare. La pax sociale che le primarie sono riuscite ad esprimere in pochi giorni ci spiegano bene quello che ci attende quando il governo tecnico di oggi sarà sostiuito da un nuovo governo tecnico mascherato da elezioni democratiche.
Per questo saremo con gli studenti e i precari di Caserta il 3 dicembre a dare un nuovo benvenuto a Profumo e attraverseremo poi la giornata del 6 dicembre in cui la Fiom scioperarà in tutta Italia. La strada è lunga e soprattutto non è dritta, ma una cosa è certa, non possiamo aver paura di camminare.
Dinnanzi a noi si impone, ironia della sorte, quel 21 dicembre che sembra prendersi gioco di tutti noi che oggi sappiamo non aver più niente da perdere…
E cosi riprendiamo a sognare guardandola con ansia, frementi e con una sola certezza.. Non saranno i Maya a distruggere questo mondo.. la partita è tutta nelle nostre mani e noi vogliamo giocare!
… Que se vayan todos è l’unico grido di battaglia possibile!
Aula FLex – Napoli
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