Caro spesa e GDO: le debolezze sistemiche
Come entra in crisi il ciclo di produzione e vendita basata sulla GDO
Il contesto economico è seriamente in affanno ma soprattutto non è un mistero per nessuno. La pandemia ha imposto restrizioni e blocchi della produzione ma ha anche generato panico da accaparramento di risorse, Il problema dei problemi è che la pandemia ha lasciato a casa parecchia gente, ha accelerato alcuni processi di delocalizzazione e stimolato lo sviluppo di cicli produttivi automatizzati per limitare al minimo la presenza umana. Quindi ci ritroviamo a ragionare con la sovrapposizione di alcuni effetti, come la riduzione della forza lavoro, un aumento dei prezzi di materie prime e beni funzionali come i combustibili, che crea una situazione di una certa gravità. Aumento dei prezzi e disoccupazione vanno spesso a braccetto innescando un circolo vizioso rotto solo dal consueto intervento pubblico. La sovrapposizione di alcuni effetti particolari non sono accidentali ma sistemici, cercheremo di arrivarci per gradi partendo da alcuni dati.
Da un rapporto del centro studi CUB nel 2022 i salari e gli stipendi in Italia hanno perso mediamente circa il 10% del loro valore a causa dell’inflazione, e addirittura intorno al 12% se si analizzano i beni di prima necessità [1]. Secondo il rapporto ARAN (Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti) le retribuzioni contrattuali medie annue dei dipendenti pubblici sono cresciute tra il 2013 e fine settembre 2022 del 6,7% a fronte di un aumento dei prezzi nello stesso periodo del 13,8% e una crescita dei salari del privato esclusi i dirigenti dell’11,6: sono quindi oltre sette i punti percentuali persi per il potere d’acquisto dei salari. Da notare che il rapporto si ferma a settembre 2022 quando l’inflazione acquisita in corso d’anno era già al 7,1% a fronte di un aumento delle retribuzioni pubbliche dello 0,9%[2].
Questi i dati dalla parte della domanda, che va contraendosi man mano che la crisi avanza, con una erosione progressiva della capacità di spesa. Senza considerare la rinuncia a beni voluttuari e l’immancabile effetto domino sulle filiere produttive, proviamo a ragionare sulla sola filiera dell’agroalimentare, dal campo alla tavola. Anche qui ci serviremo di qualche dato per inquadrare il problema e capire chi all’interno del meccanismo continua a guadagnare e chi continua a perdere.
La coldiretti a seguito di uno studio congiunto con il CENSIS ha sostenuto che la filiera dell’agroalimentare è in crisi a causa del processo inflattivo e non solo, le difficoltà delle famiglie infatti si trasferiscono direttamente sulle imprese dove l’aumento dei costi di produzione colpisce duramente l’intera filiera agroalimentare a partire dalle campagne dove più di 1 azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, ma ben oltre 1/3 del totale nazionale (34%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari[3].
Come spesso accade quando le cose vanno male non si mette mai in discussione la filiera e le strane procedure che ne determinano il normale funzionamento, si preferisce socializzare le pecche endemiche del meccanismo spalmandone i costi sulla collettività. Prova ne è che, sempre nello stesso articolo testé citato, il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, sottolinea l’importanza di raddoppiare da 5 a 10 miliardi le risorse destinate all’agroalimentare nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) spostando fondi da altri comparti per evitare di perdere i finanziamenti dell’Europa[4].
La crisi che stiamo attraversando più che abbattersi su un sistema socio economico fragile per motivi esogeni è cogenerata da un sistema economico di per sé fragile, in quanto basato su sprechi, posizioni dominanti, concorrenza agguerrita e minimizzazione dei costi di filiera per massimizzare il guadagno. È un sistema di per sé propenso a generare squilibri e fasi critiche in quanto si fonda sullo sfruttamento senza riserve tanto del potere d’acquisto del compratore quanto della posizione dominante per imporre un prezzo volutamente basso delle derrate alimentari.
Un sistema che quindi assume lo sfruttamento bracciantile come conditio sine qua non per poter far fronte all’abbassamento dei prezzi d’acquisto imposti dalla catena di distribuzione. Analizzando quindi com’è cambiato il sistema di produzione, vendita e consumo dei prodotti alimentari in generale e degli agroalimentari in particolare, si può comprendere come il sistema sia nei fatti un meccanismo in equilibrio precario sempre bisognoso del puntello pubblico.
A prescindere da quanto afferma la Coldiretti, riteniamo che un’attenzione particolare vada dedicata al discorso su tutto quello che sta tra il produttore diretto e il consumatore, ossia il sistema di intermediazioni e logistica che compone la grande distribuzione organizzata (GDO). Sistema che si è imposto come unico intermediario fra l’azienda agricola e il consumatore finale. La ragione per cui la GDO ha assunto questo ruolo-chiave si fonda sul progressivo cambiamento dei comportamenti di acquisto da parte dei consumatori. Questi sono mutati in via principale in funzione del livello di urbanizzazione crescente, soprattutto nei paesi a cosiddetto “sviluppo avanzato”.
L’esistenza urbana ha contribuito non poco a concentrare i tempi di acquisto in giorni specifici della settimana o in momenti precisi della giornata, con poco tempo a disposizione. Va da sé che si preferisce fare acquisti lì dove si può trovare una più ampia varietà di prodotti concentrati nello stesso luogo. Da qui il fatto che la quota principale degli acquisti alimentari viene realizzata presso i punti di vendita della GDO. In Italia, la GDO costituisce oggi l’intermediario pressoché obbligato in quanto il 76% dei consumi alimentari tra il produttore agricolo od industriale ed il consumatore avviene attraverso il sistema della grande distribuzione [5].
A questo trend, non può non corrispondere un certo tipo di rapporto di forza nelle filiere agro-alimentari. La GDO ha cercato di sviluppare strategie finalizzate a massimizzare i vantaggi di questa posizione favorevole di intermediazione. Queste strategie sono state orientate nella direzione di un crescente potere di mercato della GDO rispetto agli altri comparti delle filiere agro-alimentari. In estrema sintesi, tali strategie commerciali sono finalizzate a conquistare potere di mercato nelle due direzioni. Cioè verso il consumatore, alla ricerca di posizioni fortemente oligopoliste mediante la creazione delle private labels. Verso i fornitori, alla ricerca di posizioni fortemente oligopsonistiche, fino a porsi localmente come monopsoniste (uniche acquirenti) [6].
Ora tale sistema non è assolutamente autosostenibile e trae la sua linfa vitale da due fattori principali, peraltro già accennati in apertura, ossia il potere dato dalla posizione dominante di price maker (quanto di più prossimo si possa avere al monopsonista) e l’intervento pubblico mirato nei vari punti nevralgici della filiera. Molto spesso i due fattori convergono esattamente nello stesso punto come nel caso delle integrazioni europee al prezzo di vendita di talune derrate alimentari. Le integrazioni intervengono creando una sorta di circolo vizioso di progressivo abbattimento dei prezzi e consolidamento della posizione dominante del sistema di acquisto e distribuzione da parte di grosse imprese.
Caso tipico è stato quello delle arance calabresi comprate da Coca Cola per le sue bevande che venivano pagate solo cinque-sette centesimi il chilo, per anni l’Europa ha sostenuto questo processo integrando il prezzo di acquisto con 12-14 centesimi al Kg. Quando però i rubinetti sono stati chiusi i nodi sono venuti al pettine ed è servito l’intervento statale che per legge ha innalzato la percentuale minima di succo nelle aranciate dal 12 al 20%. Di fatto rompendo tanto un’egemonia di mercato (il prodotto Fanta) quanto un circolo vizioso, che ha visto negli anni vaporizzare ingenti capitali che avrebbero invece potuto essere utili ad un ripensamento delle attività agricole.
Ma questa piccola vittoria non ha modificato nei fatti il trend dello sfruttamento all’interno della filiera agroalimentare. Se qualche produttore di arance oggi può tirare un sospiro di sollievo, è pur vero che continuano ad esserci altre tipologie di prodotto che ancora sono sotto stretto ricatto, dai pomodori da salsa alle zucchine, il mare magno dello sfruttamento di manodopera a basso costo è un dato di fatto.
Il problema è che il sistema stesso non può ammettere un innalzamento del costo del lavoro in un settore come quello agricolo, nel quale il prezzo corrisposto al produttore diretto è talmente basso che una regolarizzazione in queste condizioni è semplicemente improponibile se si permane nel meccanismo predatorio della GDO. È la logica della grande distribuzione, una filiera di vendita basata su sprechi calcolati sia in entrata che in uscita, il tutto unito alla voracità crescente delle grandi catene di distribuzione che controllano quasi il 75% di tutto il cibo, il che rende la GDO quello che si definisce “price maker” (un monopolista per dirla in italiano), quello che determina una forbice folle tra il costo sul campo ed il prezzo finale sul banco di vendita; in media i supermercati incassano una quota sul prezzo finale al consumo di quasi il 50%, mentre agli agricoltori e ai lavoratori va meno dell’8%.
Se a questo aggiungiamo la congiuntura inflattiva e il sostanziale congelamento di salari e stipendi, che di fatto anche quando crescono non riescono a sopravanzare l’inflazione, ci troviamo con una compressione della domanda proprio nel settore agroalimentare maggiormente suscettibile di oscillazioni date da clima e condizioni meteorologiche avverse per lunghi periodi. L’esito è ovviamente misurabile in una stretta dei prezzi al produttore e un innalzamento dei prezzi al consumatore per bilanciare il volume di vendite mancanti.
Note
[1] Ansa, Milano 18 Gennaio 2023, url: https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2023/01/18/inflazione-centro-studi-cub-salari-hanno-perso-circa-10_1d44b6f4-1f54-45bf-833f-cc499554c55c.html
[2] Cfr. “Inflazione e salari”, Centro studi CUB, 16 Gennaio 2023; url: https://cub.it/inflazione-e-salari/
[3] Rapporto CENSIS-Coldiretti, 2022. https://www.askanews.it/economia/2023/01/15/inflazionecoldiretti-83-italiani-acquista-a-slalom-fra-negozi-pn_20230115_00006/
[4] Ibid.
[5] Cfr. https://www.federdistribuzione.it/app/uploads/2022/10/Mappa-distributiva-2021.pdf
[6] https://elearning.unite.it/pluginfile.php/203810/mod_resource/content/0/La%20distribuzione.pdf
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