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Sull’università e le lotte a venire

Il Collettivo Universitario Autonomo ricorda inoltre l’appuntamento, pensato anche come primo momento di lancio della discussione assembleare del weekend, con l’incontro “Per un’università delle lotte, per le lotte in università!” che si terrà in via Zamboni 38 alle 20.30 di giovedì 11 ottobre. In occasione della serata, movimento NoTav, ricercatori, studenti, precari dell’arte e dei saperi discuteranno di come riprendere a tessere una connessione tra i focolai di lotta che si stanno sviluppando nel nostro paese e le prime avvisaglie di mobilitazione studentesca già emerse con la mobilitazione degli studenti medi di venerdì 5 ottobre.

Nell’occasione verrà anche presentato il nuovo numero della rivista Anomalia e lanciata la versione 2.0 del portale della zona universitaria antagonista bolognese Univ-aut.org, attualmente offline.

Buona lettura.

Collettivo Universitario Autonomo Bologna

 

1. Tendenze

Il percorso di dimissione strategica dell’università italiana è in atto ormai da tempo, da quando un centro sinistra non tanto diverso da quello attuale recepì tempestivamente le direttive europee del Bologna Process e andando oltre cominciò una profonda trasformazione e ristrutturazione dell’intero mondo della formazione: dall’aziendalizzazione della scuola, ai presidi manager, al ritorno di forme autoritarie di controllo e segmentazione come il 5 in condotta, al maestro unico, ai numeri chiusi nelle facoltà, fino ad arrivare ai tagli alla ricerca, ai servizi, al diritto allo studio e chi più ne ha più ne metta. Profonde trasformazioni portate a termine e esplose in tutta la loro arroganza nel percorso della riforma della ministra Gelmini, ma che originano appunto da una convergenza bipartisan delle maggiori forze politiche parlamentari che, come oggi sono schiacciate nell’appoggio al governo tecnico dei banchieri, allora facevano le prove generali appoggiando le nascenti logiche meritocratiche, che altro non sono che inclusione differenziale e dominio del privilegio.

 

Se è vero che i baroni delle università italiane sono, in media, tra i più pagati d’Europa c’è da chiedersi chi sta subendo sulla propria pelle i tagli indiscriminati e l’applicazione delle logiche meritocratiche. La risposta è molto semplice specie per chi dentro l’università si trova dall’altra parte della barricata: studenti, ricercatori, precari. Sono questi i soggetti che vedono il profilarsi nelle loro vite di tutta la violenza della dittatura del debito e dei dispositivi di valorizzazione e segmentazione del nuovo corso neoliberista nella crisi, che lungi dall’essere la medicina adeguata si afferma come motore di crescenti diseguaglianze e di affermazione del dominio del capitale in forme ancora più rapaci e distruttive.

 

2. Sul merito

La categoria di merito deve essere necessariamente criticata: lungi dall’essere un concetto neutro, viene altresì utilizzato come ariete per concretizzare una ri-emersione decisiva di meccanismi selettivi di classe sul piano economico e dell’accesso a beni e servizi, e non potrebbe essere altrimenti. Come sempre le scappatoie per aggirare i numeri chiusi del merito ci sono, ma sono alla portata delle tasche di pochi. D’altra parte sulla presunta neutralità dei saperi e delle ricette si gioca la legittimazione del cosiddetto “governo tecnico”; uno degli sforzi retorici più significativi per le elite teso a celare la materialità dei processi sociali. Questi sono invece sempre organizzati come rapporto dell’interazione tra le spinte antagonistiche della classe-parte e l’attacco del capitale. In questo scenario è necessario recuperare la capacità di porsi con una prospettiva di parte.

 

Dentro questi processi e dopo anni di fiera opposizione del mondo della formazione dentro, contro e oltre le università e le scuole (attaccando il piano dei rapporti metropolitani complessivi: vera arena di combattimento in cui è posizionata, non proprio all’angolo, la formazione) si sono sviluppati processi ricompositivi. Questi, acquistata radicalità nella lotta, stanno cercando di tracciare delle traiettorie di attacco nella fase post-gelmini -raffreddata dall’incertezza speranzosa profusa dal governo Monti che ancora esita a calare la mannaia in tutta la sua violenza- mentre le famiglie, aspettando i tempi delle vacche grasse che probabilmente mai arriveranno, raschiano i soldi dal salvadanaio.

 

3. Nuove forme di riappropriazione dentro e contro la crisi

La scommessa all’altezza della fase è che l’intero spettro della produzione, trasmissione e condivisione dei saperi, dell’arte e della cultura dentro e oltre l’università, nel mondo della cultura, nei teatri, nei luoghi dove sempre più spazi vengono lasciati languire dal processo di ristrutturazione della formazione, ma che ci parlano ugualmente di vite precarie, di bisogni e di desideri, diventi il campo d’azione in cui tracciare esperimenti di organizzazione e costruire laboratori di sperimentazione dentro il quadro della crisi.

 

Spazi di libertà che difficilmente vengono tollerati da una governance arrogante che, giustificando l’ingiustificabile (ammantandosi dei sacri valori della competitività), chiude, taglia, alimenta corruzione e speculazione, de-qualifica in senso mercantile pezzi di welfare e di servizi, luoghi di socialità e di scambio desertificando quella straordinaria possibilità di inventare il cambiamento che sono i luoghi di produzioni del sapere.

 

In questo senso la demarcazione tra amici e nemici, tra signori della crisi tecnica e fautori del rifiuto di questo stato di cose che vorrebbero farci credere immodificabile è sempre più netta.

 

In quasi un anno di governo tecnico il sedimento antagonista dentro il mondo della formazione si è posizionato, allargato, organizzato, messo in rete e ha sviluppato processi di mobilitazione che in molti territori ha portato alla costruzione di momenti di attacco contro il governo Monti e i suoi ministri fautori delle politiche della Troika.

 

4. Qualche parola su inchiesta, saperi, reddito

 

Allo stesso modo nei luoghi della produzione del sapere si praticano e si definiscono percorsi di autoformazione al conflitto che vanno all’attacco di un’università che nel quadro della crisi si dimostra sempre di più parte di quella riproduzione dei saperi di segno capitalista che deve essere sempre più messa a nudo dentro quei processi di produzione collettiva di un sapere altro e di uso antagonista.

 

 

Mettere in campo processi di inchiesta dentro le facoltà, ma anche sul terreno del rapporto biopolitico tra studenti e metropoli, tra saperi e precarietà, tra reddito e prospettive lavorative, tra debito e debito morale, tra diritto allo studio e welfare famigliare diventa un’urgenza che, nella ridefinizione dei dispositivi di governance del territorio, può rivelarsi uno strumento essenziale nel leggere le contraddizioni che emergono in questo piano per poter tracciare in maniera sperimentale traiettorie di movimento e obiettivi di lotta.

 

Una vera e propria conricerca che calandosi completamente dentro le soggettività precarie possa farci immaginare la tendenza di rottura che questi processi di crisi e attacco neoliberale stanno innescando.

 

La prassi costituente che i movimenti transnazionali stanno tentando di mettere in pratica a partire dalla riappropriazione di pezzi di welfare e servizi abbandonati dallo stato e dai suoi dispositivi di modellazione della società ci indica quantomeno una tendenza che, unita alla capacità di attaccare e individuare lucidamente nello stato-troika la controparte contro cui scagliarsi, si configura come una dinamica estensiva dei processi di lotta che si radicano nei territori fungendo come punti di accumulo di nuove energie antagonistiche, ma anche come prime vere e proprie risposte di classe alla crisi dentro un piano costituente di contropotere.

 

5. Percorsi di generalizzazione

La capacità del mondo della formazione di produrre momenti di lotta in cui fosse possibile riconoscere dei linguaggi comuni e della pratiche generalizzabili è un portato che deve essere rilanciato con forza. Dentro lo spazio politico delle lotte sulla e della formazione possono svilupparsi i prodromi di una ricomposizione delle lotte che non mancano sul piano nazionale ma che, se non ben per brevi tratti e in poche ben perimetrate circostanze, non sono ancora riuscite a saldarsi in un piano complessivo di attacco alla crisi e al governo.

 

Lo sforzo di produrre questa generalizzazione, e di continuare ad alludere ad un piano di ricomposizione transnazionale delle lotte e capace di confrontarsi con i livelli alti della sfida che la crisi globale ci sta imponendo, è decisivo per iniziare a sviluppare un processo di secessione sul piano politico e delle lotte tra chi governa e chi subisce la crisi.

 

I cortei degli studenti medi del 5 ottobre che hanno animato l’intero paese sono una prima base dalla quale poter rilanciare una reale prospettiva di opposizione sociale che connetta l’Europa delle lotte e parli direttamente alla condizione di crisi che attraversano i nostri territori.

 

Nel contesto dell’agire politico dentro e contro il mondo della formazione e nella quotidianità del nostro lavoro militante quella del 5 ottobre è sicuramente una indicazione importante che apre uno spazio di ragionamento sul quale vale la pena di spendersi e all’interno del quale sperimentare forme di agitazione.

 

Come discusso e ipotizzato quest’estate al campeggio universitario in Val Susa, con decine di altre realtà, la costruzione di una università delle lotte sta proprio dentro questa sfida, inedita e complessa, di indagare tra le pieghe di una crisi che morde e paralizza il corpo sociale, la scaturigine di processi sociali in movimento che possano scaldare questa stagione autunnale di governo tecnico con occhi, però, che sappiano guardare alle media-lunga durata dei processi in corso, ad una troika che difficilmente mollerà la presa sui governi europei, al piano transnazionale e, come sempre, alle lotte a venire…

 

C.U.A. Bologna

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