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Astensione record in Emilia-Romagna, PD al governo con un pugno di voti

Non il Partito della Nazione di Renzi-piè veloce. Non la Lega in salsa lepenista e iper-xenofoba di Salvini e Fabbri. Non l’ormai svuotato contenitore politico grillino. Non i reduci di un centro-destra ormai diretto verso l’autodistruzione. Nessun partito, nessun leader, nessuna roboante dichiarazione è riuscita a smuovere i cittadini della regione verso le urne. In molti, nei commenti sui principali quotidiani di oggi, puntano il dito sullo scontro tra Renzi e la minoranza PD, tra Renzi e i sindacati un tempo “cinghia di trasmissione”.

Una mancanza evidente, quella dell’appoggio della Cgil e soprattutto dello Spi al candidato Bonaccini. Una mancanza che deriva dallo scontro sindacale sul JobsAct e che aveva portato uno dei più importanti esponenti Fiom sul territorio, Bruno Papignani, ad invitare gli elettori a fare un bel regalo a Renzi non andando a votare il partito del premier. Una chiave di lettura con molte verità, ma che presa da sola rischia di non far vedere una serie di elementi di realtà molto più ostili agli apologi del governo Renzi.

Colpe attribuibili alle inchieste sulle cosiddette “spese pazze” dei consiglieri regionali, che a distanza di qualche mese dalla condanna di Vasco Errani (governatore uscente) hanno riproposto l’invero malcelato vezzo di appropriarsi delle risorse pubbliche da parte dei rappresentanti della cricca politica. Colpe attribuibili allo scandalo recente sulle infestazione delle falde sotto la sede di Hera, in centro Bologna, come testimoniato qualche giorno fa da Report.

Colpe attribuibili all’assoluta e interessata, incompetenza con cui si è gestita la catastrofe del terremoto che sconquassò la bassa modenese qualche anno fa, o agli effetti dell’ennesima tragedia dovuta al dissesto idrogeologico che ha colpito Parma qualche settimana fa. Colpe attribuibili al crollo della faccia pulita del sistema delle cooperative emiliane, che hanno portato un ministro al governo, Poletti, ma che hanno anche visto la rabbia verso le condizioni di sfruttamento che impongono emergere sempre di più a partire dalla lotta alla Granarolo.

Ma non è soltanto una questione locale. Nel voto emiliano-romagnolo si vedono anche gli effetti di un piano nazionale di governo dei territori che ha colpito anche l’Emilia, un tempo tra le regioni più virtuose in termini di welfare. Il crollo dello stato sociale è evidente in tutta la regione, su tutto il territorio le fabbriche sono chiuse a centinaia, gli sfratti aumentano a vista d’occhio, non si vede una via d’uscita alla crisi occupazionale. La risposta dell’elettorato è stata quella di disertare le urne, lanciando un chiaro segnale di indifferenza verso un appuntamento ritenuto assolutamente privo di rilevanza per l’evoluzione delle proprie vite.

La sfida ora è cercare di analizzare questo dato in termini di rilancio per il conflitto sociale. L’evidenza della sfiducia verso la classe politica non deve fare dimenticare l’attuale insufficienza dei movimenti di farsi portavoce di una sintesi politica, che al tempo della crisi sappia giustapporre al rifiuto anche la costruzione di un’alternativa di massa possibile. Non va dimenticato infatti che in fin dei conti, al governo Renzi, della legittimità popolare interessa fino ad un certo punto, impegnato com’è nella missione di rilanciare canali di profitto per i poteri forti che lo sostengono, slegandosi da ogni tipo di mediazione, un tempo ritenuta necessaria e legittimante della governabilità, tra governatori, apparati di intermediazione e governati.

Un percorso che ha portato alla creazione di una “regione liquida”, perlomeno nel grado di appartenenza manifesta al partito politico che da decenni la governava senza quasi alcun incidente di percorso, una regione il cui elettorato o non vota o si esprime in maniera critica contro il governo rimanendo ancorata alla fedeltà al sindacato e ad una gestione della cosa pubblica differente, almeno in termini etici manifesti, rispetto a quella degli ultimi anni a guida PD. Vanno rilanciati quindi ora con forza i conflitti reali in regione.

I conflitti di chi occupa le case e le difende contro il PianoCasa che semina morte, di chi pratica il conflitto sociale nel mondo della formazione, di chi picchetta con determinazione i cancelli delle fabbriche dello sfruttamento. Le parole parole “Casa, reddito e dignità” vanno fatte risuonare con forza nei territori, come simboli di una volontà di scaricare la crisi su quelli che dalla crisi, voto o no, stanno facendo tuttora profitti milionari. Dimostrando che solo con l’autorganizzazione sociale si può costruire una dinamica di attacco e di conquista di piccoli pezzetti di contropotere nei confronti di poteri “forti” ma sempre più in crisi di credibilità e di legittimazione.

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