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“Sì si può, lo sciopero a Macri lo abbiamo fatto noi donne”

Il corteo è straripato in ogni senso: in quantità, diversità, parole d’ordine e provenienze. La nostra cronaca, scritta a tre mani, riflette su come ci ha fatto oggi sentire che noi donne occupiamo le strade per fermare questo mondo orribile.

Una

Appeso al petto, su un cartoncino e con un pennarello, Lei ha scritto: “Qui stanno le ovaie che la CGT non ha”; un’altra Lei ha scelto un cartone per gridare “Qui è la fica di tua sorella e della puttana che ti ha partorito chiedendo rispetto”; un’altra Lei chiamata Vera è arrivata con le sue compagne paraguaiane dal quartiere di Lugano con una stampa: “Che finisca il maschilismo” [“Que se acave (acabe) el machismo”], così con l’errore di ortografia scritto di proprio pugno da questa sarta che ha adornato la frase con arabeschi tracciati con dei pastelli; altre Lei del Centro di Salute di Zavaleta portano il grido “Basta ucciderci” dipinto con un pennarello verde; la Lei del Suteba La Matanza chiamata Maruca ha scelto di appendersi la foto di Milagro Sala; Mavi del Movimento La Dignità, il fazzoletto verde della Campagna Nazionale per l’Aborto Legale; Rachele del Mumalá, un globo terraqueo sulla testa, Mava del Solano, l’avvertimento “Non appariamo morte, ci assassinano”; Mabel di Quilmes, “Ti partoriamo, ti fermiamo e ti diciamo basta”; quelle dell’UOM di Quilmes, “Abbassa l’età pensionistica”; la Madre Giovane con il suo bebè di pochi mesi, il chiarimento “Io non sono nata dalle tue costole, tu sei nato dal mio utero”; la Madre di Verónica, la foto di sua figlia assassinata il 30 giugno 2015 e il messaggio “Hanno spento la tua vita, ma non hanno mai spento la tua luce”; la Ragazza Vestita di Nero, un cartoncino verde mela che proclama “Ho perso la paura il giorno in cui ti ho visto picchiare una mia amica”; la Ragazza in Maglietta Bianca una lezione: “Gelosia non è amore, Molestie in strada non sono complimenti e Femminicidio non è un crimine passionale”; la Signora con i Capelli Bianchi ha scritto sul suo ventaglio “Stanca di lottare per questa stessa cosa dai 60”; le Madri Per Un Futuro Senza Droghe di Pilar vestono delle magliette arancioni, quelle dell’UOM di La Matanza, magliette come quelle della selezione di calcio argentina e Le Riciclatrici di Cartone di Chacarita, tute azzurre; la Nena in Maglietta Rosa sostiene “Sul mio corpo e il mio abbigliamento risparmiati il commento” e Le Veterane in Grembiule Bianco di Cetera del partito Esteban Echeverría reclamano “Licenza per violenza di genere per le lavoratrici dell’educazione”; quelle del FOB di Lugano in colore violetto accusano “Lo stato è complice dei femminicidi”; e la ragazza in Shorts di Jeans si è dipinta con un pennarello rosso su una gamba “Non Una” e sull’altra “Di Meno”.

Di più?

Le Loro emigranti si sono vestite con gli abiti tipici delle loro provenienze, le Ballerine, di nero, altre di bianco e altre ancora di fucsia; dietro ci sono Quelle Che Battevano sui Tamburi e altre ancora, Quelle Che Suonavano i Sax; là Quelle Che Dipingevano con Stencil l’Asfalto e più in là Quelle Che Intervenivano sui Cartelli Pubblicitari; in questo angolo il Gruppo Fauno rappresenta situazioni di violenza maschilista; in un altro, scuotono le anche le Altas Guachas e là un gruppo di artiste costruisce una lunghissima bandiera con le sagome delle donne vittime di femminicidi.

Di più?

La Plaza de Mayo era già strapiena e non erano ancora entrati i quattordici isolati con le colonne coordinate dal collettivo Non Una Di Meno, che cercava di aprirsi il passo tra questa moltitudine di “sciolte” e anche di “organizzate”. “Perché devo correre di lato affinché passino le colonne se stiamo tutte sfilando per la stessa cosa?”, era la frase contro cui si scontravano le donne che cercavano di organizzare la moltitudine, di bloccare il passaggio del traffico e di controllare la “sicurezza” del corteo.

Impossibile?

No.
Difficile.
Ci sono riuscite con pazienza e fino alla fine della manifestazione.

Dopo c’è stato il classico show per dare da mangiare alla tv, che in ogni Incontro Nazionale della Donna si è trasformato in un classico pogo: fondamentalisti cattolici vs. giovani furiose. E la polizia e la TN (canale di notizie, ndt) che rimestavano questo brodo.

Già a questa altezza era diventato chiaro che questa diversa, ampissima e profonda diversità aveva in questo giorno una sola protesta e un chiaro destinatario: il differimento dello sciopero nazionale che la CGT (Confederazione Generale del Lavoro) evita di convocare.

Così in ciascun angolo in cui la colonna centrale si è fermata e, specialmente, entrando nella Plaza de Mayo, si è ascoltato l’hit di questo corteo:

“Sì si può

Lo Sciopero a Macri

Glielo facciamo noi donne”.

Due

Per la prima volta da molto tempo, in questi giorni si è ascoltata un’analisi politica utilizzando la parola “straripamento”. È stato in relazione al corteo di ieri convocato dalla CGT. Noi donne già sappiamo questo: è una delle qualità più belle del nostro movimento e anche quella che crea più tensione.

Il movimento delle donne straripa su tutto e su tutti.

Oggi si è visto una volta di più.

Non è stata sufficiente l’ora che era stata proposta per lo sciopero. In tutti i luoghi di lavoro è stato esteso l’orario e sono state prese misure molto più creative di quelle ascoltate nell’assemblea del Collettivo Non Una di Meno. Nei Tribunali, per esempio, le donne sono entrate con fischietti, raganelle, lanciando foglietti e volantini al grido di “Finirà la giustizia patriarcale”.

Un grido fermo e allegro che è stato replicato in scuole, metro, banche e strade.

Non ci sono stati limiti.

Noi li abbiamo.

Non sono stati sufficienti i più di dodici isolati che i corpi occupavano nel Viale di Maggio. La marea si è estesa nelle strade parallele con bandiere fucsia, violette, rosse e verdi.

Non è nemmeno sufficiente guardare solo il corteo e leggere il loro documento.

Prima, durante e dopo, gruppi di donne hanno effettuato ogni tipo performance per denunciare le ingiustizie che le attraversano.

A noi è toccato far parte di una con un messaggio: #NosotrasAbortamos per chiedere una legge sull’aborto strilliamo e gridiamo fino a sfogarci perché continuiamo ad essere senza legge. La chiediamo al Parlamento con il corpo e i nostri pantaloni come bandiera, interrogando con il nostro grido la performance di stampa che giusto in quel momento stava facendo la vicepresidente Gabriela Michetti accompagnata dalle legislatrici del blocco governativo. Così le abbiamo rubato le telecamere, che le hanno dato le spalle per registrare l’enorme cartello nero che gridava: “Aborto Legale ORA”.

Le parole d’ordine alle donne ci superano così come ci gemellano.

C’erano quelle che avevano dipinto di rosso e sulla faccia “Puttana e Grassa”, denunciando violenze. Altre di familiari o amiche di vittime di femminicidi, con la loro propria lotta personale appesa al collo nella forma di una foto. “Per quelle che ci sono, quelle che non ci sono e quelle che sono in pericolo”, hanno cantato con grida un gruppo di donne con tamburi e le facce dipinte di colori. Un’infinità di fazzoletti verdi che hanno segnalato la nostra complicità per chiedere insieme e in strada una legge sull’aborto.

Il ritmo delle donne unite va contro ogni macchina.

Ci sono donne con bebè nati recentemente che danno il seno e li fanno dormire in pieno corteo. Altre che fanno ronde per dipingere cartelli, mentre insieme bevono mate in mezzo alla strada Saenz Peña. Nonne con il bastone che applaudono e acclamano quando passa l’orda. Ragazze che hanno fatto il proprio striscione con il grido “Vive noi vogliamo”. Ragazze che scoprono i propri seni in pieno Viale Rivadavia affinché le altre li dipingano di colori con la frase “Sul mio corpo decido io”.

Donne che insieme, simultaneamente festeggiano e denunciano.

Festeggiano ciò che questo straripamento indica: che stiamo già sfuggendo dagli stretti, oppressivi e violenti limiti di questo sistema, insieme.

Oggi abbiamo perso la paura di uno sciopero generale e andiamo oltre qualsiasi tipo di struttura.

Questo è fermare il mondo.

Tre

Borges ha avvertito che dall’Aleph si può vedere tutto il mondo.

Oggi questo Aleph ha la forma della fica.

Non precisamente da questo spazio biologico sotto l’ombelico, ma da questa sensazione calda, umida, potente, viva.

Oggi tutto questo mondo, quello che si vede da questo Aleph, non è questo: è il mondo che sta venendo. È anticipato dal territorio che stiamo creando e allevando.

Quante eravamo oggi che disegnavamo con i corpi le nuove geografie?

Molte.

Tutte.

Tutte e intanto diverse, varie, sciolte e organizzate.

Oggi abbiamo scioperato per non rimanere quiete.

Ci afferriamo con le mani, ci mescoliamo, ci abbracciamo, ci diamo da fare, ci guardiamo, ci riconosciamo, ci accompagnamo.

Gridiamo.
Cantiamo.

Creiamo.

Il mondo odora di marcio, ma oggi il nostro Aleph ci ha permesso di intuirne un altro possibile: questo che sta giungendo.

Foto: Lina Etchesuri e Nacho Yuchark

09/03/2017

lavaca

 

da Comitato Carlos Fonseca

 

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