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SPECIALE BANLIEUE “La logica della ferocia”. Intervista a Mathieu Rigouste

Riportiamo di seguito la trascrizione in italiano dell’intervista a Mathieu Rigouste compagno e ricercatore indipendente francese. Ha studiato il ruolo della polizia all’interno delle periferie francesi a partire dal rapporto violento e predatore della Francia con le sue colonie. Ha scritto L’ennemi interieur (2009) e La domination policiere (2012) entrambi editi da La fabrique. Nell’intervista sono stati approfonditi alcuni temi legati alle rivolte delle scorse settimane nelle banlieue delle principali città della Francia. Abbiamo chiesto a Rigouste cosa ne pensa della deriva autoritaria dei paesi occidentali, quali rivendicazioni sono state portate avanti dalle piazze degli émeute e quale legame c’è tra i gruppi neofascisti e la polizia.

Qui le precedenti puntate dello SPECIALE BANLIEUE

Negli ultimi anni abbiamo visto una deriva autoritaria delle democrazie occidentali che va di pari passo con l’uso della polizia come strumento di governo dei territori e dei conflitti sociali. In questo senso il governo Macron ci sembra paradigmatico. Come si è dato nel tempo questo processo in Francia?

Per quanto riguarda la deriva autoritaria delle democrazie occidentali, beh, in effetti, se la analizziamo nel corso del tempo e da un punto di vista generale ci troviamo di fronte a potenze imperialiste che mettono in scena uno spettacolo democratico, esibendo una democrazia che in realtà rappresenta una forma di dittatura della borghesia e delle classi dominanti con un funzionamento autoritario presente fin dall’inizio. Non c’è mai stato un momento in cui lo Stato – Nazione, il capitalismo, l’ordine razziale e il patriarcato non abbiano agito di concerto e non si siano avvalsi di una polizia violenta. La storia della polizia è la storia della distribuzione della violenza di cui le classi dominanti hanno bisogno al fine di mantenere l’ordine sociale diseguale. Pertanto non credo si tratti di una deriva, credo piuttosto che si assista alla continuità di un sistema, insieme alla massimizzazione di certe dinamiche; ci troviamo quindi davanti ad un sviluppo neoliberale e securitario dell’imperialismo, con una posta in gioco assoluta per il sistema economico e politico vigente, ovvero la sfida di aumentare costantemente i tassi di profitto e massimizzare l’accumulo di capitale ma anche di ottimizzare la concentrazione del potere, di ridurre i costi di produzione del controllo, perché una società sempre più iniqua in cui vi siano sempre maggiori saccheggi di risorse e ricchezze, sempre più sfruttamento e dominazione, si deve conseguentemente confrontare con rivolte sempre maggiori e più frequenti; gli oppressi, infatti, riorganizzano costantemente la loro resistenza, ricostituendo le forme di difesa e la possibilità di riemergere; pertanto per i poteri forti è sempre più dispendioso controllare, monitorare e reprimere i dominati.
Ancora una volta, non credo si tratti di una deriva, ma piuttosto, se guardiamo alla storia globale del capitalismo e dell’imperialismo e la osserviamo dal punto di vista del sud globale, ovvero dal punto di vista dei dominati, dei colonizzati, degli sfruttati, in realtà non c’è un solo momento in cui il potere abbia potuto prescindere dalla guerra, dall’uccisione, dalle forme di schiacciamento e di mutilazione contro i dannati della terra. Anzi, è proprio il contrario in virtù della separazione tra polizia ed esercito, della distinzione tra tempo di pace e tempo di guerra. Tutto ciò non concerne una specifica parte della popolazione, quella considerata non sacrificale, nello specifico la classe media, bianca o le parti autodisciplinate del movimento operaio, burocratizzate, ovvero tutte quelle parti sociali che da un lato non minacciano il potere ma dall’altro possono anche essere considerate legittime.
Pertanto, ciò che in realtà abbiamo nell’attuale processo neoliberale e securitario è piuttosto uno sviluppo del modo di gestire le periferie e questo modo di gestire è la ferocia; la ferocia è la normalità nella gestione storica delle colonie, delle prigioni, dei confini e dei quartieri poveri. Ed è questa logica della ferocia che sta prendendo vigore nei centri, parallelamente alla precarietà che si diffonde, ma anche in relazione alla segregazione socio-razziale che viene progressivamente rafforzata in risposta a movimenti anti-razzisti sempre più forti; similmente, assistiamo ad un ulteriore rafforzamento del patriarcato in relazione alla crescita del movimento femminista.

Se da un lato nelle rivolte di questi giorni, partite da Nanterre e deflagrate in tutto il paese, abbiamo visto attaccare la polizia, i simboli dello Stato e riappropriarsi delle merci, dall’altro lato non ci sembra che ci siano delle rivendicazioni esplicite nei confronti della controparte. Siamo noi che non le abbiamo colte oppure le rivolte sono irriducibili a qualsiasi volontà di mediazione e quindi intervento riformatore e non meramente repressivo da parte dello Stato?

Non c’è una rivendicazione esplicita, bensì c’è il nome di Naël scritto sui muri dappertutto e poi ci sono luoghi specifici presi di mira dai contrattacchi popolari: si tratta di municipi, prefetture, commissariati. Ci sono stati anche dei supermercati saccheggiati da persone che rivendicavano il furto della frutta perché non ne mangiavano da più di un anno, si è trattato veramente di furti dettati dalla miseria. E poi è anche accaduto che alcune insegne di marchi di lusso siano state attaccate e quindi, ancora una volta, si trattava di persone che volessero prendersi ciò che desideravano non avendo mai potuto permetterselo. Si tratta quindi di un movimento profondamente politico, nonché economico.
E’ un movimento legato all’ordine razziale, è anche un movimento di contestazione della segregazione socio-razziale, con gruppi che cercano di entrare nei centri cittadini o, in ogni caso, come in tutta la storia delle rivolte nei quartieri popolari, gruppi che cercano di portare la polizia su un terreno in cui siano in grado di metterla in difficoltà, e quindi ci sono anche molti scontri con la polizia e tutto ciò non sembrerebbe muovere altre rivendicazioni se non quelle di un urlo e di una rabbia volte a strappare il diritto di poter vivere innanzitutto, e di poter vivere nell’uguaglianza e nella dignità; in realtà, il diritto di vivere nella dignità non è possibile rivendicarlo, c’è qualcosa di profondamente assurdo in questo: se ci dobbiamo confrontare con un sistema di potere che ci uccide, non ha alcun senso porre delle rivendicazioni, non è possibile pretendere nulla da questo sistema. La sola possibilità di ottenere il diritto di vivere, ovvero il diritto di vivere nella dignità, è di strapparlo al sistema.
E le rivolte nei quartieri popolari sono dei momenti di rottura che possono essere sostanziati di rabbia, e forse anche di speranza; ma tali momenti sono anche modi per impedire al sistema di funzionare dicendo: “beh, se voi ci uccidete, noi attacchiamo tutti coloro i quali rappresentano questo sistema e non staremo fermi a guardare”. E in effetti non ci sono altre rivendicazioni al di fuori di questa, come a dire: “no, non è possibile ucciderci senza che noi facciamo nulla, non possiamo permettervi di ucciderci senza di contro attaccare questa società”.
Cosa succederà? In questo movimento, tra l’altro, non ci sono solo le rivolte, e soprattutto non solo le generazioni più giovani hanno affrontato la polizia, bensì esistono una rabbia e un piano di rivolta assai più ampi, che coinvolgono associazioni di quartiere, quelle che ancora resistono e che non siano state sciolte come accaduto alle associazioni musulmane o a quelle le cui capacità economiche siano state compromesse perché eccessivamente autonome e non collaboranti con il potere politico. Ebbene, queste associazioni, tutti i tipi di collettivi, i comitati per la verità e la giustizia vicini alle famiglie e ai cari delle persone uccise dalla polizia, dalle prigioni o dalle frontiere, ecco tutte queste soggettività si sono molto attivate sino a formulare alcune rivendicazioni che potessero riguardare la proposta di abrogare alcune leggi specifiche, la richiesta di scioglimento di certe unità, il definanziamento della polizia arrivando a volte addirittura a pretendere lo scioglimento della polizia stessa, e altre rivendicazioni più precise. Vi sono anche gruppi rivoluzionari che perseguono un cambiamento strutturale della società. Ecco, il movimento è composto da tutto questo.
Ed è forse questo l’aspetto interessante: ovvero il fatto che si tratti di un movimento intergenerazionale in cui le diverse generazioni di abitanti dei quartieri popolari si trasmettano i saperi, così come le diverse generazioni di militanti si trasmettono nozioni sulla storia delle lotte, sulla storia dell’oppressione, e in cui di discute molto sulle radici della disuguaglianza, sulle radici della violenza di Stato, sulle radici dell’ordine razziale, e tutto ciò sempre con l’idea che bisogna riuscire ad organizzarsi per porre fine a tale processo.
Bene, questi sono aspetti che stanno germogliando, come in ogni rivolta e in ogni movimento sociale, e che apriranno dei cammini, ovvero dei percorsi per il prosieguo delle lotte, in opposizione al processo di fascistizzazione in corso, quello si molto chiaro.

Secondo questo flusso di ragionamento non ci stupisce che le milizie fasciste abbiano assunto un ruolo quasi paramilitare contro le rivolte, facendo emergere con più chiarezza le diverse parti in campo in una dinamica che assomiglia ad una guerra civile. Quale legame c’è tra la polizia e le organizzazioni neofasciste?

E’ che in diverse città operano gruppi fascisti o neofascisti che compiono ronde per massacrare di botte neri, arabi, ovvero tutti coloro che per loro rappresentano l’anti-francia; in alcune occasioni hanno addirittura fermato delle persone per poi consegnarle alla polizia, per esempio a Lorient, dove tra l’altro in questi gruppi è stata acclarata la presenza di militari.
Dopodiché, in realtà, tutto ciò non rappresenta una vera e propria sorpresa sebbene si tratti di un fenomeno abbastanza nuovo che tuttavia si inscrive in un lungo processo che stiamo osservando da tempo, relativo tanto alla crescita di formazioni e gruppi fascisti nelle strade quanto all’ascesa di una politica di fascistizzazione a livello statale, e in particolare nei riguardi degli esiliati, ovvero circa le questioni dell’incarcerazione e della repressione. E in effetti, è opportuno ribadire che nella società capitalista, razzista e patriarcale c’è una sovrapposizione permanente, una consanguineità tra la polizia, l’esercito e l’estrema destra.
La polizia in Francia vota per oltre il 70% il Rassemblement National; se poi si aggiungono gli altri partiti di destra e di estrema destra, si raggiungono tassi dell’80 – 90% della polizia, e fra l’altro anche la restante parte è sostanzialmente reazionaria.
Ma storicamente è sempre esistita una coniugazione, una sorta di intreccio tra gli apparati statali e le forze fasciste, come se queste fungessero da riserva, ovvero come se lo Stato e le classi dominanti considerassero l’estrema destra un serbatoio di idee, di pratiche, di relazioni, una sorta di strumento, ma anche un serbatoio di personale e di quadri dirigenziali da cui attingere, utili a risolvere le crisi o quantomeno a rafforzarsi quando il sistema debba affrontare tanto dei fenomeni di rivolta larghi quanto delle crisi di accumulazione, e pertanto quello che deve essere sottolineato è che siamo davanti ad un processo di lungo corso in cui operano delle strutture di fascistizzazione che sono al cuore dell’imperialismo, declinandosi nelle politiche coloniali, nelle politiche razziali, nella segregazione, nelle prigioni, nelle frontiere etc. etc. e che sostanziano una sorta di fascismo normalizzato funzionale all’avvento di un fascismo controrivoluzionario che a sua volta si instauri nei periodi di grande crisi sistemica come è stata ad esempio la Seconda Guerra Mondiale, e che comunque appare sempre connotato da una serie di meccanismi inerenti alle forme di oppressione, di schiacciamento, di eliminazione le quali di fatto affondano le proprie radici nelle politiche coloniali, nelle politiche di confinamento, nelle politiche di frontiera e, in ultima analisi, nella normalità imperialista.

Di seguito l’audio integrale dell’intervista andato in onda su Radio Onda Rossa:

Ricordiamo inoltre che sabato 22 luglio nel contesto del campeggio di lotta No Tav a Venaus si terrà un dibattito su questi temi con Mathieu Rigouste, Emilio Quadrelli e Atanasio Bugliari Goggia.

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