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La lezione della Martinica e il dibattito sulle statue

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«La liberté quand son jour est venu, est comme la vapeur, elle a une force d’expansion indéfinie, elle renverse et brise ce qui lui fait obstacle»
Victor Schoelcher, La vérité aux ouvriers et aux cultivateurs de La Martinique, 1849


Il 22 maggio a Fort-de-France, in Martinica, DOM (Dipartimento d’oltremare) francese, sono state abbattute e distrutte due statue dedicate a Victor Schoelcher. L’azione è avvenuta a conclusione di una manifestazione chiamata nella capitale dell’isola durante il periodo di restrizioni prese come misura contro la diffusione del Covid-19.

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Nelle settimane successive, le iniziative che hanno preso di mira i monumenti legati al retaggio coloniale e schiavista si sono moltiplicate, a partire dalle mobilitazioni contro il razzismo e le violenze poliziesche che stanno incendiando gli Stati Uniti per estendersi a livello internazionale.
Anche in Italia si è riacceso il dibattito sull’eredità coloniale e la sua rappresentazione nello spazio pubblico, concentrandosi in particolare sull’opportunità o meno di rimuovere la statua di Indro Montanelli dai Giardini pubblici di Via Palestro di Milano.

Già l’anno scorso, durante il corteo dell’8 marzo di Non una di meno, per denunciare il ruolo di colonizzatore nonché di stupratore pedofilo che il noto giornalista ha avuto durante la guerra e l’occupazione fascista in Abissinia, la statua era stata imbrattata con della vernice fucsia. Ciò ha provocato numerose reazioni, polarizzando le posizioni e facendo uscire allo scoperto molti giornalisti pronti a difendere a spada tratta la figura di Montanelli e a giustificare il suo operato trincerandosi dietro il pretesto della circostanza storica e del diverso contesto culturale.

Malgrado ciò, la persistenza del dibattito sembra finalmente avere aperto la possibilità di approfondire criticamente il passato coloniale anche nel contesto italiano.
Per questo motivo mi sono tornate alla mente le immagini che provenivano dai Caribi – tramite un video che in Europa (e soprattutto in Italia) ha avuto pochissima diffusione – in cui alcuni manifestanti grazie a delle corde tirano giù una statua dedicata a Victor Schoelcher che, cadendo, si rompe in mille pezzi. Quei fotogrammi raccontano la storia particolare della Martinica, ma, al contempo, permettono di aprire una riflessione critica sul ruolo dell’antirazzismo bianco nelle mobilitazioni in corso nel mondo.

Schoelcher non è noto per essere stato un commerciante di schiavi, né un militare, né uno stupratore. Schoelcher, invece, è una delle figure maggiormente rappresentative dell’abolizionismo francese, deputato per i possedimenti della Martinica e della Guadalupa nel XIX secolo. A lui fu affidata la commissione che portò all’emancipazione dalla schiavitù nelle colonie francesi tramite il decreto del 27 aprile del 1848.
Nei dipartimenti d’oltremare alla sua figura sono state dedicati monumenti, università e studentati e, in Martinica, persino un comune dell’isola. Anche la biblioteca di Fort-de-France, dove sono custoditi i manoscritti e i documenti relativi alla storia dell’emancipazione dell’isola, porta il suo nome.

Perché, allora, decidere di abbatterne i monumenti?

Innanzitutto, il ruolo della Commissione guidata da Schoelcher per “accompagnare” le colonie verso la totale emancipazione rimane discusso, dal momento che quest’ultima fu la stessa istituzione che garantì agli ex-proprietari di schiavi il diritto di accedere ad un programma di indennizzi per le loro perdite economiche.

Negli ultimi decenni, inoltre, diversi studi hanno messo in luce il ruolo attivo degli uomini e delle donne nere nell’abolizione della schiavitù e all’interno del movimento abolizionista. In Martinica, ad esempio, in concomitanza con la decisione di abolire la schiavitù nelle colonie francesi nel 1848, le rivolte si sono moltiplicate sia nel contesto rurale che in quello urbano.
Parallelamente, va considerata l’ambiguità del discorso abolizionista, per il quale l’ottenimento della libertà viene soventemente riportato come il solo frutto di una generosa concessione da parte dei civilizzati europei, più che il risultato delle lotte portate avanti dalle popolazioni colonizzate.
Dopo la fine della schiavitù, inoltre, l’inclusione differenziale dei soggetti razzializzati all’interno della «communauté de citoyens» ha permesso di perpetrare logiche di dominio e di sfruttamento nei territori coloniali.
Presentare l’emancipazione semplicemente come una conquista della morale europea ha reso invisibili le connessioni tra abolizione della schiavitù e sviluppo capitalista, celando le continuità tra il lavoro libero e quello schiavile o coatto.

Questo non significa che gli abolizionisti europei avessero tutti un doppio fine. Schoelcher ad esempio, in quanto rappresentante di un convinto repubblicanesimo universalista, nei suoi scritti e nelle sue azioni dimostra la profonda radicalità della sua volontà emancipatrice.
Al contempo, sono state numerose, soprattutto per quello che riguarda l’impero britannico, le connessioni tra l’abolizionismo e le lotte della classe operaia inglese, così come con la prima ondata femminista.
Tuttavia, ciò non ci esime, per esempio, dal tenere in conto le ambiguità delle relazioni tra donne bianche e donne nere che permangono tuttora, e che sono state poste al centro delle riflessioni del black feminism a partire dagli anni ’70 del Novecento.

Tuttavia, la Martinica continua ad esser un DOM francese e ad intrattenere relazioni (post?) coloniali con la madrepatria.

Tuttavia, anche oggi molti dei terreni dell’isola rimangono in mano ai békés (discenti degli ex-proprietari bianchi) e i loro profitti si basano sullo sfruttamento del lavoro della popolazione nera.

Tuttavia, oggi il governo francese per divulgare le norme contro il Coronavirus ritiene sia opportuno per i DOM spiegare il distanziamento sociale usando come unità di misura degli ananas!

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La volontà di erigere statue dedicate a Schoelcher nel centro della capitale dell’isola è il frutto di una scelta precisa, per la quale la memoria pubblica viene costruita mettendo in luce la figura e le azioni di un delegato coloniale bianco e, per contro, invisibilizzando le ribellioni delle donne e degli uomini neri liberi e schiavi della Martinica.
In questo senso, la distruzione di quella specifica statua è un segnale potente perché rappresenta la volontà da parte della popolazione nera della Martinica di riprendere protagonismo nelle vicende che portarono all’abolizione della schiavitù, non tanto di “equilibrare” la storia.

In Francia, nei giorni immediatamente successivi all’accaduto, la condanna da parte delle istituzioni è stata pressoché unitaria. Le critiche hanno fatto appello alla caratura della figura messa in discussione e all’invito (piuttosto paternalista) di non scadere in esagerazioni.

Occupandomi di storia coloniale, cerco di non guardare alla linearità dei processi ma di riportarne le sfumature, le complessità, le incoerenze. In questo caso, però, credo che al centro della discussione non ci sia solo la necessità di un’adeguata ricostruzione storica, quanto la messa in discussione delle relazioni di potere nella costruzione della memoria della schiavitù e della sua abolizione.

Questo non significa semplicemente fare la cronaca del passato imperiale, ma aprire una riflessione sul significato attuale del conflitto razziale e del problema postcoloniale

Riportando la questione su una dimensione generale e analizzando il ruolo dell’eredità coloniale nelle geografie urbane delle nostre città, mi sembra che ciò che è accaduto il Martinica dia un apporto ulteriore e profondo alla discussione. Tirare giù la statua di un abolizionista mette sotto accusa l’ipervisibilizzazione dell’antirazzismo bianco a scapito dell’autodeterminazione dei soggetti razzializzati.

In quanto donna bianca, mi ricorda che riconoscere la mia posizione di privilegio significa anche utilizzarla per accettare di fare spazio.

Matilde Flamigni

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pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

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