Sinistro Draghi
Dunque, il governo Tsipras deve continuare a trattare con la trojka, deve continuare con le “riforme di struttura”, non deve neanche porre la questione dell’haircut (taglio) del debito greco. Solo a queste condizioni, ribadite dal ministro delle finanze tedesco nel suo incontro assai poco diplomatico con quello greco, l’Europa è disposta a “aiutare” la Grecia.
Se neanche questo basta a far riflettere chi “da sinistra” ha salutato con favore il Qe della Bce come presunto viatico alla fine delle politiche di austerity…In realtà, il Qe è una creazione di debito basato sul travaso delle ricchezze dalla società e dal lavoro a favore della finanza di cui deve garantire lo scorrazzare indisturbato (anche a prescindere dagli aspetti geopolitici nel rapporto Usa-Europa).
Quanto ai falsi amici di Tsipras collocati nelle capitali europee, basterebbe la dichiarazione dell’ineffabile Renzi degna del miglior gesuitismo: «La decisione della Bce sulla Grecia è legittima e opportuna dal momento che mette tutti i soggetti in campo attorno ad un tavolo in un confronto diretto e positivo che, andando oltre una concezione burocratica tutta rivolta all’austerità, sia capace di rispettare e far rispettare gli impegni presi e di guardare con maggiore fiducia e determinazione ad un orizzonte europeo fatto di crescita e investimenti». Scusare il lungo cinguettio. Per quanto riguarda invece il falso amico d’America, che conta un po’ di più, il suo calcolo accompagnato da mielose profferte filoelleniche è che l’Europa continui a produrre debito (e a garantirlo), non certo che cambi politica economica, e comunque vedremo dove finiranno le sue avances (in funzione anti-tedesca) se qualcuno altro dal fronte orientale dovesse farne ad Atene di effettivamente sostanziose…
Cosa può succedere adesso? I margini di azione del governo greco nella trattativa da riaprire con la Ue sono divenuti strettissimi. Berlino continua probabilmente a essere disponibile a concedere un qualcosina ad Atene – riscadenzamento, tassi di interesse più bassi – ma solo a condizione che non ci sia nessun cambio di direzione effettivo nelle politiche greche. Soprattutto, vanno subito tagliate le gambe al governo Syriza, a che non possa vantare alcun successo politico, e bloccate in anticipo le eventuali tentazioni di imitarlo.
Per Syriza i giochi si sono subito fatti duri. Spazi effettivi anche solo per una ricontrattazione soft, tipo quella prospettata pochi giorni fa dal ministro Varoufakis, non sembrano essercene. A meno che entri in gioco la variabile mobilitazione dal basso (questa sera almeno 10.000 persone sono scese in piazza ad Atene a sostegno del governo) che permetta all’esecutivo greco di resistere alle pressioni. Tra non molto si vedrà nei fatti che l’unico modo efficace è di alzare il tiro.
Il terreno dello scontro è già dato: all’interno del paese, su chi deve pagare la crisi; in Europa, per imporre il punto di vista che il problema non è fare ulteriori debiti per una fantomatica “crescita”, se pure, sui vecchi binari, ma è il debito come dispositivo succhia-ricchezze (a dirlo, seppur timidamente e con l’illusione di un New Deal europeo, è lo stesso Tsipras); al di là dell’Europa, verso Russia e Oriente, per affrontare anche la dimensione geopolitica del ricatto economico e contro i venti di guerra sempre più minacciosi che la crisi sta evocando.
Rispetto a chi teme o, all’opposto, spera che a questo punto l’alternativa sia tra cedere o abbandonare l’euro, si può dire pur senza garanzie di successo che c’è un terreno altro, più radicale. A chi qui, ed è la maggioranza, ha paura di finire come la Grecia è bene far presente che rischiamo grosso proprio se non ci muoviamo al più presto dal basso a supporto dei greci, di noi stessi e di un futuro comune.
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